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Posts di Consulenza Legislazione Alimentare

Nella situazione emergenziale dovuta al Covid-19, si è parlato tanto di app di tracciamento. Lo abbiamo fatto anche noi qui. Le medesime hanno attirato molto l’attenzione per la rilevanza dei dati che devono raccogliere e trasmettere; di conseguenza, molto ci si è interrogati circa la loro conformità alle normative in materia di privacy. Lungi dall’essere una scoperta degli ultimi mesi, in realtà le app di tracciamento sono diffuse da una decina di anni in tutto il mondo. E non si può dire che non abbiano anche raccolto dati “sensibili” dei loro utenti. Ci riferiamo in particolare a quella categoria di app che sono definite “family tracker”.

Vediamo quindi come le società sviluppatrici di queste app hanno cercato di realizzare prodotti redditizi, ma allo stesso tempo conformi alle leggi applicabili.

Prendiamo ad esempio due delle app più conosciute nel settore, Life360 e Find My Kids.

Il family tracking

Life360, direttamente dalla California, si descrive come “localizzatore” per la famiglia, che permette di vedere su una mappa privata la posizione dei membri di un “gruppo”, di chattare con essi e di ricevere diversi tipi di notifiche in relazione agli spostamenti degli altri soggetti.

Find My Kids, invece, è stata sviluppata in Russia ed offre un sistema di monitoraggio per famiglie, per garantire la sicurezza dei bambini ed il controllo da parte dei genitori, tramite l’installazione di due diverse app, rispettivamente sul telefono del genitore e del figlio. L’app può interagire anche con orologi GPS.

Alcuni dei dati che queste app raccolgono sono, ad esempio, oltre ad i dati identificativi e al numero di cellulare, la localizzazione, registrazioni di suoni, foto, siti consultati e dati statistici sulle modalità d’uso degli smartphone.

Quali sono quindi i requisiti da rispettare quando si sviluppano app simili, e cosa bisogna controllare come utenti?

Innanzitutto, se l’app si rivolge ad un mercato di utenti che potenzialmente si estende al mondo intero, si complica il requisito della conformità alle molteplici normative nazionali applicabili. Mentre è tutto più semplice se si progetta di destinare l’app ad un uso solo all’interno dell’Unione Europea.

Localizzazione dei server e trasferimento dei dati

Un aspetto fondamentale, ma spesso trascurato nelle informative privacy delle app, come si verifica per Find My Kids, è quello dell’indicazione della localizzazione dei server della società fornitrice e della previsione, o meno, del trasferimento dei dati a soggetti stabiliti in Paesi terzi. L’utente dovrebbe infatti essere informato di queste circostanze, perché i Paesi in cui sono conservati i suoi dati potrebbero garantire un livello minore di protezione.

Diritti degli utenti interessati

Si mette inoltre in evidenza che le leggi degli Stati attribuiscono di per sé diritti ai singoli individui, che, in quanto fondamentali, non sono rinunciabili tramite contratti stipulati con altri soggetti. Nel settore delle app bisogna considerare l’esistenza di questi diritti, al fine di garantirne l’esercizio effettivo agli utenti. Si rischia altrimenti di ostacolare l’esercizio di diritti anche fondamentali e di causare danni inestimabili. Occorre quindi adottare misure di sicurezza e procedure tecniche che permettano, ad esempio, la correzione dei dati personali raccolti, la loro cancellazione, l’accesso agli stessi e la loro portabilità. Se si implementano tali misure, è necessario informare l’utente del modo in cui può servirsene. Questo è un elemento che, per esempio, manca, nella privacy policy di Find My Kids, dove è assente qualsiasi riferimento al diritto di accesso ai dati, al diritto alla loro portabilità o al diritto di rettifica.

App per minori

Se si sceglie poi di sviluppare un’app destinata appositamente ad essere utilizzata da soggetti minori, le cautele da richiamare si moltiplicano. Qualsiasi consenso, ad esempio, non è valido se fornito dal minore stesso ed il fornitore dell’app deve essere in grado di dimostrare di averlo legittimamente raccolto dai genitori. In realtà, il riferimento andrebbe più correttamente fatto non alla minore età, bensì all’età richiesta per esprimere il consenso al trattamento dei propri dati personali, che varia da Stato a Stato, anche a livello europeo (dove però non può mai essere inferiore ai 13 anni).

