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Posts di Consulenza Legislazione Alimentare

Il Piano Nazionale Integrato (documento 2015-2018 scaricabile dalla nostra pagina Risorse Consigliate) delinea il funzionamento e gli obiettivi del sistema nazionale per i controlli ufficiali sulla sicurezza alimentare, coordinato dal Ministero della Salute (Direzione Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli Alimenti e la Nutrizione-DGISAN), ed attualmente copre il periodo 2015-2018.

È un riferimento programmatico per gli interventi e le iniziative da compiere, nell’ambito dei controlli, per la sicurezza alimentare.27 7 3

La stesura della Relazione annuale coinvolge anche il Ministero per le Politiche Agricole Alimentari e Forestali, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, l’Istituto Superiore di Sanità, i Laboratori Nazionali di Riferimento per alimenti, mangimi e sanità animale, le Regioni e Province autonome, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, i reparti specializzati del Comando Carabinieri, il Corpo Forestale dello Stato, le Capitanerie di porto e la Guardia di Finanza, tutti di fatto chiamati, secondo le rispettive competenze, alla concreta attuazione delle strategie indicate nel Piano stesso.

In particolare, per l’anno che abbiamo lasciato alle spalle, le attività di controllo svolte da queste amministrazioni sulla base del PNI sono riportate analiticamente nella Relazione 2015 pubblicata all’inizio del mese corrente, una sorta di bilancio dell’operato, suddivisa in 5 capitoli: attività di controllo svolte; non conformità riscontrate; azioni correttive intraprese; gli esiti dei sistemi di verifica; valutazione e analisi critica dei risultati.

Inoltre, comprende anche una sezione particolare (Cap. 5a) sull’olio d’oliva, il latte e derivati, i molluschi bivalvi, il miele e altri prodotti, con specifiche considerazioni e valutazioni sulle attività inerenti queste filiere.27 7

Nel 2015 vi sono stati 639.904 interventi di ispezioni e audit, e un totale di 107.247 analisi.

E ancora, 59.480 provvedimenti amministrativi e 1.028 notizie di reato.

Tra le autorità coinvolte, solo per citarne alcune, sono stati riportati 38.914 controlli dei NAS e conseguenti 12.321 esiti di non conformità.

Gli ICQRF del Ministero delle Politiche agricole hanno eseguito 25.974 controlli e svolto 6.259 analisi.

I NAC, infine, hanno controllato 586 imprese agricole e provveduto al sequestrato di 720 mila kg di prodotti agroalimentari.

Pare, stando ai numeri, che il triennio sia iniziato positivamente.

 

La normativa europea principale in materia di informazioni ai consumatori di prodotti alimentari è costituita dal Regolamento UE n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011[1], recentemente modificato dal Reg. UE n. 2283/2015 relativo ai novel food, a cui ora deve fare riferimento per la definizione di “nanomateriali ingegnerizzati”.

Cercheremo di evidenziarne i punti più salienti.

Innanzitutto, la normativa del Reg. n. 1169/2011 non riguarda soltanto le informazioni riportate sulle etichette apposte sulle confezioni degli alimenti, ma anche quelle che vengono veicolate attraverso brochure, depliant, siti web, cartelloni, stand aventi ad oggetto quel dato prodotto alimentare, come si legge nell’art. 2, par. 2, lett. a) che parla di “altri materiali di accompagnamento o qualunque altro mezzo, compresi gli strumenti della tecnologia moderna o la comunicazione verbale” .

Il consumatore deve essere lealmente e correttamente informato per poter compiere scelte di acquisto e di utilizzo consapevoli e rispondenti alle proprie necessità e aspettative.

Chi è responsabile delle informazioni comunicate al consumatore?

L’art. 8 del Regolamento fa ricadere la responsabilità delle informazioni sugli alimenti in capo all’operatore del settore alimentare con il cui nome o con la cui ragione sociale il prodotto viene commercializzato. Se tale operatore non è stabilito nell’Unione Europea, il responsabile è l’importatore nel mercato dell’Unione.

Egli deve innanzitutto assicurare la presenza e l’esattezza delle informazioni, ed astenersi dal fornire prodotti che sa o presume essere non conformi alla normativa sulle informazioni sugli alimenti. Inoltre, l’operatore è responsabile anche delle eventuali modifiche apportate alle informazioni, e deve astenersi dall’apporre modifiche che possono indurre il consumatore in errore o comunque limitare la possibilità di compiere scelte consapevoli.etichetta 1

Nel caso di alimenti non preimballati, l’operatore responsabile deve assicurare che le informazioni giungano all’operatore che riceve i prodotti destinati ai consumatori finali o alla collettività, affinchè le informazioni previste come obbligatorie possano giungere al consumatore finale.

L’operatore del settore alimentare deve inoltre attenersi alle pratiche leali di informazione, individuate dall’art. 7, ovvero: le informazioni non inducono in errore (sulle caratteristiche dell’alimento, attribuendo proprietà o effetti inesistenti o caratteristiche che di fatto sono proprie anche di alimenti analoghi, suggerendo la presenza di un ingrediente che in realtà è stato sostituito); le informazioni sono chiare, precise e facilmente comprensibili per il consumatore; le informazioni sugli alimenti non attribuiscono la proprietà di prevenire, trattare o guarire una malattia umana né vi fanno riferimento (deroghe speciali sono previste per le acque minerali naturali e per alimenti disposti per un uso nutrizionale preciso).

