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La sentenza del Tribunale di Milano su MPS

La sentenza del Tribunale di Milano sulla nota vicenda dei “derivati MPS” (Tribunale di Milano, sezione II, 7 aprile 2021) pone l’attenzione su molteplici questioni rilevanti ai fini della responsabilità amministrativa degli enti prevista dal d.lgs. 231/2001.

Invero, il Tribunale di Milano, nel richiamare i principi di ordine generale in tema 231, si sofferma in particolare sulla responsabilità dell’Organismo di Vigilanza, il quale avrebbe assistito “inerte agli accadimenti, limitandosi a insignificanti prese d’atto, che un più accorto esercizio delle funzioni di controllo avrebbe scongiurato”.  

Elementi essenziali di un Modello 231

La sentenza tuttavia tratta anche due temi di assoluto rilievo per l’imprenditore, ovvero l’inadeguatezza del Modello 231 e la mancata effettività dello stesso.

Dalla narrazione dei fatti processuali, emerge in modo chiaro come la struttura del Modello 231 di MPS fosse manchevole. Infatti, la società incaricata di valutare il Modello 231 adottato, con particolare riferimento agli illeciti di ostacolo all’Autorità di Vigilanza, aveva rilevato “plurime criticità e manchevolezze” e aveva quindi suggerito:

“1) l’integrazione del modello, mediante illustrazione delle modalità di possibile perpetrazione dei

reati nonché indicazione dei presidi di controllo in essere per ogni attività c.d. sensibile;

2) l’aggiornamento del codice etico, da rendere parte integrante del compliance program;

3) la predisposizione di protocolli di parte speciale atti a prevenire la commissione dei reati

presupposto, che chiarissero per ogni unità organizzativa gli illeciti teoricamente perpetrabili, i

presidi di controllo in essere, i principi di comportamento da tenere e i riferimenti alla

normativa interna aziendale di disciplina della materia.”

In seguito a questo, MPS aveva deciso, previo parere favorevole dell’Organismo di Vigilanza, di dare corso ad un profondo lavoro di aggiornamento del Modello 231.

È tuttavia interessante evidenziare come il Tribunale di Milano abbia ritenuto che, prima dell’aggiornamento del Modello 231, la banca fosse sostanzialmente “sprovvista di accorgimenti organizzativi concretamente idonei a prevenire il rischio criminoso”. In altri termini, l’assenza di presidi di controllo, la mancanza di protocolli di parte speciale e l’assenza di flussi informativi verso l’Organismo di Vigilanza renderebbero un Modello 231 inefficace.

Negli ultimi anni il settore agroalimentare ha assunto sempre più rilevanza non solo per i consumatori, ma anche per il Legislatore che, già a partire dal 2015, aveva elaborato un disegno di legge di riforma dei reati agroalimentari, poi andato scemando.

L’esigenza di intervenire in tale settore è determinata dal fatto che l’attuale mercato degli alimenti appare inevitabilmente dominato dalle multinazionali del settore, soggette alla globalizzazione e a continue aggregazioni societarie che comportano un aumento di investimenti nel settore, rendendolo il principale referente criminologico.

Appare dunque evidente che, anche in tale ambito, possono configurarsi attività imprenditoriali scorrette unicamente volte ad aumentare i profitti dell’ente, violando prescrizioni che regolamentano la produzione, conservazione e vendita dei prodotti alimentari.

Pertanto, risulta necessario prevedere la responsabilità anche delle persone giuridiche (enti, società…) per i cd. reati agro-alimentari che tuttavia, sebbene configurino condotte criminose di rilevante portata, ad oggi non rientrano nel novero dei reati presupposto per la responsabilità amministrativa degli enti, di cui al Dlgs. 231/01.

Il nuovo disegno di legge

Alla luce di quanto sopra, lo scorso 25 Febbraio 2020, il Consiglio dei Ministri ha approvato il Ddl n. 283 rubricato “Nuove norme in materia di reati agroalimentari”, che è stato presentato alla Camera in data 6 Marzo 2020 ed è stato assegnato alla Commissione Giustizia per l’esame in sede referente il 23 Aprile 2020.

La riforma introduce una riorganizzazione sistematica della categoria dei reati in materia alimentare, contemplando anche nuove fattispecie delittuose e incidendo sulla responsabilità amministrativa dell’ente.