È in ogni caso consigliabile ridurre al minimo la raccolta di dati di minori, ad esempio consentendo la creazione di avatar, ed evitare l’utilizzo degli stessi a scopi marketing.

Le app Life360 e Find My Kids prevedono a tale scopo che i genitori possano esprimere il consenso al trattamento dei dati dei figli, tramite la compilazione di un modulo reperibile online e che deve essere poi inviato alla società.

Non bisogna tuttavia dimenticare che la protezione dei dati personali è solo uno degli aspetti da valutare quando si progettano app estremamente “invasive” per la vita degli individui. Si pensi solo, ad esempio, all’ipotesi che un’app per il family tracking sia utilizzata da un genitore violento o che abusi (anche emotivamente) dei figli.  O ai pericoli che si correrebbero qualora lo smartphone con l’app suddetta finisse nelle mani di un soggetto malintenzionato.

I dati raccolti tramite queste app possono essere venduti a soggetti terzi?

Allo scopo di valorizzare le app come prodotti commerciali, a molti potrebbe venire la forte tentazione di rivendere a terzi i numerosissimi e preziosissimi dati che esse raccolgono. In questo caso, è necessario ottenere apposito consenso dagli utenti. Ad esempio, Life360 raccoglie i dati sull’esperienza di guida degli utenti e li cede ad una società di analisi dati, che elabora statistiche per conto di società assicuratrici o di altri soggetti interessati. Tuttavia, la medesima informa di questo trattamento l’utente, che può scegliere di negare il consenso a tale ulteriore utilizzo dei propri dati.

Profilazione e marketing

Parimenti, molte società potrebbero decidere di intraprendere una profilazione massiva degli utenti, per rivolgere loro una pubblicità personalizzata. Per usare i dati raccolti anche per finalità di marketing, tuttavia, è necessario ottenere il consenso degli utenti, che devono poter essere in grado di stabilire in base a quali dati possono essere profilati, quale tipo di pubblicità sono interessati a ricevere e in che modo preferiscono riceverla (ad esempio, con notifiche o tramite e-mail). Più si permette all’utente di personalizzare il suo uso dell’app, meno si rischia che lo stesso sia lesivo per i suoi interessi.

Come vedi, creare un’app può essere molto redditizio, ma bisogna fare attenzione alle norme di legge. Qualora decidessi di sviluppare un nuovo applicativo, possiamo fornirti supporto nell’individuazione delle misure di sicurezza da applicare, al fine del rispetto della normativa privacy.

Qualche giorno fa il Ministero della Salute ha pubblicato le “Linee guida per la promozione dell’uso prudente degli antimicrobici negli allevamenti zootecnici per la prevenzione dell’antimicrobico-resistenza”, al fine di dare agli operatori del settore indicazioni utili per controllare e prevenire l’uso inappropriato di antimicrobici che costituisce ad oggi un rischio concreto per la salute animale e per gli allevatori e influisce negativamente sulla produzione e sull’efficienza degli allevamenti.

Il documento vuole quindi contribuire a ridurre l’uso inappropriato di tali medicinali nella zootecnia e promuovere un approccio prudente e controllato, contestualmente evidenziare l’importanza del rispetto delle condizioni di benessere degli animali, della corretta gestione nutrizionale, dell’igiene, insieme ad attività di monitoraggio delle malattie infettive e di appropriate campagne di vaccinazione degli animali.

Tutto ciò, per ridurre al minimo la necessità di ricorrere all’impiego di antimicrobici.

In particolare, il documento richiama la responsabilità degli operatori coinvolti nella filiera zootecnica, propone un approccio integrato (biosicurezza, management generale, programmi vaccinali, prodotti alternativi…), evidenzia la principale normativa di settore, offre una Scheda dedicata agli studi condotti sulla profilassi immunitaria come strategia per ridurre il consumo degli antibiotici, ed un elenco di definizioni utili.

Le Linee Guida fanno parte della più ampia strategia nazionale per il contenimento dell’antimicrobico-resistenza prevista dal Piano nazionale di contrasto dell’antimicrobico-resistenza (PNCAR) 2017-2020 e saranno seguite da ulteriori linee guida specifiche, elaborate in collaborazione con Regioni/Organizzazioni/Associazioni e dedicate sia alle diverse specie zootecniche/tipologie di produzione che agli animali da compagnia.

La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 15.07.2018 nella Causa C-528/16, ha chiarito il rapporto tra gli organismi ottenuti mediante tecniche di mutagenesi e gli OGM, e ne ha definito l’ambito di applicazione della normativa.