Sostanzialmente, il Reg. n. 1169/2011 prevede due tipi di informazioni al consumatore.etichetta 2

Informazioni obbligatorie, devono essere disponibili e facilmente accessibili e, negli alimenti preimballati, apposte direttamente sull’imballaggio o su etichetta (artt. 9- 35):

  • denominazione dell’alimento. È la sua denominazione legale, che può essere sostituita da una denominazione usuale o, in mancanza, da una denominazione descrittiva. Non è sostituita da        una denominazione protetta come proprietà intellettuale, marchio, nome di fantasia.
  • elenco degli ingredienti. Preceduto dalla parola “ingredienti”, che vanno indicati in ordine decrescente di peso al momento del loro utilizzo.
  • qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico che provochi allergie o intolleranze. La sostanza, compresa o meno nell’elenco ingredienti, deve essere evidenziata con un carattere           grafico distinto da quello usato per le altre parole (o per gli altri ingredienti).
  • quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti. Va indicata quando tale ingrediente o categoria figura nella denominazione dell’alimento o vi è generalmente associato, quando è       evidenziato nell’etichetta, quando è essenziale per distinguere l’alimento da altri prodotti.
  • quantità netta dell’alimento.
  • termine minimo di conservazione o data di scadenza. Il termine minimo di conservazione (l’art. 2, Reg. n. 1169/2011 lo definisce come la data fino alla quale quell’alimento mantiene e     conserva le sue specifiche proprietà in adeguate condizioni di conservazione) cede   il posto alla     data di scadenza quando si tratti di alimenti molto deperibili che, dopo un breve periodo,       potrebbero costituire un pericolo immediato per la salute umana.
  • condizioni particolari di conservazione e/o di impiego. Vanno indicate, qualora l’alimento le Devono essere indicate le condizioni di conservazione e/o il periodo di consumo per     consentire la conservazione o l’uso adeguato dell’alimento dopo l’apertura della confezione.
  • nome o ragione sociale e indirizzo dell’operatore responsabile.
  • paese di origine o luogo di provenienza, salve le disposizioni specifiche vigenti per i prodotti DOP-IGP-STG.
  • istruzioni per l’uso, quando necessarie a rendere semplice l’uso adeguato del prodotto.
  • titolo alcolometrico volumico effettivo per le bevande contenenti più di 1,2% vol.
  • una dichiarazione nutrizionale (in vigore dal 13.12.2016)

Informazioni volontarie (artt. 36-37), che devono rispettare i requisiti stabiliti per quelle obbligatorie, non possono indurre in errore il consumatore, nè essere ambigue o confuse. Inoltre, non possono occupare lo spazio disponibile per le informazioni obbligatorie.etichetta 3

Il Reg. n. 1169/2011 ha consentito la formazione di una disciplina riordinata ed innovativa, richiamando l’attenzione non solo sull’etichettatura di per sé ma in generale sul sistema delle informazioni, anche comunicate diversamente, e al principio di lealtà, contemperando le esigenze di mercato con le necessità di tutela del consumatore.


[1] Modifica i Reg. CE n. 1924/2006 e CE n. 1925/2006 del Parlamento e del Consiglio e abroga la Direttiva 87/250/CEE della Commissione, la Direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la Direttiva 1999/10/CE della Commissione, la Direttiva 2000/13/CE della Commissione e il Reg. CE n. 608/2004 della Commissione. Il Regolamento è entrato in vigore il 13.12.2014, mentre l’All. VI, Parte b) sui criteri di composizione e dichiarazione delle carni macinate era entrato in vigore già il 1.1.2014, e l’art. 9, par.1, lett. l) che prevede come obbligatoria la dichiarazione nutrizionale entrerà in vigore il 13.12.2016.

pic nicEstate, caldo, spiaggia, passeggiate in montagna…voglia di frutta fresca e insalate di verdura mista.

Chi, per pigrizia, si limita a lavarla con dell’acqua e chi, invece, leva meticolosamente ogni traccia di buccia. Cosa c’è sulla buccia della frutta e della verdura che quotidianamente, da bravi praticanti della dieta mediterranea, portiamo sulle nostre tavole? È davvero importante eliminarla o non è poi così pericolosa per la nostra salute?

I fitofarmaci, pesticidi, sono largamente utilizzati nella coltivazione di frutta, verdura, mangimi, tuttavia il principio attivo degrada e diviene inefficace prima che il frutto giunga nelle nostre mani. Infatti, per ogni pesticida è previsto un determinato periodo di tempo (una, due settimane solitamente) prima del quale l’agricoltore non può raccogliere il frutto, e passato il quale rimangono solo alcune sostanze, i residui, che per legge non possono superare un certo quantitativo massimo consentito (LMR).

Secondo un’indagine dell’EFSA del 2013, che ha raccolto e analizzato campioni provenienti dai 27 Paesi dell’Unione, più Norvegia e Islanda, il 97,4% dei prodotti alimentari europei contiene residui chimici entro la soglia consentita.

Oltre la metà dei campioni analizzati, precisamente il 54,6%, non conteneva alcun residuo, con una diminuzione rispetto alla precedente indagine condotta sui medesimi prodotti nell’anno 2010. Tra la frutta, la presenza maggiore di pesticidi è riscontrata su mele, pesche, lattuga, uva e fragole (l’uva necessita di diversi tipi di pesticidi e di trattamenti spesso reiterati, per combattere la peronospora, e le fragole, crescendo a terra, sono le più esposte alle minacce di parassiti e insetti). L’Efsa precisa che il vero pericolo per la nostra salute non è la presenza, ad esempio, di diverse varietà di pesticidi, bensì la loro concentrazione sul prodotto.pesticidi 1

Dal rapporto dell’Efsa emerge l’assenza (o quasi) di residui chimici sulla carne di maiale (il 97,6% dei campioni è risultato privo) e il latte di mucca (il 92,2% dei campioni totalmente senza residui). Anche per il cavolo cappuccio ci sono buone notizie, con il 76,4% dei campioni senza pesticidi.

Le coltivazioni con metodo biologico hanno dato prova di utilizzare davvero meno pesticidi rispetto a quelle tradizionali, con il 15,5% di tracce di fitofarmaci contro il 44,4% del non biologico, di cui lo 0,8% supera la soglia consentita (a fronte del 2,7% del non biologico). senza dimenticare che, spesso, le coltivazioni biologiche risentono della vicinanza di coltivazioni tradizionali, i cui pesticidi possono essere assorbiti a causa del vento o della contaminazione involontaria, di fatto impedendo che quei prodotti siano venduti come biologici.

