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Categoria: Export

Pensiamo ad una bevanda famosa, registrata col medesimo marchio e così venduta in molti Paesi, distribuita con la medesima confezione e immagine. Pensiamo, ad esempio, a Italia e Germania. Effettivamente, il consumatore tedesco potrebbe percepire, tra la bottiglia tedesca che acquista abitualmente nel supermercato sotto casa e quella italiana acquistata durante la sua vacanza sulle nostre spiagge alcune differenze nelle rispettive caratteristiche o composizione. La bevanda della stessa marca (stesso marchio, stessa confezione) ma acquistata in Paesi diversi, può risultare diversa agli occhi e al gusto del consumatore medio, di fatto determinando una disparità tra consumatori dell’uno o dell’altro Paese, soprattutto se dovesse risultare che il consumatore tedesco non avrebbe acquistato quella bottiglia in Italia se avesse saputo che aveva qualità differenti rispetto a quella da lui solitamente acquistata in Germania.

turista

Fino a quando le scelte strategiche dell’impresa, l’adeguamento alle diverse richieste del mercato, le particolarità nella fabbricazione a seconda del clima e delle diversità del luogo possono prevalere sulla legittima aspettativa del consumatore medio nei confronti di un prodotto di marca noto per le sue qualità e caratteristiche di composizione? Fino a quando tali differenze di qualità[1] sono legittime e non inducono in errore il consumatore? Quando, invece, sono contrarie alla normativa europea e costituiscono ipotesi di pratiche commerciali sleali?

Con COMUNICAZIONE DEL 29.09.2017[2], la Commissione europea ha pubblicato alcune considerazioni e piani di azione per aiutare le competenti Autorità degli Stati membri verso una corretta e comune applicazione delle norme, ha delineato alcuni criteri per l’individuazione di casi di differenze di qualità illegittime e ingiustificate, e suggerito conseguenti strategie contro le pratiche commerciali sleali ai danni del consumatore sulla base dei principi generali sanciti dal Reg. CE n.178/2002, le norme del Reg. UE n.1169/2011 sulle informazioni ai consumatori di alimenti, e la Dir. 2005/29/CE[3] sulle pratiche commerciali sleali.

Dopo aver evidenziato alcuni importanti aspetti contenuti nelle norme sopra ricordate, la Commissione ritiene necessario rafforzare alcuni punti per capire se effettivamente una certa pratica commerciale sia da considerare sleale e per adottare le misure opportune a tutela del consumatore, prospettando 4 AZIONI di intervento e strategia: 1.finanziamento e promozione di progetti nazionali di studio e ricerca per migliorare il rispetto della normativa di settore; 2.sviluppo di una metodologia di prova comune e armonizzata tra gli Stati, da parte del Centro comune di ricerca (JRC); 3.collaborazione e dialogo tra la Commissione, produttori e venditori al dettaglio, attraverso forum, riunioni e discussioni mirate; 4.orientamenti per le Autorità nazionali, con indicazioni operative per attuare la normativa e rafforzare i controlli e il contrasto alle pratiche sleali.

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Secondo gli orientamenti della Commissione, per poter valutare se una pratica commerciale sia in contrasto con la Direttiva occorre procedere con una valutazione caso per caso con cui dimostrare che: i consumatori, che hanno in mente un “prodotto di riferimento[4]”, riponevano alcune aspettative nel prodotto che hanno acquistato, che invece di discosta in maniera significativa; le informazioni sul prodotto fornite dal professionista ai consumatori non sono adeguate per consentire di comprendere che vi potrebbero essere delle differenze rispetto alle loro aspettative; le informazioni inadeguate o insufficienti sono tali da incidere in misura determinante sul comportamento economico del consumatore, inducendolo ad acquistare un prodotto che altrimenti non avrebbe acquistato.

La Commissione evidenzia poi alcuni elementi oggettivi in presenza dei quali si può riscontrare una differenza significativa delle caratteristiche principali di un prodotto. Ciò accade quando, ad esempio, un ingrediente essenziale, una serie di ingredienti essenziali, o una sua percentuale differiscono in maniera sostanziale dal prodotto di riferimento, e quando la differenza potenzialmente in grado di incidere sul comportamento economico del consumatore, che avrebbe assunto una diversa scelta d’acquisto se avesse saputo tale differenza.

Inoltre, la Commissione sta lavorando per riuscire a definire una metodologia scientifica solida e condivisa per l’acquisizione e gestione delle prove comparative sui prodotti, sta finanziando attività di sviluppo per rafforzare il rispetto della normativa e sta promuovendo occasioni di dialogo con i soggetti della filiera interessati, produttori, consumatori, autorità e controllori.

[1] Per differenze di qualità di alcuni prodotti si intende, appunto, il caso in cui prodotti commercializzati nell’ambito del mercato unico sotto lo stesso marchio o denominazione commerciale presentano, negli Stati membri, differenze in termini di composizione o qualità.

[2] Trattasi della Comunicazione della Commissione sull’applicazione delle norme in materia di tutela degli alimenti e dei consumatori alle questioni di differenze di qualità dei prodotti – il caso specifico dei prodotti alimentari, (2017/C 327/01).