Le nuove fattispecie di reato

Il Ddl interviene in modo organico sia sulla legge di riferimento, L. 283/1962, sia sul codice penale, anche mediante la contemplazione di nuove fattispecie delittuose tra cui il “reato di agropirateria” (art. 517 quater 1 c.p.) e di “disastro sanitario” (art. 445 bis. c.p.).

Nello specifico, il reato di agropirateria è volto a reprimere tutti quei comportamenti criminosi e dannosi che compromettono il prodotto alimentare ab origine, come ad esempio le condizioni degli animali, l’uso di prodotti chimici ecc.

Con riguardo, invece, al delitto di disastro sanitario esso si staglia come ipotesi aggravata e autonoma di singoli mini- disastri pregiudizievoli per la salute, dai quali sia derivata: a) la lesione grave o la morte di 3 o più persone; b) il pericolo grave e diffuso di analoghi eventi ai danni di altre persone.

La responsabilità da illecito alimentare nel modello 231

Il summenzionato Ddl prevede l’introduzione dei reati agro-alimentari nel catalogo dei reati presupposto. In particolare, dalle Linee Guida del disegno di legge si desume che l’intervento del legislatore è finalizzato non solo ad allargare il novero dei reati presupposto, ma altresì ad incentivare l’applicazione concreta delle norme in tema di responsabilità degli enti, nonché a favorire l’adozione e l’efficace attuazione di più puntuali modelli di organizzazione e di gestione da parte delle imprese anche di minore dimensioni.

In particolare, è prevista la scomposizione dell’art. 25 bis del D.Lgs. 231/01 in tre nuovi e distinti capi:

  • Art. 25 bis. 1: che rimane dedicato ai “Delitti contro l’industria e il commercio;
  • Art. 25 bis 2 rubricato “Delle frodi in commercio di prodotti alimentari”, punito con la sanzione pecuniaria tra le 100 e le 800 quote, oltre che con l’applicazione di sanzioni interdittive temporanee limitatamente ai soli casi di condanna per il reato di agropirateria;
  • Art. 25 bis 3 rubricato “Dei delitti contro la salute pubblica” punito con la sanzione pecuniaria ricompresa tra le 300 e 1000 quote, oltre che l’applicazione di sanzioni interdittive temporanee nei casi di condanna per tutte le fattispecie ivi menzionate secondo una durata definita sulla base della gravità dell’illecito commesso.

Altresì, con riferimento agli artt. 25 bis.2 e 25 bis.3 è prevista la possibilità di ricorrere all’applicazione nei confronti dell’ente della più grave misura dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività “nel caso in cui lo scopo unico o prevalente dell’ente sia il consentire o l’agevolare la commissione dei reati sopra indicati”.

Infine, il Ddl prevede l’introduzione dell’art. 6 bis, speciale rispetto all’art. 6 del D.Lgs. 231/01.

Tale disposizione detta una particolare disciplina da applicare solo alle imprese alimentari, prevedendo standard personalizzati per la creazione e l’implementazione di un Modello 231 integrato e, in particolare, per l’assolvimento di tre classi di obblighi eterogenei:

  1. Obblighi a tutela dell’interesse dei consumatori (art. 6bis lett. a) e b) D.Lgs. 231/01)
  2. Obblighi a protezione della genuinità e sicurezza degli alimenti sin dalla fase originaria di produzione (art. 6 bis lett. c), d) ed e) del D.Lgs. 231/01)
  3. Obblighi in merito agli standard di monitoraggio e controllo (art. 6 bis. lett. f) e g) D.LGS. 231/01)

Come muoversi nel frattempo?

Ad oggi, non ci è dato sapere quando la legge entrerà in vigore. Tuttavia, nonostante l’incertezza, un aspetto è chiaro: il settore agro-alimentare, al pari di altri, per il suo florido dinamismo può essere terreno fertile per la commissione di diversi reati. Non si può escludere a priori la responsabilità della società per gli stessi, soprattutto se la medesima non si è dotata di un adeguato Modello 231.

Non aspettate la riforma per implementare all’interno delle vostre Società un Modello 231: prevenire è meglio che…. pagare!