Nel 2015 era stato presentato ricorso avanti il Consiglio di Stato Francese da parte di nove ricorrenti che sostenevano che le tecniche di mutagenesi si sono evolute nel tempo e consentono ormai di produrre, così come le tecniche di transgenesi, varietà resistenti a un erbicida; gli obblighi di cui alla Direttiva 2001/18[1] per gli OGM non sono tuttavia applicabili a tali varietà, sebbene presentino rischi per l’ambiente o la salute, e pertanto richiedevano l’annullamento della decisione di primo grado in merito alla loro domanda diretta ad abrogare la norma che esclude la mutagenesi dalle tecniche che determinano una modifica genetica[2].

Il Consiglio di Stato francese ha dunque sospeso il procedimento inviando alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per la definizione di quattro questioni pregiudiziali.

Prima questione: riscontrando che le mutazioni ottenute dalle tecniche o metodi di mutagenesi, diretti a produrre varietà di specie vegetali resistenti a un erbicida, costituiscono modifiche arrecate al materiale genetico di un organismo, e che dette tecniche o detti metodi possono implicare il ricorso ad agenti mutageni chimici o fisici o il ricorso all’ingegneria genetica, modificando il materiale genetico di un organismo secondo modalità non realizzate naturalmente, la Corte ha stabilito che tali organismi vanno considerati Ogm e rientrano nella definizione della Direttiva. Inoltre, ha concluso che sono esclusi dagli obblighi della Direttiva solo gli organismi ottenuti attraverso determinate tecniche di modificazione genetica utilizzate convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza.

Seconda questione: la Corte ha ritenuto che le varietà ottenute mediante tecniche o metodi di mutagenesi devono ritenersi rientranti nella nozione di «varietà geneticamente modificate», di cui all’art. 4, par. 4, della Direttiva 2002/53 e che le varietà geneticamente modificate ottenute con tecniche o metodi di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza sono esenti dagli obblighi previsti dall’art.4, par.4.

Terza questione: la Corte ha ritenuto che il Legislatore dell’Unione non ha previsto specifiche ed ulteriori norme a carico degli Stati membri, ma solo stabilito alcune deroghe alla Direttiva, e ha così lasciato spazio agli Stati membri di legiferare autonomamente, nel rispetto del diritto dell’Unione e così far applicare gli obblighi previsti dalla Direttiva stessa, o altri obblighi.

Quarta questione: la Corte conclude ritenendo di non doversi pronunciare sulla validità dell’art.2 e dell’art.3 della Direttiva 2001/18 in relazione al principio di precauzione, perché a seguito della sua stessa interpretazione tali due norme sarebbe nel senso non escludono dall’ambito di applicazione della Direttiva tutti gli organismi ottenuti mediante tecniche o metodi di mutagenesi, indipendentemente dalla tecnica utilizzata.

Quindi, in sintesi, gli organismi ottenuti per mezzo di tecniche o metodi di mutagenesi sono da considerarsi OGM e, in generale, ad essi valgono gli obblighi stabiliti dalla Direttiva 2001/18, con esclusione degli organismi ottenuti mediante tecniche di mutagenesi utilizzate convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza, e salva la possibilità per gli Stati membri di prevedere che anche tali organismi ne siano assoggettati oppure di prevedere altri specifici obblighi.

[1] Direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio.

[2] Trattasi dell’art. D.531-2 del codice dell’ambiente, che traspone la Direttiva 2001/18.

Continua la ricerca sugli effetti del BPA

La ricerca sugli effetti delle sostanze e dei materiali a contatto con gli alimenti non si ferma, ed EFSA procede con studi mirati alla nuova verifica dei più recenti dati tossicologici sul BPA.

Il Bisfenolo A, come avevamo già visto a suo tempo, è una sostanza chimica presente nel policarbonato in grado di interagire o interferire con la normale attività ormonale di persone e animali, e di provocare effetti avversi per la salute di adulti e soprattutto bambini e neonati, sullo sviluppo, sulla crescita e sull’apparato riproduttivo.

Nel 2017 è stato elaborato un protocollo apposito a seguito di consultazione pubblica, un piano particolareggiato che stabilisce in anticipo e in maniera trasparente l’ambito, la metodologia e le esigenze in termini di dati prima che una valutazione abbia inizio.