L’abitudine di sbucciare la frutta resta una buona regola igienica, ma nulla può contro i cd pesticidi sistemici che non restano in superficie ma vengono assorbiti dalla pianta e così veicolati fino al frutto. Levare la buccia servirebbe a ben poco.   L’Unione europea riconosce l’importanza di un costante monitoraggio dell’utilizzo degli antiparassitari più comuni relativamente ai prodotti alimentari che costituiscono la base della dieta alimentare europea, per valutarne l’incidenza sui consumatori.

Il 29 aprile 2016 è stato pubblicato il Reg. di esecuzione (UE) n. 662/2016 della Commissione “relativo a un programma coordinato di controllo pluriennale dell’Unione per il 2017, il 2018 e il 2019, destinato a garantire il rispetto dei livelli massimi di residui di antiparassitari e a valutare l’esposizione dei consumatori ai residui di antiparassitari nei e sui prodotti alimentari di origine vegetale e animale”. pesticidi 2

Esso abroga il precedente Reg. di esecuzione (UE) n. 595/2015 (che continua comunque ad essere applicato ai campioni esaminati nel corso del 2016) ed entrerà in vigore il 1 gennaio 2017. L’art. 1 del Regolamento prevede che “Gli Stati membri prelevano e analizzano, nel corso degli anni 2017, 2018 e 2019, campioni delle combinazioni di antiparassitari/prodotti figuranti nell’allegato I.” E così, nell’allegato I, nel 2017 ad esempio sono contemplati arance, kiwi, pere, cavolfiori, carote, patate, cipolle, fagioli… nel 2018 uve da tavola, banane, pompelmi, melanzane, meloni, broccoli, peperoni, funghi coltivati… nel 2019 mele, fragole, pesche, vino, lattughe, pomodori, spinaci…

Pare, in ogni caso, che la parte della frutta più ricca di vitamine e minerali sia proprio la buccia!

 

cinaEbbene sì, anche la bistrattata Cina ha una legge sulla sicurezza alimentare. Non basta sapere questo, per stare tranquilli, ma i passi che la Cina sta muovendo verso maggiori controlli (anche nelle esportazioni), estensione delle responsabilità agli operatori del settore e inasprimento delle sanzioni sono comunque incoraggianti, per i consumatori e per le imprese estere che decidono di affrontare il mercato cinese.

La “Legge sulla sicurezza alimentare” era stata approvata nel 2009, dopo la triste vicenda degli scandali sul latte alla melamina che avevano sconvolto il mondo dal 2008, e in generale sul problema dell’utilizzo di sostanze non edibili. Infatti, la riforma ha riguardato anche la produzione dei prodotti alimentari destinati ai bambini, imponendo alle imprese produttrici di latte in polvere la registrazione di tutti gli ingredienti, le formule e le etichette presso l’amministrazione cinese, provvedendo anche alla fase di imballaggio.

In particolare, il dipartimento della Food and Drug Administration del Governo cinese ha condotto nel 2014 un progetto di revisione della Legge del 2009, proposto al pubblico per ulteriori suggerimenti e commenti, che sostanzialmente mira ad ampliare la responsabilità dei produttori di alimenti e delle amministrazioni locali, e rafforzare il ruolo dei cittadini stessi nel vigilare sui comportamenti contrari alla normativa sulla sicurezza alimentare.

cina 3Ecco le modifiche principali:

1) sono state riviste le competenze dei Dipartimenti coinvolti, con l’attribuzione alla sola CFDA (China Food and Drug Administration) del potere di gestire tutto il ciclo produttivo degli alimenti ed il controllo delle procedure.

2) semplificazione burocratica: un’impresa che intenda produrre alimenti in Cina deve ottenere laLicenza di produzione e operatività” e non più le precedenti tre licenze (di produzione, di circolazione e per i servizi di ristorazione). Per la produzione di additivi alimentari, tuttavia, rimane necessaria una speciale licenza oltre a quella di produzione e operatività.

3) estensione della responsabilità delle aziende per eventuali danni alla salute dei consumatori, prevedendo per gli operatori alimentari una speciale abilitazione riconosciuta a livello nazionale e quindi puntando sulla formazione e la competenza specifica dei lavoratori.

4) intensificazione dei controlli per i prodotti importati, per valutare il rispetto dell’impresa produttrice di tutti i requisiti della legge cinese e la piena conformità alle informazioni riportate in etichetta.

5) i portali web che si occupano di commercio on-line di prodotti alimentari dovranno munirsi della Licenza di Produzione e Operatività, ed è prevista anche la loro responsabilità (insieme a quella del produttore) in caso danni al consumatore per violazione della normativa sulla sicurezza alimentare.

6) inasprimento delle sanzioni, dettagliate a seconda della gravità dell’illecito e a forte valenza dimostrativa e dissuasiva, che comprendono anche l’interdizione dall’attività di produzione e commercio di prodotti alimentari, e contestualmente il riconoscimento di ricompense per chi si sia attivato nella denuncia di casi di violazione della legge sulla sicurezza alimentare.

cina 2

Nel 2016, la Cina ha ulteriormente dimostrato di voler credere nell’esigenza di un costante aggiornamento e monitoraggio della normativa sulla sicurezza alimentare, pubblicando il documento di indirizzo 2016 con il quale il Ministero dell’Agricoltura mette al primo posto, per il tredicesimo anno di fila, obiettivi legati all’agricoltura pianificati al 2020, con particolare attenzione all’ammodernamento delle strutture agricole e delle infrastrutture pubbliche (acqua, luce, trasporti), alla sicurezza dei prodotti, alla tutela dell’ambiente.

L’idea, ovviamente, è confidare che tali propositi normativi e di politica agricola (e non solo) non restino sulla carta.

Un nostro lettore ci chiede se sia possibile riprodurre sulla confezione di un prodotto alimentare di qualità un disegno reperito in internet, apposto su di un elemento di arredamento.