Qualche giorno fa il Ministero della Salute ha pubblicato le “Linee guida per la promozione dell’uso prudente degli antimicrobici negli allevamenti zootecnici per la prevenzione dell’antimicrobico-resistenza”, al fine di dare agli operatori del settore indicazioni utili per controllare e prevenire l’uso inappropriato di antimicrobici che costituisce ad oggi un rischio concreto per la salute animale e per gli allevatori e influisce negativamente sulla produzione e sull’efficienza degli allevamenti.

Il documento vuole quindi contribuire a ridurre l’uso inappropriato di tali medicinali nella zootecnia e promuovere un approccio prudente e controllato, contestualmente evidenziare l’importanza del rispetto delle condizioni di benessere degli animali, della corretta gestione nutrizionale, dell’igiene, insieme ad attività di monitoraggio delle malattie infettive e di appropriate campagne di vaccinazione degli animali.

Tutto ciò, per ridurre al minimo la necessità di ricorrere all’impiego di antimicrobici.

In particolare, il documento richiama la responsabilità degli operatori coinvolti nella filiera zootecnica, propone un approccio integrato (biosicurezza, management generale, programmi vaccinali, prodotti alternativi…), evidenzia la principale normativa di settore, offre una Scheda dedicata agli studi condotti sulla profilassi immunitaria come strategia per ridurre il consumo degli antibiotici, ed un elenco di definizioni utili.

Le Linee Guida fanno parte della più ampia strategia nazionale per il contenimento dell’antimicrobico-resistenza prevista dal Piano nazionale di contrasto dell’antimicrobico-resistenza (PNCAR) 2017-2020 e saranno seguite da ulteriori linee guida specifiche, elaborate in collaborazione con Regioni/Organizzazioni/Associazioni e dedicate sia alle diverse specie zootecniche/tipologie di produzione che agli animali da compagnia.

Riportiamo una notizia pubblicata qualche giorno addietro dal Mipaaf sul proprio sito, con la quale ha comunicato che è disponibile ed attiva la piattaforma informatica per la partecipazione al bando relativo ai contratti di filiera e di distretto, presentando la relativa domanda e documenti a partire dalle ore 10.00 del 29 gennaio 2018 (il termine iniziale del 27 novembre 2017 è stato prorogato per consentire agli istituti bancari coinvolti nella procedura di assicurare una trasparente ed equa valutazione dei progetti che si candidano a partecipare al bando).

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La trasmissione della domanda di partecipazione avverrà in modalità digitale, mediante una semplice procedura di caricamento dei documenti nell’apposita area cloud e successivo invio di pec.

Il Mipaaf ha realizzato inoltre una videoguida, pubblicata su YouTube, con istruzioni e suggerimenti pratici per l’utilizzo corretto della piattaforma. Gli interessati possono reperire le necessarie informazioni sulla pagina ufficiale https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/9327

Si sa, i bambini che vivono nelle città (e sono sempre di più) sono abituati a vedere frutta e verdura nel carrello della spesa o nelle cassette del fruttivendolo, e pochi di loro sanno che quelle pere e quelle carote sono nate e cresciute sull’albero e sotto terra. Mangiano pasta quasi tutti i giorni, ma difficile che sappiano da dove arrivano spaghetti e fusilli…e se anche qualcuno gliel’ha spiegato, difficle che abbiano visto un seme di grano o una pianta di farro.

Un recente comunicato stampa di Slow Food annuncia il via, anche per quest’anno, del progetto didattico dedicato ai bambini per portarli a conoscere gli orti e i prodotti della natura.

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Parte domani, 10 novembre, quella che Slow Food chiama la Festa Nazionale di Orto in Condotta, occasione per gli allievi delle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado per far sprofondare mani e piedi nelle zolle tra i campi dimenticando per un po’ videogiochi e televisione.

L’edizione 2017, che vedrà coinvolte 570 classi in tutta Italia, è incentrata sul tema dei cereali, e gli alunni infatti avranno un kit speciale contenente 5 tipi di semi pronti da interrare insieme, con l’aiuto degli insegnanti e dei genitori che hanno aderito. In ogni kit ci sono 2 semi di grano duro, 2 semi di grano tenero e un seme di farro, che verranno poi osservati durante l’anno per capire la crescita e le fasi di maturazione.
Inoltre, i kit contengono anche 3 farine diverse da manipolare, annusare, osservare, per capire come si arriva dal seme alla pasta.