Il corrente mese di settembre sarà dichiaratamente dedicato all’inizio dei lavori di ricerca per riesaminare il livello di sicurezza temporaneo stabilito in esito agli studi precedenti e alla valutazione del rischio del 2015.

In particolare, il gruppo di esperti valuterà i risultati del programma CLARITY-BPA condotto negli Stati Uniti e concluso nel febbraio 20128, mentre la pubblicazione dei risultati circa i potenziali effetti sulla salute del BPA a basse dosi è prevista per il prossimo mese di ottobre.

Tutti i nuovi studi e dati pertinenti sul BPA pubblicati a partire dal 31 dicembre 2012 possono essere presentati all’EFSA per l’eventuale inclusione in questa imminente revisione della sicurezza del BPA. Il termine per l’invio ad EFSA di studi e dati inerenti la valutazione del BPA è il 15 ottobre 2018.

EFSA pubblica anche un “calendario” delle attività e degli obiettivi per questa specifica attività, che dovrebbe concludersi nel 2020.

Siamo stati contattati da un’impresa del settore prodotti da forno, la quale ci chiede se, in riferimento ad alcuni dei suoi prodotti, sia possibile utilizzare sul packaging, sito web, ed altri canali comunicativi la dicitura “funzionale”.

Innanzitutto, ricordiamo che per la categoria degli alimenti “funzionali” non esiste una normativa unitaria ma occorre fare riferimento, a seconda dell’alimento e del caso concreto, alla relativa sua disciplina che va individuata tra i diversi campi normativi “verticali” della legislazione alimentare.

Per fare un esempio, gli alimenti addizionati di vitamine e minerali ricadono nel campo di applicazione del Reg. (CE) n. 1925/2006, mentre per gli alimenti addizionati di fitosteroli originariamente vi era il Reg. (CE) n. 608/2004, poi abrogato dal Reg. (UE) n. 1169/2011 (in particolare, il testo è stato trasfuso nell’allegato III).

Tuttavia, qualunque alimento, potenzialmente funzionale, può diventare tale se ci si fa carico di individuarne e documentarne gli specifici effetti utili sulla salute, secondo i criteri previsti dal Reg. (CE) n. 1924/2006 che si pone come unico comune denominatore degli “alimenti funzionali”, con cui si devono confrontare tutti gli alimenti che aspirino a tale “qualifica”, a prescindere dalla loro eventuale collocazione in un campo normativo specifico della legislazione alimentare. Primo tra tutti, la necessità di richiedere (ed ottenere) l’autorizzazione ad utilizzare una certa dicitura.

Pertanto, non è possibile utilizzare il termine “funzionale” tout court ma, qualora l’azienda voglia evidenziare una caratteristica nutrizionale e/o salutistica, rispettivamente, dell’alimento e/o di una o più sostanze specifiche in esso contenuta/e, andranno utilizzate solo quelle indicazioni nutrizionali e/o sulla salute conformi alle disposizioni del suddetto Regolamento.

Riportiamo alcuni articoli principali:

Art. 5: condizioni generali

L’impiego di indicazioni nutrizionali e sulla salute è permesso soltanto se sono rispettate le seguenti condizioni:

a) se è dimostrato che la presenza, l’assenza o il contenuto ridotto in un alimento o categoria di alimenti di una sostanza nutritiva o di altro tipo rispetto alla quale è fornita l’indicazione ha un effetto nutrizionale o fisiologico benefico, sulla base di prove scientifiche generalmente accettate;

b) la sostanza nutritiva o di altro tipo rispetto alla quale è fornita l’indicazione: i) è contenuta nel prodotto finale in una quantità significativa ai sensi della legislazione europea o, in mancanza di tali regole, in quantità tale da produrre l’effetto nutrizionale o fisiologico indicato, sulla base di prove scientifiche generalmente accettate, o ii) non è presente o è presente in quantità ridotta, in modo da produrre l’effetto nutrizionale o fisiologico indicato, sulla base di prove scientifiche generalmente accettate;

c) se del caso, la sostanza nutritiva o di altro tipo per la quale è fornita l’indicazione si trova in una forma utilizzabile dall’organismo;

d) la quantità del prodotto tale da poter essere ragionevolmente consumata fornisce una quantità significativa della sostanza nutritiva o di altro tipo cui si riferisce l’indicazione, ai sensi della legislazione comunitaria o, in mancanza di tali regole, una quantità tale da produrre l’effetto nutrizionale o fisiologico indicato, sulla base di prove scientifiche generalmente accettate;

e) sono conformi alle condizioni specifiche di cui al capo III (condizioni specifiche sulle indicazioni nutrizionali) o IV (condizioni specifiche sulle indicazioni salutistiche), secondo il caso.