L’utilizzo e la riproduzione di immagini reperite in rete richiedono alcune preliminari considerazioni, al fine di evitare la lesione di diritti altrui e la violazione della normativa di settore. E, conseguentemente, di subire le relative sanzioni.

quesito 1In particolare, valgono le disposizioni della “Legge sul diritto d’autore” (L. n. 633/1941 e successive modifiche) che protegge “le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione” ed assegna in capo all’autore il diritto di pubblicare l’opera e di “utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo, originale o derivato”.

Inoltre, qualora si tratti di un disegno registrato, occorre prestare attenzione al “Codice della Proprietà industriale” (D. Lgs. n. 30/2005 e successive modifiche).

Bisogna dunque innanzitutto verificare:

  1. se sul sito da cui si sta estraendo l’immagine vi siano indicazioni sull’autore della stessa e sul relativo copyright (contrassegnato dal relativo simbolo ©);
  2. se coloro che pubblicano le immagini sul sito Internet abbiano specificato:
  1. il nome di chi detiene i diritti di utilizzazione economica (autore, datori di lavoro o committente);
  2. l’indicazione dell’anno di creazione del disegno;

In assenza di queste indicazioni, è possibile ritenere che l’autore voglia consentire il libero utilizzo dell’immagine (mancando le informazioni suddette, sarà in ogni caso difficile che l’autore possa dimostrarne la paternità). In tali casi, dunque, la riproduzione dell’immagine non si considera abusiva.quesito 2

Nel caso specifico, tuttavia, evidenziamo due utili consigli pratici e prudenziali per riprodurre un’immagine presente sul web nell’imballaggio di un prodotto alimentare in commercio:

1) reperire le immagini tramite Google Image Search, utilizzando lo strumento di ricerca avanzata che limita la ricerca alle immagini liberamente utilizzabili, modificabili e condivisibili, anche a scopo commerciale (http://www.google.it/advanced_image_search).

2) apportare delle pur minime modifiche all’immagine reperita, riadattandola.

 

Dott. Federico Rossi

Dal 1 luglio 2016 l’etichettatura energetica dei frigoriferi professionali diventerà obbligatoria dando, finalmente, valenza oggettiva, misurabile e confrontabile ai vantaggi in termini di efficientamento energetico di queste apparecchiature.

frigo 2Un’etichetta già conosciuta al grande pubblico, in quanto già adottata per le apparecchiature domestiche, ma che rappresenta una rivoluzione per il comparto professionale. Diventano così cogenti la Direttiva europea 2010/30/UE e in particolar modo il Regolamento Delegato UE 2015/1094 che integra la stessa direttiva in materia di etichettatura energetica di armadi frigoriferi e congelatori professionali. L’ambito di applicazione è molto chiaro e definito, ovvero tutti gli armadi frigoriferi e congelatori professionali alimentati dalla rete elettrica, compresi quelli venduti per la refrigerazione di alimenti e di mangimi. L’entrata in vigore dell’etichettatura si inserisce in un approccio molto più ampio e completo alla problematica dell’efficientamento dei processi produttivi nelle cucine professionali, oggi sempre più energivori (basta pensare al diffusione crescente delle cotture lunghe e a bassa temperatura piuttosto che alle tecniche che ricorrono al sottovuoto).

Il punto di partenza è la presa di coscienza anche da parte del legislatore del grande impatto del settore della ristorazione professionale sul fronte della domanda energetica totale dell’Unione Europea, e del conseguente scenario positivo che può aprirsi qualora vengano implementate delle politiche di riduzione dei consumi, soprattutto se armonizzate tra i vari Paesi.

Questo processo deve necessariamente coinvolgere tutti gli attori: i produttori saranno chiamati a immettere nel mercato prodotti tecnologicamente innovativi e in grado di assicurare un reale risparmio, gli utenti professionali dovranno essere incoraggiati (non solo con degli incentivi ma anche e soprattutto con una crescita culturale e formativa) all’acquisto di questi nuovi sistemi.

Il punto di contatto può essere dato da una corretta interpretazione dell’efficienza energetica letta non solo in termini di sostenibilità ambientale e quindi di salvaguardia della salute del pianeta ma anche come recupero di competitività economica del ristorante.frigo 3

Resta evidente che il processo di efficientamento, soprattutto se letto in modo sinergico tra gli aspetti di consumi energetici, idrici e di gas, parte necessariamente da un ammodernamento del parco macchine e presuppone quindi un investimento economico.

È altresì vero che le attrezzature tecnologicamente più all’avanguardia e quindi più efficienti richiedono spesso un investimento iniziale più alto rispetto ai prodotti di bassa fascia (un frigorifero efficiente installa un sistema di isolamento alto performante, ottimizza i volumi di stoccaggio, presenta sistemi di refrigerazione e gas refrigeranti di ultima generazione) ma solo parametrando il recupero di efficienza nel lungo periodo (in un’ottica LCC – Life Cycle Costing) si potrà valutare correttamente il vantaggio offerto da un frigorifero posizionato in un classe di efficienza ottima.

Considerando che il frigorifero resta in funzione 24 ore al giorno per 365 giorni all’anno, e che assorbe circa il 40% del carico energetico di un ristorante, il vantaggio economico generato dai risparmi in bolletta di un sistema in classe A rispetto a uno in classe G si può stimare in circa 800 euro/annui per gli armadi freezer e 300 euro/annui per gli armadi frigoriferi. Valutando questo risparmio su un arco temporale di 10 anni, ovvero il ciclo di vita medio di un frigorifero professionale, si può quantificare in oltre 10.000 euro il beneficio economico assicurato dalla miglior prestazione energetica (fonte Ecoguida Electrolux Professional). Una cifra da tenere in debita considerazione quando si valuta l’investimento iniziale; un aspetto, però, ancora spesso poco conosciuto.

Su questo fronte un ruolo fondamentale deve essere svolto dalla comunicazione che è chiamata da un lato a informare e da un altro a contribuire alla crescita di una sensibilità da parte dei professionisti verso questi aspetti sempre più strategici.