La manifestazione comprende anche due iniziative divertenti e istruttive per i giovani alunni, pienamente inserite nello spirito e nel percorso di sensibilizzazione di Slow Food. Innanzitutto, è stato programmato un concorso per la realizzazione dello spaventapasseri più originale ottenuto con materiali di recupero provenienti dall’orto e di scarto in generale, e poi la premiazione della migliore ricetta “amica del clima” nell’ambito della campagna Menu for change, lanciata a settembre, che promuove scelte anche alimentari più favorevoli al clima e all’ambiente.

Durante la Festa, le scuole possono organizzare delle ulteriori attività personalizzate a seconda della propria realtà territoriale e ambientale, a cui possono partecipare anche i genitori e i nonni (custodi di ricette gustose e salutari e di “saggezza ortolana”) ad esempio portando gli alunni in visita a mulini, facendo portare a casa un vasetto col semino interrato, lavorando insieme la farina per fare la pasta tradizionale del loro paese…

La manifestazione non riguarda solo la conoscenza dei prodotti della natura e dei cereali, bensì riesce a coinvolgere anche aspetti collaterali ma fondamentali quali la famiglia, le tradizioni, i mestieri locali, attraverso la partecipazione attiva dei genitori e dei nonni e la consegna ai più giovani degli antichi saperi e sapori.

Dell’impegno a rafforzare i controlli sul web avevamo già parlato in un precedente articolo, dando notizia dell’accordo  tra l’ICQRF e il colosso dell’e-commerce Alibaba siglato nel settembre 2015.

Le risorse e gli obiettivi delle rispettive parti erano rivolti alla tutela e alla promozione dei prodotti agroalimentari italiani, attraverso la lotta alle contraffazioni e la difesa e valorizzazione del Made in Italy. Molti sono stati i controlli effettuati dall’Ispettorato, molti i prodotti bloccati, molti i contenuti web rimossi, in modo particolare riguardanti vini, salumi, formaggi maldestramente (a volte, più accuratamente) “travestiti” da Prosecco, Prosciutto di Parma, Parmigiano. Solo per ricordare gli interventi effettuati nelle ultime settimane, è stata fermata l’offerta on line di 25mila tonnellate di falso pecorino romano e di 25mila tonnellate di finto Parmigiano proveniente da Bangkok, e di finto Parmigiano grattugiato in arrivo dall’Australia.

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Sulla scia di questa spinta patriottica, in questi due anni si è voluto fare di più, creando sullo spazio web di Alibaba una vetrina virtuale tutta italiana. E così, Italian Pavilion nasce come temporary store nel febbraio 2017, in occasione della visita del Presidente Mattarella in Cina, come una sorta di omaggio alla produzione italiana, ormai ai vertici nelle vendite internazionali anche nel (e grazie al) commercio elettronico, soprattutto nei settori della moda, dell’agroalimentare, della cosmesi e prodotti di bellezza.

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Il temporary store è poi diventato permanente, e qualche giorno fa, il 9 settembre, ha ospitato il mondo dei vini italiani dando la possibilità a ben 120 aziende vinicole del nostro Paese provenienti da tutte le Regioni di mostrarsi e presentare i propri prodotti.

 

Le parole chiave sono dunque tutela e promozione, nelle vendite on line e anche in quelle dei mercati tradizionali, per riuscire a vendere molto e, soprattutto, vendere giusto.

Cosa beviamo veramente quando al bar ordiniamo un bicchiere di succo di frutta? La frutta, in quel bicchiere, c’è davvero? E se davvero c’è, in quale percentuale?

L’impressione, molto spesso e anche senza leggere l’etichetta e senza chiedere informazioni sul prodotto, è che prevalgano acqua e zucchero e di frutta ve ne sia davvero poca.

Eppure, quello rimane “succo di frutta”.

…e se parliamo di succo di arancia?