[3] Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11.05.2005 relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/7/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento CE n.2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio.

[4] Secondo i criteri di individuazione proposti dalla Commissione, il prodotto di riferimento, che funge da termine di paragone tra quanto ci si aspetta e quanto concretamente si ottiene dal prodotto acquistato, è un prodotto venduto in diversi Stati membri con lo stesso marchio e lo stesso imballaggio, è venduto nella maggior parte degli Stati membri con una determinata composizione, la percezione delle principali caratteristiche da parte dei consumatori corrisponde alla composizione del prodotto come pubblicizzata nella maggior parte degli Stati membri.

esportazione-datiSiamo ormai giunti alla fine dell’anno e, come spesso accade, ci ritroviamo a guardare indietro ai mesi passati, a fare i conti con quello che abbiamo realizzato e con ciò che per varie ragioni rimane segnato nella lista “to do” per l’anno che arriva.

Le aziende alimentari che vogliono esportare i propri prodotti devono innanzitutto condurre delle attente valutazioni su molti fondamentali aspetti: normativi, economici, statistici, organizzativi come vi spieghiamo nel nostro video.

Com’è andata con l’export alimentare? Come si sono mosse le aziende italiane nei confronti degli altri Paesi?

Nonostante la comune incertezza dei mercati internazionali in genere, le vendite italiane all’estero hanno segnato negli ultimi mesi del 2016 un incremento dell’1,0%, con buoni risultati ottenuti, soprattutto, in ambito europeo. Le problematiche riscontrate e i risultati meno convincenti ottenuti, nel medesimo periodo, dall’attività di export oltre i confini dell’Unione sono legati al significativo calo verificatosi in tutto il continente africano, in America latina e in Medio Oriente.

real-made-in-italySoffermiamoci sui dati positivi [1]

Gennaio – ottobre 2016: si registra un incremento dell’export del 2,4% e un relativo aumento anche dell’import (+0,8%), con conseguente saldo attivo intorno agli 11,4 miliardi di euro (per gli stessi mesi del 2015 l’attivo era stato di poco superiore agli 8,2 miliardi).

In termini di variazione dei saldi commerciali, l’Italia può vantare un miglioramento dei propri conti con l’estero, con una variazione assoluta pari a 9,3 miliardi di euro, risultando il Paese europeo più virtuoso in tal senso.

Le vendite di prodotti italiani sul mercato dell’Unione hanno centrato traguardi particolarmente favorevoli, ad esempio con un +6% per le esportazioni in Spagna e un +5,9% per quelle nella Repubblica Ceca.

ciolos_promotion_eu_productsChe ruolo occupa il settore agroalimentare? Traino o freno all’export italiano?

Fortunatamente, gioca un ruolo da protagonista in senso positivo, dimostrando forti doti di competitività. Molto più che positivo, se si considera che nel 2015 le esportazioni di questo settore hanno raggiunto il massimo storico di 36,8 miliardi di euro, con un aumento del 79% nel corso dei dieci anni precedenti.

Frutta e verdura, formaggi, vino, pasta, pomodori trasformati, olio di oliva tra i primi dieci prodotti Made in Italy esportati con successo.

Nel 2016, il maggior numero di autorizzazioni alle esportazioni ha riguardato riso, zucchero e cereali.

Quali scommesse per il prossimo futuro?

loghi-variIl Mipaaf continua a dimostrare fiducia nelle potenzialità delle esportazioni, con massima attenzione alla tutela dei prodotti italiani, valorizzazione del Made in Italy e lotta alle contraffazioni.

Nell’ambito del Progetto “Enjoy, it’s from Europe”, la nuova politica di promozione negli USA e Canada per incentivare il consumo dei prodotti agricoli europei, per il periodo 2017-2019, troveranno spazio anche i nostri Asiago DOP, Speck Alto Adige IGP e Pecorino Romano DOP.

Il piano proposto da Asiago DOP, Speck Alto Adige IGP e Pecorino Romano DOP, approvato dalla Commissione europea rientra nel quadro dell’importante stanziamento del valore complessivo di oltre 30 milioni di euro di cui 23,6 co-finanziati dall’Unione.

[1] I dati qui riportati sono stati reperiti in diverse pagine e documenti pubblicati da: Mipaaf, Nomisma, Istat.

Ci siamo già occupati del commercio on line dei prodotti agroalimentari, pubblicando tempo addietro un articolo sull’argomento, riportando dati ma anche segnalando come le vendite sul web debbano essere adeguatamente controllate e, fortunatamente, come il nostro Paese abbia già avviato intese e collaborazioni con Alibaba ed E-bay per garantire controlli efficaci.

alibabaUn anno fa il Governo ha siglato un accordo con il portale cinese Alibaba Group per promuovere le eccellenze agroalimentari del nostro Paese e contrastare le falsificazioni, a conclusione di un progetto iniziato a Vinitaly dello scorso maggio.

I termini principali dell’accordo sono tutela e promozione.