L’etichettatura energetica diventa un’argomentazione fondamentale perché immediata e facilmente comprensibile.

frigoMa il vero punto di forza sta nel fatto che, finalmente, viene definito un quadro di riferimento chiaro e univoco per stabilire la classe energetica dell’apparecchiatura rendendo di fatto confrontabili le prestazioni dei vari prodotti presenti sul mercato. È la stessa norma che prevede la metodologia di definizione dell’indice di efficienza energetica tramite un test che prevede in primis il raggiungimento di un certo standard prestazionale (si parte dal presupposto che il frigorifero deve assicurare sempre e comunque le migliori condizioni di conservazione e quindi di sicurezza dei cibi, ovvero l’efficienza non deve penalizzare la performance tecnica) e quindi la misurazione della reale efficienza energetica a fronte di queste prestazioni.

 

Il commercio elettronico è un canale di vendita sempre più utilizzato dalle imprese italiane, di ogni settore. Pare, infatti, che le diffidenze iniziali siano pian piano state superate, e i dati lo confermano: nel 2015, il ruolo di protagonista nella distribuzione di beni e servizi on line è del turismo (46%), seguito da informatica/elettronica, assicurazioni, editoria, e prodotti alimentari. La distribuzione totale per un totale di 16,6 miliardi di euro, segna un + 16% rispetto all’anno 2014.

ecommerce evidemnzaOltre a richiedere strumenti contrattuali specifici, particolari attenzioni alla tutela della privacy, e un’adeguata preparazione della stessa impresa venditrice, la realtà del commercio elettronico esige particolari sistemi di controllo, ad esempio per contrastare le contraffazioni. Infatti, le tempistiche con cui avvengono gli scambi commerciali mediante il web non permette agli organi di controllo di fronteggiare eventuali illeciti in maniera rapida ed efficiente. Pertanto, il Ministero delle politiche agricole ha stipulato specifici accordi con i principali portali web (eBay e Alibaba Group) per contrastare casi di usurpazione ed evocazione (italian sounding) a tutela soprattutto dei prodotti DOP e IGP (sempre per il 2015, si parla di 561 casi).

Ad esempio, alcune operazioni hanno riguardato:

WINE KIT
Contrasto all’irregolare commercializzazione su siti web irlandesi e svedesi di wine kit evocanti le denominazioni Barolo, Brunello di Montalcino, Chianti, Piemonte, Vino Nobile di Montepulciano e Amarone della Valpolicella.

PROSECCO
Nel Regno Unito e in Irlanda è stata contrastata l’irregolare commercializzazione in pub e ristoranti del “Prosecco alla spina” con il diretto intervento delle Autorità di controllo competenti locali. Su siti web della Germania, Austria, Danimarca, Paesi Bassi e Irlanda era offerto ai consumatori il Prosecco rosé o il Prosecco in lattina. In Croazia, Lussemburgo, Slovenia e Polonia generici vini spumanti e frizzanti erano commercializzati illecitamente come “Prosecco”.

OLIO DOP
Contrasto alla commercializzazione sul sito www.belazu.com e in numerosi esercizi commerciali nel Regno Unito di olio extra vergine di oliva chiamato “Ligurian Taggiasca” prodotto dalla società “Belazu the fresh olive ltd”, per evocazione dell’olio italiano “Riviera Ligure DOP”. Ancora, interventi sul sito britannico http://www.vallebona.co.uk/, che vendeva oli extra vergine di oliva denominati “Ligurian Extra Virgin Olive oil” e “Lemon Sardinian EVO” con il marchio Vallebona”, evocanti le denominazioni di origine protette “Riviera Ligure DOP” e “Sardegna DOP”.

ecommerce1Qualche giorno fa vi è stato un importante incontro tra l’ICQRF e Alibaba Group al fine di implementare ed allargare gli accordi sulla reciproca collaborazione per il contrasto alle frodi nella vendita on line dei prodotti alimentari e vinicoli, soprattutto per rafforzare la protezione dei prodotti agroalimentari italiani di qualità certificata.

l’Italia dunque si distingue, anche in tema di controlli e tutela del consumatore nel settore delle vendite on line, dagli altri Paesi, in quanto gli accordi in tal senso conclusi nel 2015 tra il Ministero delle Politiche Agricole e Alibaba Group sono, ad oggi, gli unici al mondo.

L’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare ha appena pubblicato una raccolta di oltre 250 termini scientifici spiegati in maniera semplice, comprensibile per il largo pubblico e per tutti quelli che vogliono documentarsi e seguire le discussioni, i pareri, le note o i casi alimentari (meglio, di scienza e tecnica alimentare) in Europa.

glossario 1Non possiamo negare, infatti, che non solo la normativa alimentare europea ma anche la stessa terminologia scientifica utilizzata dagli addetti, e dalla stessa Autorità, spesso risulta di difficile comprensione o comunque richiede un approfondimento complesso da parte soprattutto di chi non è un tecnico del settore. Ecco quindi che, nell’ambito di una delle riunioni del gruppo di lavoro sulla comunicazione del foro consultivo Efsa, che riunisce esperti di comunicazione provenienti da agenzie nazionali di sicurezza alimentare di tutta l’UE, si evidenziò l’esigenza di riuscire a comunicare meglio con i consumatori, innanzitutto, e con tutti i soggetti coinvolti nelle tematiche della sicurezza alimentare, e nacque l’idea di raccogliere i termini utilizzati più frequentemente e darne una semplice definizione fruibile da chiunque.

Il Glossario (Glossary taxonomy terms) è stato così redatto in ordine alfabetico, a partire da “additività di dose” sino a “zoonotico”, e pubblicato on line in quattro lingue: inglese, francese, tedesco e appunto anche italiano, e presto sarà direttamente consultabile mediante collegamenti ipertestuali sui comunicati e sulla documentazione di Efsa, per consentire il collegamento immediato e la contestuale lettura della definizione.glossario 2

Il glossario Efsa è soggetto a periodici aggiornamenti che terranno conto delle evoluzioni terminologiche e scientifiche e dei riscontri con il pubblico.

Per dare qualche esempio:

Biodiversità: Termine usato per descrivere la varietà di organismi viventi presenti in un determinato ambiente;

Nuovo prodotto alimentare: Alimento o ingrediente alimentare non utilizzato per il consumo umano in misura significativa nell’Unione europea prima del 15 maggio 1997.