Le indicazioni nutrizionali e sulla salute possono essere utilizzate solo se ci si può aspettare che il consumatore medio comprenda gli effetti benefici secondo la formulazione riportata sull’indicazione.

Art.1, paragrafo 3

Un marchio, denominazione commerciale o denominazione di fantasia riportato sull’etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità di un prodotto alimentare che può essere interpretato come indicazione nutrizionale o sulla salute può essere utilizzato senza essere soggetto alle procedure di autorizzazione previste dal presente regolamento a condizione che l’etichettatura, presentazione o pubblicità rechino anche una corrispondente indicazione nutrizionale o sulla salute conforme alle disposizioni del presente regolamento.

INDICAZIONI NUTRIZIONALI Articolo 8: Condizioni specifiche

Le indicazioni nutrizionali sono consentite solo se elencate nell’allegato e conformi alle condizioni stabilite dal regolamento.

Allegato al Regolamento (CE) n. 1924/2006 e ss.mm.: Indicazioni nutrizionali e relative condizioni di applicazione.

INDICAZIONI SULLA SALUTE Articolo 10: Condizioni specifiche

Le indicazioni sulla salute sono vietate a meno che non siano conformi al Reg. n. 1924/2006 e, in particolare, ai requisiti generali del capo II e ai requisiti specifici relativi alle indicazioni sulla salute e non siano autorizzate a norma del regolamento stesso e incluse nell’elenco delle indicazioni autorizzate di cui agli articoli 13 e 14.

Le indicazioni sulla salute sono consentite solo se sull’etichettatura o, in mancanza di etichettatura, nella presentazione e nella pubblicità sono comprese le seguenti informazioni:

a) una dicitura relativa all’importanza di una dieta varia ed equilibrata e di uno stile di vita sano;

b) la quantità dell’alimento e le modalità di consumo necessarie per ottenere l’effetto benefico indicato;

c) se del caso, una dicitura rivolta alle persone che dovrebbero evitare di consumare l’alimento, e

d) un’appropriata avvertenza per i prodotti che potrebbero presentare un rischio per la salute se consumati in quantità eccessive.

Benefici generici:

Il riferimento a benefici generali e non specifici della sostanza nutritiva o dell’alimento per la buona salute complessiva o per il benessere derivante dallo stato di salute è consentito soltanto se accompagnato da un’indicazione specifica sulla salute inclusa negli elenchi di cui agli articoli 13 o 14.

Si ritiene, pertanto, che l’azienda non potrà fare uso della dicitura generica “funzionale” in riferimento ad alcuni dei suoi prodotti ma sarà necessario, se interesse dell’azienda stessa, individuare la specifica attività funzionale dell’alimento, effettuare le opportune verifiche tecnico scientifiche ed elaborare un’etichetta consona al prodotto (e alla caratteristica che si vuole, appunto, evidenziare e veicolare ai consumatori).

Il 20 maggio scorso si è celebrata la giornata mondiale delle api.

In questa data, scelta dalle Nazioni Unite in ricordo del ricercatore sloveno Anton Janša che nel diciottesimo secolo aveva apprezzato ed evidenziato le enormi potenzialità e capacità delle api, e che per primo utilizzò alcune delle moderne tecniche di apicoltura.

Lo straordinario mondo delle api, affascinante e fondamentale per l’ambiente e l’agricoltura, rimane purtroppo esposto a pericoli e minacce (soprattutto chimiche), come abbiamo raccontato in alcuni nostri precedenti interventi sul tema dove abbiamo presentato il gruppo di lavoro dell’EFSA Must-B, che dal 2015 si occupa di studi e ricerche sui fattori di stress che più fortemente minacciano e condizionano le api, per elaborare appositi modelli di valutazione del rischio.

Ora, è in partenza un partenariato UE, che sarà presentato a Bruxelles a fine giugno, a cui possono partecipare rappresentanti di associazioni di apicoltori, organizzazioni ambientaliste, associazioni di agricoltori, industrie fitosanitarie e veterinarie, nonché valutatori del rischio, scienziati e veterinari.