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Il 24 maggio 2017 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.119 la “Comunicazione del perfezionamento, con esito positivo, della procedura di notifica alla Commissione europea dell’articolo 17 della legge 30 ottobre 2014, n. 161, recante disposizioni in materia di bevande a base di succo di frutta”, mediante comunicato emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
In particolare, la Presidenza del Consiglio dei Ministri rende noto che si è perfezionata con esito positivo la procedura di notifica alla Commissione europea n.2014/0316/I, ai sensi della Direttiva 98/34/CE, relativa al progetto «Disegno di legge europea 2013, secondo semestre (AC 1864 A) – art. 14, concernente: disposizioni in materia di bevande a base di succhi di frutta. Caso EU pilot n. 4738/13/ENTR[1]».

La soluzione del caso, che riguardava appunto la composizione delle bibite analcoliche vendute con il nome di arancia a succo o recanti denominazioni che a tale agrume si richiamino, ha portato all’inserimento dell’art.17 (ex art.14) nella L. n.161/2014 recante Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2013-bis.

Tale art.14, poi diventato l’attuale art.17, prevede dunque che “Le bibite analcoliche di cui all’articolo 4 del Decreto del Presidente della Repubblica 19 maggio 1958, n. 719, e successive modificazioni, prodotte in Italia e vendute con il nome dell’arancia a succo, o recanti denominazioni che a tale agrume si richiamino, devono avere un contenuto di succo di arancia non inferiore a 20 g per 100 cc o dell’equivalente quantità di succo di arancia concentrato o disidratato in polvere, fatte salve quelle destinate alla commercializzazione verso altri Stati dell’Unione europea o verso gli altri Stati contraenti l’Accordo sullo Spazio economico europeo, nonché verso Paesi terzi”.
La stessa comunicazione del 24.05.2017 prevede che l’art. 17, comma 1, sarà applicabile dal 6 marzo 2018, ma le bevande prodotte fino a tale data posso essere commercializzate fino all’esaurimento delle scorte.

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[1] In data 5 marzo 2013 la Commissione europea richiese talune informazioni alle Autorità italiane rilevando che le norme contenute nel D.Legge n.158/2012 erano state introdotte in violazione della procedura di notifica di cui alla Dir. 98/34/UE, considerato che la misura notificata era riferita esclusivamente alle bibite analcoliche con il nome di uno o più frutti e non quelle di fantasia a base di agrumi, introdotte durante l’esame parlamentare del decreto, e che, comunque, non è stata disposta la sospensione di tre mesi dell’efficacia delle norme. Inoltre, rilevava che le restrizioni alla libera circolazione delle merci, in assenza di regole armonizzate a livello europeo, può essere giustificata solo per motivi di interesse pubblico come la tutela della salute in tal caso occorre supportare le argomentazioni a favore dell’introduzione della misura con evidenze scientifiche che, nell’occasione, non sono state prodotte. La normativa fa riferimento al succo naturale, senza più far riferimento alle altre alternative di succo “concentrato”, “liofilizzato” o “sciroppato”, con un’indebita limitazione della materia prima utilizzabile, non riscontrabile nella normativa europea di riferimento (Dir. 2001/112/UE).

Avete mai pensato come sarebbe andare a cena a casa di “qualcuno”, magari in una città diversa dalla vostra, durante una vacanza o un viaggio di lavoro, lasciando perdere ristoranti e bistrot noti e meno noti e affidandovi agli ingredienti e alle pentole di un cuoco occasionale, selezionato sul web? Sapete che questa possibilità c’è, e che bastano alcuni click e un po’ di curiosità per decidere di varcare la soglia di casa di “qualcuno” e ritrovarsi a cenare nel suo salotto scegliendo tra le pietanze da lui offerte e preparate?

Tutto questo si chiama Home Restaurant, e quel “qualcuno” è la persona fisica che per l’occasione trasforma la propria abitazione privata in ristorante e, diventando cuoco per quel momento e per svolgere un’attività di impresa che resta saltuaria, si mette ai fornelli per voi offrendovi un evento enogastronomico.home rest 1

L’attività di ristorazione in abitazione privata rientra nell’ambito della sharing economy (economia della condivisione) caldeggiata dalla Commissione Europea che sembra essere in forte espansione anche in Italia[1], soprattutto tra i giovani e chi cerca un nuovo modo di proporre e diffondere la cultura enogastronomica italiana nel contempo individuando anche nuove fonti di reddito, alternative alla ristorazione tradizionale presso i pubblici esercizi.