È stato approvato recentemente il Disegno di Legge recante disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge Europea 2015, che si inserisce nel percorso di risoluzione dei casi di infrazione gestiti dalla Commissione europea per garantire il rispetto e l’effettività del diritto dell’Unione tramite il sistema EU PILOT[1] ovvero secondo le previsioni degli artt. 258 (pre-contenzioso) e 260 (contenzioso) del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea).

Tale Disegno di Legge, oltre a recare importanti disposizioni in materia ambientale, giustizia, trasporti, fiscalità, agli artt. 1, 2 e 3 interessa anche l’etichettatura dei prodotti alimentari, con la previsione di nuove disposizioni o la modifica di quelle esistenti, con particolare riferimento a:olio

  • etichettatura di olio di oliva,
  • etichettatura del miele,
  • etichettatura in generale.

Vediamo dunque cosa cambia in questi tre aspetti.

Etichettatura degli oli d’oliva

L’Art. 1 è finalizzato alla risoluzione del caso EU Pilot 4632/13/AGRI e riguarda due profili:

1)l’indicazione di origine delle miscele degli oli di oliva. Il Legislatore italiano[2] era già intervenuto a modifica dell’art. 1, comma 4, della L. n. 9/2013, prevedendo che nel caso di miscele di oli d’oliva originari di più di uno Stato membro dell’Unione o di un Paese terzo, l’indicazione dell’origine “deve essere stampata (…) con diversa e più evidente rilevanza cromatica rispetto allo sfondo, alle altre indicazioni e alla denominazione di vendita”. La modifica però non ha sopito i contrasti con l’art. 13 Reg. UE n. 1169/2011 relativo alle informazioni sugli alimenti ai consumatori, secondo il quale “le informazioni obbligatorie sugli alimenti sono apposte in un punto evidente in modo da essere facilmente visibili, chiaramente leggibili ed eventualmente indelebili. Esse non sono in alcun modo nascoste, oscurate, limitate o separate da altre indicazioni scritte o grafiche o altri elementi suscettibili di interferire”, e quindi tocca ora al Disegno di Legge europea che modifica ulteriormente l’art. 1, comma 4, L. n.9/2013, che prevede dunque che “l’indicazione dell’origine delle miscele di oli d’oliva originari di più di uno Stato membro dell’Unione o di un Paese terzo debba essere stampata in modo da essere visibile, chiaramente leggibile ed indelebile e non possa essere in nessun modo nascosta, oscurata, limitata o separata da altre indicazioni scritte o grafiche o da altri elementi suscettibili di interferire”.

2)la previsione di un termine minimo di conservazione degli oli di oliva. Il Disegno di Legge europea interviene sull’art. 7 della L. n. 9/2013, che prevede un termine minimo di conservazione che “non può essere superiore a diciotto mesi dalla data di imbottigliamento”, rimettendo alla responsabilità del singolo produttore la scelta e l’indicazione in etichetta del termine stesso.

mieleEtichettatura del miele

L’ Art. 2 riguarda la risoluzione del caso EU Pilot 7400/15/AGRI sulla non conformità dell’art. 3, comma 2, lett. f), D. Lgs. n. 179/2004 alla direttiva 2001/110/CE laddove il primo prevede che per i mieli prodotti sul territorio nazionale debba essere riportata l’indicazione analitica, sull’etichetta della confezione, del Paese o dei Paesi di origine del miele, mentre la Direttiva prevede invece che per i mieli (miscele di mieli) raccolti in altri Stati membri o in Paesi terzi, sia sufficiente l’indicazione generica della provenienza UE, extra UE, o mista.

Quindi, dopo il comma 4, art. 3, D. Lgs. n. 179/2004 è dunque aggiunto il comma 4 bis che espressamente prevede che “Le disposizioni di cui al comma 2, lett. f), non si applicano ai mieli prodotti e confezionati in altri Stati membri nel rispetto delle definizioni e delle norme della Direttiva 2001/110/CE del Consiglio, del 20 dicembre 2001”.

Etichettatura in genere dei prodotti alimentari

L’Art. 3 serve alla risoluzione del caso EU Pilot 5938/13/SNCO sulla non conformità dell’art. 4, comma 49 bis, L. n. 350/2003[3] rispetto al Reg. UE n. 1169/2011.

Due sono i punti di contrasto:

  • Innanzitutto, tale comma ha introdotto nel nostro ordinamento una definizione nazionale di origine effettiva dei prodotti alimentari trasformati, affermando che “Per i prodotti alimentari, per effettiva origine si intende il luogo di coltivazione o di allevamento della materia prima agricola utilizzata nella produzione e nella preparazione dei prodotti e il luogo in cui è avvenuta la trasformazione sostanziale”.

In realtà (e questo è stato il punto di contrasto), già l’art. 2, comma 3, del Reg. n. 1169/2011, richiamando gli artt. 23-26 del Codice Doganale (Reg. CEE n. 2913/1992, poi abrogato e sostituito dal Reg. CE n. 450/2008 e in seguito dal Reg. UE n. 952/2013), dava una definizione di valenza generale di origine del prodotto alimentare, riferita al luogo dell’ultima trasformazione sostanziale (o ultimo stadio produttivo determinante). E quindi, gli Stati membri non possono che applicare la definizione doganale.

Il Disegno di Legge europea 2015, modificando l’art. 49 bis, finisce di fatto per abrogare implicitamente la definizione nazionale, lasciando spazio unicamente a quella europea.

  • Il comma 49 bis, inoltre, definisce “fallace indicazione” l’uso del marchio che induce il consumatore a ritenere che il prodotto abbia origine italiana, quando manchino precise indicazioni sull’effettiva origine del suo principale ingrediente.

Il Reg. n. 1169/2011 prevede che le sanzioni amministrative (pecuniarie) in caso di fallace indicazione dell’origine di un prodotto possono essere comminate solo se le informazioni inducono effettivamente in errore il consumatore, e che tale aspetto va determinato concretamente dalle autorità coinvolte nel caso specifico.