Questo nuovo sforzo scientifico mira al miglioramento della raccolta, gestione e condivisione dei dati sulla salute e sui pericoli delle api in Europa e non solo, in particolare concentrandosi su:

  • sviluppo di un repertorio di dati sulla salute di api mellifere, bombi e api solitarie;
  • individuazione di modalità per armonizzare la raccolta e la gestione dei dati;
  • sviluppo di strumenti per la valutazione della salute delle api, per assistere gli apicoltori, gli agricoltori e altri soggetti.

Il tutto verrà presentato alla prossima Settimana europea delle api e dell’impollinazione, giunta alla settima edizione, dal 26 al 28 giugno 2018, organizzata dall’Intergruppo del Parlamento Europeo “Cambiamento climatico, sviluppo sostenibile e biodiversità”, dedicata al tema “I passi dell’agricoltura per la tutela le api”.

La Commissione europea consente ai cittadini di conoscere le iniziative politiche e legislative e di partecipare attivamente prendendo parte alla formazione degli atti e delle decisioni nelle materie di loro interesse, grazie allo spazio loro dedicato nell’ambito di “Legiferare meglio”.

I cittadini possono infatti inviare suggerimenti, osservazioni e pareri sulla normativa in vigore e anche in qualche modo intervenire nella procedura di formazione di nuovo materiale legislativo.

Stavolta, dallo scorso 15 maggio e sino al prossimo 12 giugno, i cittadini possono esprimere la propria opinione in materia di normativa vitivinicola, in particolare inviando il proprio parere sulla bozza di Regolamento delegato della Commissione che integra il Reg. UE n.1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio[1].

Il Regolamento delegato è un atto mediante il quale la Commissione europea può integrare o modificare parti non essenziali di norme dell’Unione, e viene adottato dalla Commissione dopo aver sottoposto la bozza alla consultazione di gruppi di esperti in materia, e salvo obiezioni da parte di Parlamento e Consiglio.

La bozza di Regolamento delegato della Commissione attualmente pubblicata e aperta alle opinioni dei cittadini propone, con riguardo ai prodotti vitivinicoli, integrazioni al Reg. UE n.1308/2013 circa le modalità di presentazione delle domande riguardanti le denominazioni di origine protette, le indicazioni geografiche protette, le menzioni tradizionali, e le procedure di opposizione e di cancellazione, e suggerisce dettagli circa le restrizioni d’uso, modifiche del disciplinare, cancellazione della protezione, l’etichettatura e la presentazione (ad esempio sull’indicazione del tenore alcolico e l’imbottigliamento…).

Per partecipare alla formazione di questo nuovo atto delegato della Commissione e inviare il proprio parere, lasciando i propri dati oppure in forma anonima, occorre accedere alla pagina web ed effettuare la registrazione, poi seguire le semplici istruzioni…un’occasione da non perdere!

[1] REGOLAMENTO (UE) N. 1308/2013 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 17 dicembre 2013 recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e che abroga i regolamenti (CEE) n. 922/72, (CEE) n. 234/79, (CE) n. 1037/2001 e (CE) n. 1234/2007 del Consiglio.

Addio, caro vecchio D. Lgs. n.109/1992.

Da ieri, il Decreto Legislativo n.231/2017, Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori e l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del medesimo regolamento (UE) n. 1169/2011 e della direttiva 2011/91/UE, ai sensi dell’articolo 5 della legge 12 agosto 2016, n. 170 «Legge di delegazione europea 2015» è in vigore.

Nate in un freddo giorno di inverno, le sanzioni amministrative iniziano le prime passeggiate primaverili, cercando qualche operatore del settore alimentare responsabile da poter multare, sempre che la condotta illecita non configuri un’ipotesi di reato, dovendo in tal caso cedere il posto alla normativa penale.

…e ricordiamo che da ieri non è responsabile solo il soggetto con il cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto o, se tale operatore non è stabilito nell’Unione, l’importatore avente sede nel territorio dell’Unione, ma anche l’operatore del settore alimentare il cui nome o la cui ragione sociale siano riportati in un marchio depositato o registrato”.

Imprese, imprenditori….siate virtuosi ed attenti a quanto riportate e veicolate nelle etichette, sul sito web, nei depliant, nelle brochure, negli stand.