Sul fronte della tutela l’Italia è l’unico Paese al mondo ad avere garantito ai prodotti di qualità (Dop e Igp) la medesima tutela dei brand commerciali sulla piattaforma e-commerce.  La collaborazione con Alibaba è iniziata nel 2015 e in un anno ha dato già ottimi risultati, soprattutto consentendo di bloccare tempestivamente la vendita di prodotti contraffatti come falso Parmigiano e falso Prosecco, e che ora viene estesa dalla piattaforma b2b, accessibile solo alle aziende, a quella b2c, relativa agli scambi con i consumatori.  Sostanzialmente, l’Ispettorato repressione frodi provvede a segnalare ad Alibaba i casi di prodotti contraffatti, ed entro 3 giorni le relative inserzioni presenti sul sito vengono rimosse, con tempestiva comunicazione ai venditori.

L’accordo è importante anche sul piano della promozione, e prevede attività di educazione e formazione dei venditori sulla storia e sull’identità dei prodotti italiani di qualità e sulle zone geografiche di riferimento. Ad esempio, per il 9 settembre è già prevista la prima giornata del vino su Alibaba, presentata dallo stesso Jack Ma allo scorso Vinitaly. Il vino è tra i principali prodotti venduti sulla piattaforma cinese, ed in pochi mesi le aziende italiane sono diventate 50, con l’offerta di oltre 500 etichette.

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cinaEbbene sì, anche la bistrattata Cina ha una legge sulla sicurezza alimentare. Non basta sapere questo, per stare tranquilli, ma i passi che la Cina sta muovendo verso maggiori controlli (anche nelle esportazioni), estensione delle responsabilità agli operatori del settore e inasprimento delle sanzioni sono comunque incoraggianti, per i consumatori e per le imprese estere che decidono di affrontare il mercato cinese.

La “Legge sulla sicurezza alimentare” era stata approvata nel 2009, dopo la triste vicenda degli scandali sul latte alla melamina che avevano sconvolto il mondo dal 2008, e in generale sul problema dell’utilizzo di sostanze non edibili. Infatti, la riforma ha riguardato anche la produzione dei prodotti alimentari destinati ai bambini, imponendo alle imprese produttrici di latte in polvere la registrazione di tutti gli ingredienti, le formule e le etichette presso l’amministrazione cinese, provvedendo anche alla fase di imballaggio.

In particolare, il dipartimento della Food and Drug Administration del Governo cinese ha condotto nel 2014 un progetto di revisione della Legge del 2009, proposto al pubblico per ulteriori suggerimenti e commenti, che sostanzialmente mira ad ampliare la responsabilità dei produttori di alimenti e delle amministrazioni locali, e rafforzare il ruolo dei cittadini stessi nel vigilare sui comportamenti contrari alla normativa sulla sicurezza alimentare.

cina 3Ecco le modifiche principali:

1) sono state riviste le competenze dei Dipartimenti coinvolti, con l’attribuzione alla sola CFDA (China Food and Drug Administration) del potere di gestire tutto il ciclo produttivo degli alimenti ed il controllo delle procedure.

2) semplificazione burocratica: un’impresa che intenda produrre alimenti in Cina deve ottenere laLicenza di produzione e operatività” e non più le precedenti tre licenze (di produzione, di circolazione e per i servizi di ristorazione). Per la produzione di additivi alimentari, tuttavia, rimane necessaria una speciale licenza oltre a quella di produzione e operatività.

3) estensione della responsabilità delle aziende per eventuali danni alla salute dei consumatori, prevedendo per gli operatori alimentari una speciale abilitazione riconosciuta a livello nazionale e quindi puntando sulla formazione e la competenza specifica dei lavoratori.

4) intensificazione dei controlli per i prodotti importati, per valutare il rispetto dell’impresa produttrice di tutti i requisiti della legge cinese e la piena conformità alle informazioni riportate in etichetta.

5) i portali web che si occupano di commercio on-line di prodotti alimentari dovranno munirsi della Licenza di Produzione e Operatività, ed è prevista anche la loro responsabilità (insieme a quella del produttore) in caso danni al consumatore per violazione della normativa sulla sicurezza alimentare.

6) inasprimento delle sanzioni, dettagliate a seconda della gravità dell’illecito e a forte valenza dimostrativa e dissuasiva, che comprendono anche l’interdizione dall’attività di produzione e commercio di prodotti alimentari, e contestualmente il riconoscimento di ricompense per chi si sia attivato nella denuncia di casi di violazione della legge sulla sicurezza alimentare.

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Nel 2016, la Cina ha ulteriormente dimostrato di voler credere nell’esigenza di un costante aggiornamento e monitoraggio della normativa sulla sicurezza alimentare, pubblicando il documento di indirizzo 2016 con il quale il Ministero dell’Agricoltura mette al primo posto, per il tredicesimo anno di fila, obiettivi legati all’agricoltura pianificati al 2020, con particolare attenzione all’ammodernamento delle strutture agricole e delle infrastrutture pubbliche (acqua, luce, trasporti), alla sicurezza dei prodotti, alla tutela dell’ambiente.

L’idea, ovviamente, è confidare che tali propositi normativi e di politica agricola (e non solo) non restino sulla carta.