Viene proposta, dunque, la modifica dell’art. 49 bis: “Costituisce fallace indicazione e induzione in errore del consumatore l’uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana (…)”quando questi ultimi non siano corredati da indicazioni sull’origine o provenienza estera sufficienti ad evitare che il consumatore cada in errore o non siano accompagnati da attestazioni del titolare o licenziatario del marchio sulle informazioni che saranno date in fase di commercializzazione.

Per queste ipotesi, salvo che il fatto costituisca reato, la relativa sanzione amministrativa pecuniaria va “da euro 10.000 ad euro 250.000”.

 Cosa cambia per gli operatori del settore alimentare?europa

Se le disposizioni illustrate, così come proposte a livello europeo, dovessero essere approvate, per gli imprenditori del settore alimentare e dei settori specifici (olio, miele) coinvolti vi saranno nuove regole oltre a quelle già previste dal Reg. n. 1169/2011.


[1] Il sistema è operativo dall’aprile 2008, come strumento di assistenza per i cittadini e le imprese per garantire la corretta applicazione del diritto dell’UE e per porre rimedio, in tempi rapidi ed efficaci, alle eventuali violazioni. Dall’anno della sua creazione, il sistema pare funzionare secondo le aspettative.

[2] Con la L. n. 161/2014, art. 18 (Legge europea 2013 bis).

[3] Comma 49 bis aggiunto dall’art. 43, comma 1 quater, del D.L. n. 83/2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 134/2012.

Entra finalmente in vigore il Regolamento UE n. 2283/2015 relativo ai nuovi alimenti.

europaDopo una prima proposta di Regolamento presentata nel 2008, abbandonata senza risultato nel 2011 per le difficoltà incontrate in tema di clonazione, abbiamo una nuova normativa europea sui novel food, che scalza integralmente, abrogandolo a far data dal 1 gennaio 2018, il precedente Reg. n. 258/1997 (insieme al Reg. n. 1852/2001[1]).

La prima normativa comunitaria del 1997, risultava ormai superata perché ancorata a dati scientifici e tecnici che in questi quasi venti anni hanno fatto passi avanti, così come sono mutate le abitudini e le esigenze alimentari, che rendono necessarie nuove disposizioni, aggiornate e adeguate.

Secondo l’art. 1, comma 2, del vecchio Regolamento, per nuovi alimenti si dovevano intendere “prodotti e ingredienti alimentari non ancora utilizzati in misura significativa per il consumo umano nella Comunità”.

Per poter commercializzare i novel food nel mercato europeo, era prevista una particolare procedura di autorizzazione, sul presupposto (da dimostrare, a cura del richiedente) che il nuovo alimento non fosse rischioso per il consumatore, non lo potesse indurre in errore, e non fosse differente dal punto di vista nutrizionale rispetto ai prodotti che andava a sostituire. La domanda di autorizzazione era rivolta allo Stato membro in cui il prodotto doveva essere immesso per la prima volta e alla Commissione. Se la valutazione scientifica effettuata dall’organismo scientifico nazionale non suscitava obiezioni né osservazioni, la procedura si concludeva con esito positivo e lo Stato membro a cui era stata rivolta la domanda comunicava che il nuovo alimento poteva circolare liberamente sul mercato comunitario, salva la possibilità per gli Stati membri di disporre misure temporanee di salvaguardia qualora fossero emersi rischi per la salute umana o per l’ambiente.

I principi e le finalità generali vigenti in materia di novel food rimangono sostanzialmente i medesimi della disciplina del 1997.

Viene confermata, come già accadeva nel Regolamento del 1997, l’esclusione degli OGM[2] (i prodotti e gli ingredienti alimentari costituiti da OGM, o prodotti a partire da OGM ma che non li contengono), e la loro autonoma previsione nel Reg. CE n. 1829/2003 sugli alimenti e mangimi geneticamente modificati.

Inoltre, sono esclusi gli alimenti usati come enzimi alimentari di cui al Reg. CE n. 1332/2008; gli additivi alimentari di cui al Reg. CE n. 1333/2008; gli aromi alimentari di cui al Reg. CE n. 1334/2008; i solventi da estrazione di cui alla Dir. 2009/32/CE (art. 2).

Tra gli obiettivi del nuovo Regolamento, rimane quello di “garantire l’efficace funzionamento del mercato interno, assicurando nel contempo un elevato livello di tutela della salute umana e degli interessi dei consumatori” (art. 1, comma 2), attraverso una maggiore semplificazione delle procedure di autorizzazione, una riduzione delle tempistiche[3], l’aggiornamento delle definizioni stesse contenute della disciplina (che oggi vanno richiamate a quelle del Reg. n. 178/2002 sulla sicurezza alimentare).

Cosa sono i novel food nel 2016?

La definizione è data dall’art. 3, comma 2, Reg. n. 2283/2015: “nuovo alimento è qualunque alimento non utilizzato in misura significativa per il consumo umano nell’Unione prima del 15 maggio 1997, a prescindere dalla data di adesione all’Unione degli Stati membri” che abbia:

una struttura molecolare nuova o volutamente modificata; che sia costituito, isolato o prodotto da microorganismi, funghi, alghe; o da materiali di origine minerale; o da piante o parti di piante; o da animali o parti di animali; o da colture cellulari; che risulti da un nuovo processo di produzione che comporti cambiamenti sui valori nutrizionali, sul metabolismo, sul tenore delle sostanze indesiderabili; che sia costituito da nanomateriali ingegnerizzati[4]; le vitamine e i minerali; gli alimenti utilizzati esclusivamente in integratori alimentari se destinati ad uso diverso.

novel food 1Una novità del Reg. UE n. 2283/2015 (artt. 6-9) è l’istituzione dell’Elenco dell’Unione dei nuovi alimenti autorizzati. Potrà essere effettivamente immesso nel mercato solo un nuovo alimento autorizzato che sia stato anche inserito nell’Elenco. La Commissione provvede all’aggiornamento dell’Elenco solamente se l’alimento in questione non presenta rischio per la salute umana, non è idoneo a trarre in errore il consumatore, non differisce in maniera svantaggiosa per il consumatore, nei valori nutrizionali, rispetto all’alimento che va a sostituire.