Sebbene il D.Lgs. n.231/2017 vi conceda qualche occasione di scampo (riduzione della sanzione se pagate entro 5 giorni, invio della diffida e termine di 20 giorni…) le sanzioni restano molto severe come nei casi di violazione degli obblighi in materia di indicazione di allergeni dell’art.9, par.1, lett.c) del Reg. n.1169/2011 (somma da 5.000 € a 40.000 €), e i casi di cessione e vendita di alimento oltre la sua data di scadenza (anche qui, somma da 5.000 € a 40.000 €).

In ogni caso, la nuova norma consente comunque (ma fino a quando?) di commercializzare “gli alimenti immessi sul mercato o etichettati prima della data di entrata in vigore del presente decreto in difformità dallo stesso”“fino all’esaurimento delle scorte”.

Dal dicembre 2016 ad oggi, l’Italia ha dato alla luce alcuni Decreti Interministeriali (Mipaaf-Mise) che hanno introdotto l’obbligo di indicare l’origine di alcune materie prime, in via provvisoria.

E così, in poco più di un anno, sono entrati in vigore quattro Decreti Interministeriali: il D.Int. 9.12.2016 sull’indicazione di origine della materia prima di latte e prodotti lattiero-caseari, il D.Int. 26.7.2017 sull’indicazione di origine del grano duro per la pasta di semola, il D.Int. 26.7.2017 sull’indicazione di origine del riso, il D.Int. 16.11.2017 sull’indicazione di origine del pomodoro. Norme che rispettivamente impongono agli operatori del settore alimentare l’obbligo di informare il consumatore circa l’origine del latte, l’ origine del grano, l’origine del riso e quella del pomodoro. In via provvisoria.

Ma l’origine di un prodotto, cos’è?

In generale nel nostro Paese la definizione è tratta dal Reg. UE n. 952/2013 (Codice Doganale dell’Unione) che all’art. 60 prevede che Le merci interamente ottenute in un unico paese o territorio sono considerate originarie di tale paese o territorio” e, al comma 2 “Le merci alla cui produzione contribuiscono due o più paesi o territori sono considerate originarie del paese o territorio in cui hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione”.

Questo vale anche per i prodotti alimentari grazie al Reg. UE n.1169/2011, art.2, che nel fornire le relative definizioni di paese d’origine[1] e di luogo di provenienza[2], sostanzialmente richiama il Codice Doganale medesimo. Ed è proprio il Reg. UE n.1169/2011 che all’art.26, par.3 detta l’obbligo di indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza: Quando il paese d’origine o il luogo di provenienza di un alimento è indicato e non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario: a) è indicato anche il paese d’origine o il luogo di provenienza di tale ingrediente primario; oppure b) il paese d’origine o il luogo di provenienza dell’ingrediente primario è indicato come diverso da quello dell’alimento”. Inoltre, il successivo par.8 specifica che “entro il 13 dicembre 2013, e a seguito di valutazioni d’impatto, la Commissione adotta atti di esecuzione relativi all’applicazione del paragrafo 2, lettera b), del presente articolo[3] e all’applicazione del paragrafo 3 del presente articolo. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d’esame di cui all’articolo 48, paragrafo 2”.

Tali obblighi necessitano di ulteriori atti da parte dell’Unione, da emanarsi attraverso la specifica procedura, per poter divenire applicabili. Accade che i quattro Decreti Interministeriali sono stati emanati in via anticipatoria (della normativa europea) e dichiaratamente sperimentale (provvisoria), in attesa e fintanto che la Commissione europea eventualmente decida di adottare dei propri atti esecutivi. Conseguentemente, essi finiscono per perdere efficacia nel caso di adozione da parte della Commissione (prima del 31 marzo 2019 per il decreto latte e prima del 31.12.2020 per i decreti grano, riso, pomodoro) di atti esecutivi ai sensi dell’art. 26, par.8, Reg. UE n.1169/2011.

Ricordiamo che il Decreto Interministeriale 26.7.2017 sull’origine del grano era stato criticato da molte categorie di produttori di pasta che lamentavano gli ingenti costi a cui sarebbero stati costretti in generale per adeguare la loro attività alle disposizioni sull’indicazione di origine, ed erano scettici rispetto all’asserito bisogno di ulteriori informazioni da parte del consumatore, soprattutto perché tale bisogno era stato “rilevato” mediante semplici sondaggi on line[4] sul sito web del Mipaaf di dubbia valenza statistica.