La nuova procedura di autorizzazione all’immissione

Semplificata e velocizzata rispetto a quella del 1997.

La domanda, con le modalità descritte all’art. 10, completa di dati personali, descrizione dell’alimento, prove scientifiche sulla sua sicurezza, proposte sulle condizioni di uso e sull’etichettatura, è presentata dal richiedente (lo Stato membro, il Paese terzo, la parte interessata) alla Commissione, che ne dà comunicazione agli Stati membri e, se necessario, chiede un parere all’EFSA[5] che provvede ai sensi dell’art. 11. Se la domanda viene accolta, si valuta l’inserimento nell’Elenco (art. 12).

L’art. 26 prevede una particolare tutela dei dati nel caso in cui sia richiesto, contestualmente alla domanda di autorizzazione (ad esclusione delle notifiche e domande relative a alimenti tradizionali da paesi terzi), che le nuove prove o i nuovi dati scientifici ad essa correlati non vengano utilizzati a vantaggio di una domanda successiva nei cinque anni successivi alla data di autorizzazione, senza che vi sia il consenso del primo richiedente. Questa tutela è riservata anche se il richiedente aveva indicato come protetti da proprietà industriale le nuove prove o dati scientifici, aveva diritto esclusivo di riferimento a tali prove e dati protetti da proprietà industriale, o se il nuovo alimento non avrebbe potuto essere valutato dall’EFSA né autorizzato se il richiedente non avesse fornito tali prove e dati, e l’inserimento nell’Elenco ha i requisiti specifici di cui all’art. 27.

E per richiedere l’immissione sul mercato dell’Unione di un alimento tradizionale da un Paese terzo[6]?

Potremo davvero trovare cavallette al banco frigo del supermercato?

In questo caso, è prevista una procedura specifica, più semplice, con cui basta presentare alla Commissione una notifica, corredata da informazioni e dati riguardanti la composizione dell’alimento, i paesi di origine, la storia dell’uso come alimento sicuro (art. 14).

La Commissione inoltra la notifica agli Stati membri e all’EFSA, che possono presentare obiezioni sulla sicurezza dell’alimento. Se non vi sono obiezioni, la Commissione autorizza l’immissione e provvede all’inserimento nell’Elenco.

Forse, mangiare gli insetti tanto graditi in Thailandia non sarà poi così difficile nemmeno per noi!novel food 2

Sono previsti alcuni obblighi aggiuntivi per garantire la tutela della salute:

Ad esempio, la Commissione, per motivi di sicurezza alimentare e tenuto conto del parere dell’EFSA, possa prevedere obblighi di monitoraggio successivi all’immissione sul mercato del nuovo alimento, tra cui anche l’identificazione dei pertinenti operatori del settore alimentare (art. 24).

Inoltre, gli operatori del settore alimentare che hanno immesso sul mercato un nuovo alimento hanno l’obbligo di informare immediatamente la Commissione quando vengono a conoscenza di nuove informazioni scientifiche o tecniche che possono incidere sulla valutazione di sicurezza del nuovo alimento, o di eventuali restrizioni o divieti sull’alimento stesso da parte di Paesi terzi in cui è stato immesso (art. 25).

E le sanzioni?

Il Reg. n. 2283/2015 prevede che saranno gli Stati membri a individuare le relative sanzioni per i casi di violazione delle sue disposizioni, limitandosi a ricordare che tali sanzioni dovranno essere “efficaci, proporzionate, dissuasive”.

Quali opportunità per le imprese alimentari?

L’adozione del nuovo Regolamento, giustificata dalla necessità di adeguare le procedure e i criteri di autorizzazione agli sviluppi scientifici e tecnologici degli ultimi anni, sembra voler incoraggiare le imprese del settore alimentare all’apertura verso nuovi prodotti, anche verso le tradizioni dei Paesi extra UE, per l’immissione sul mercato e la commercializzazione di nuovi cibi e al realizzazione di nuovi traguardi imprenditoriali.


[1] Il Reg. CE n. 1821 del 20 settembre 2001 riguarda le norme per rendere accessibili al pubblico alcune informazioni e per la tutela delle informazioni presentate in virtù del Reg. n. 258/1997.

[2] La definizione normativa è quella dell’art. 2, Direttiva 2001/18/CE, secondo cui OGM è “un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale” con le tecniche indicate nell’All. I della medesima Direttiva.

[3] Attualmente, la durata media della procedura di autorizzazione è di circa tre anni e mezzo.

[4] Per nanomateriale ingegnerizzato l’art. 3, comma 2, lett.f) intende “qualunque materiale prodotto intenzionalmente caratterizzato da una o più dimensioni dell’ordine di 100nm o inferiori, o che è composto di parti funzionali distinte, interne o in superficie, molte delle quali presentano una o più dimensioni dell’ordine di 100nm o inferiori, compresi strutture, agglomerati o aggregati che possono avere dimensioni superiori all’ordine di 100nm, ma che presentano proprietà caratteristiche della scala nanometrica”. Il Reg. UE n. 2283/2015 ha modificato il Reg. UE n. 1169/2011 sull’etichettatura degli alimenti, prevedendo tale definizione nell’art. 2, par.1, lett.h).

[5] European Food Safety Agency, ovvero Autorità europea per la sicurezza alimentare, con sede a Parma, istituita e disciplinata dagli artt. 22 ss. del Reg. CE n. 178/2002.

[6] Secondo la definizione dello stesso reg. n. 2283/2015, si intende un alimento non utilizzato in maniera significativa prima del 15 maggio 1997, derivante da tutte le fasi della produzione, allevamento, coltivazione, che viene utilizzato nella dieta abituale di almeno un Paese terzo da almeno 25 anni da un numero significativo di persone, e per questo da ritenersi alimento sicuro.