Tale Decreto prevede che le confezioni di pasta secca prodotte in Italia debbano riportare obbligatoriamente in etichetta le seguenti diciture: a) Paese di coltivazione del grano: nome del Paese nel quale il grano viene coltivato; b) Paese di molitura: nome del paese in cui il grano è stato macinato. Se queste fasi avvengono nel territorio di più Paesi possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, devono riportare le seguenti diciture: Paesi UE, Paesi NON UE, Paesi UE E NON UE. Se invece il grano duro è coltivato almeno per il 50% in un solo Paese (es. Italia), si può usare la dicitura: “Italia e altri Paesi UE e/o non UE.

Il ricorso promosso dalle associazioni di categoria avanti il Tar Lazio, con cui chiedevano la sospensione del Decreto, è stato respinto con Ordinanza n.6197/2017 con cui il Tar (richiamando proprio gli esiti del criticato sondaggio on line) ha ritenuto prevalente l’interesse pubblico diretto a tutelare l’informazione dei consumatori. E così, respinta la richiesta di sospensione cautelare, l’iter è andato avanti e lo scorso febbraio il Decreto è entrato in vigore.

Restiamo in attesa di scoprire la sorte di questi provvedimenti, ai quali però, nel frattempo (in via provvisoria!), gli operatori del settore alimentare si devono adeguare.

[1] “si riferisce all’origine di tale prodotto, come definita conformemente agli articoli da 23 a 26 del regolamento (CEE) n. 2913/92” ora abrogato e sostituito, da ultimo, dal Codice doganale dell’Unione.

[2]  “qualunque luogo indicato come quello da cui proviene l’alimento”.

[3] Relativo all’obbligo di indicare paese di origine o luogo di provenienza “per le carni dei codici della nomenclatura combinata (NC) elencati all’allegato XI”ovvero specie suina, ovina, caprina e volatili.

[4] Secondo il Mipaaf ben 26.000 cittadini italiani avrebbero partecipato alla consultazione pubblica indetta per raccogliere informazioni circa l’interesse alla trasparenza delle etichette dei prodotti alimentari, dalla quale sarebbe emerso che l’85% di loro considera importante conoscere l’origine delle materie prime, e soprattutto della pasta, per questioni legate al rispetto degli standard di sicurezza alimentare.

Alcuni giorni fa il Mipaaf ha annunciato il via della selezione nazionale per il finanziamento di progetti dedicati alla limitazione degli sprechi alimentari, come previsto dalla Legge n.166/2016 di cui avevamo già parlato all’epoca della sua entrata in vigore.

In particolare, l’art.11, comma 2 della Legge, modificato dall’art.1, comma 208, lettera e) della Legge n. 205/2017, istituisce un fondo destinato al finanziamento di progetti innovativi integrati o di rete, finalizzati alla limitazione degli sprechi e all’impiego delle eccedenze con particolare riferimento ai beni alimentari e alla loro destinazione agli indigenti, nonché alla promozione della produzione di imballaggi riutilizzabili o facilmente riciclabili e al finanziamento di progetti di servizio civile nazionale.

Il Bando per la selezione pubblica nazionale per l’erogazione di contributi per il finanziamento di progetti innovativi, relativi alla ricerca e allo sviluppo tecnologico finalizzati alla limitazione degli sprechi e all’impiego delle eccedenze alimentari scade alle ore 16.00 del 10 maggio 2018, e vi possono partecipare, mediante la compilazione e invio dell’apposito Modulo (allegato II):

  • enti pubblici, università, organismi di diritto pubblico e soggetti a prevalente partecipazione pubblica;
  • associazioni, fondazioni, consorzi, società, anche in forma cooperativa e imprese individuali;
  • una aggregazione, nelle forme consentite dalla vigente normativa, anche temporanea o nella forma di start up, di due o più dei soggetti sopra individuati;
  • una rete di imprese, come definita dalla normativa vigente;
  • soggetti iscritti all’Albo nazionale ed agli Albi delle Regioni e delle Province autonome dell’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile.

È previsto, per questo nuovo bando (che segue quello del 2017, che aveva finanziato ben 10 progetti per complessivi 500.000 €), uno stanziamento di 700.000 €, e un finanziamento massimo di 50.000 € per ciascun progetto; le attività previste devono essere concluse entro un anno dall’approvazione del progetto, mediante pubblicazione della graduatoria.

Ricordiamo anche il Vademecum del Mipaaf con cui venivano dati alcuni consigli pratici da seguire nella quotidianità, per sprecare meno cibo ed acquistare e consumare più consapevolmente.