Esiste una regolamentazione dell’attività di Home Restaurant?

Recentemente, a gennaio di quest’anno, è stato approvato dalla Camera il Disegno di Legge AS n.2647 a seguito della riunione in un testo unificato delle precedenti versioni proposte a partire dal 2015 (disegni di legge A.C. n.3258, 3337, 3725, 3807), che nei suoi 7 articoli intende fornire una disciplina completa con definizioni, requisiti, condizioni, e limiti per regolare aspetti fondamentali sul piano della concorrenza, della fiscalità e della salute pubblica. Sono seguiti un parere dell’AGCM e, pochi giorni fa, una comunicazione del Viceministro Bellanova.

home rest2Innanzitutto, però, vediamo i punti principali del DDL:

Utilizzo di piattaforme digitali

Tutto viene gestito e comunicato attraverso piattaforme digitali dove si incontrano domanda e offerta e dove avvengono le prenotazioni e i pagamenti, esclusivamente in formato elettronico, escludendo prenotazioni telefoniche e pagamenti in contanti (art.2 a) e art.3, 3).

Soggetti

I soggetti coinvolti nell’attività in questione, definiti dall’art.2, con diverse responsabilità e requisiti e competenze, sono il gestore (gestisce la piattaforma digitale finalizzata all’organizzazione

di eventi enogastronomici), l’utente operatore cuoco (attraverso la piattaforma digitale svolge l’attività di home restaurant e concretamente offre e prepara i pasti) e l’utente fruitore (attraverso la piattaforma digitale utilizza il servizio di home restaurant condiviso dall’utente operatore cuoco e concretamente sceglie/prenota il pasto).

Obblighi

Il gestore deve adempiere agli obblighi stabiliti dall’art.3, ad esempio “garantire che le informazioni relative alle attività degli utenti, iscritti alle piattaforme digitali di home restaurant, siano tracciate e conservate, nel rispetto delle vigenti disposizioni in materia di trattamento dei dati personali” ed anche verificare “che gli utenti operatori cuochi siano coperti da polizze assicurative per la copertura dei rischi derivanti dall’attività di home restaurant e verifica che l’unità immobiliare ad uso abitativo sia coperta da apposita polizza che assicuri per la responsabilità civile verso terzi” ed ancora verificare “che gli utenti operatori cuochi siano in possesso dei requisiti di cui alla presente legge”.

Gli utenti operatori cuochi, invece, devono avvalersi “esclusivamente della propria organizzazione familiare e utilizzano parte di una unità immobiliare ad uso abitativo che deve possedere i requisiti di cui all’articolo 5” ovvero le caratteristiche di abitabilità e di igiene previsti dalla normativa vigente per gli immobili destinati ad uso abitativo.

Ancora, gli operatori cuochi “devono essere in possesso dei requisiti di onorabilità di cui all’articolo 71, commi 1 e 2, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59[2]”.

Limiti

Nel disegno di legge vengono espressamente indicati dei limiti quantitativi oltre i quali l’attività di home restaurant non può andare, in particolare l’art. 4, 4 prevede il limite di 500 coperti per anno solare (relativi all’operatore cuoco e all’unità immobiliare) e 5.000 € di proventi annui.

Igiene

Non sono previsti obblighi e adempimenti specifici in materia di controlli sanitari né per l’adozione di sistemi di HACCP, ma l’art.4, 6 subordina l’esercizio dell’attività al rispetto “delle buone pratiche di lavorazione e di igiene nonché delle misure dirette a contrastare il fenomeno dell’alcolismo”, che saranno determinate, insieme alle modalità di controllo, con Decreto interministeriale.

Esclusione

Il possesso delle polizze assicurative per i rischi verso terzi non è richiesto quando si tratta di attività di social eating, ovvero attività che organizza meno di 5 eventi enogastronomici e meno di 50 pasti totali in un anno solare e l’unità abitativa privata che li ospita viene utilizzata per meno di cinque volte. Nella medesima ipotesi, non è necessario che il gestore comunichi al Comune le unità immobiliari registrate nella piattaforma, e non sono necessari i requisiti di buone pratiche di lavorazione e di igiene.

Sanzioni

In caso di mancanza dei requisiti previsti dal disegno di legge si ha il divieto di prosecuzione dell’attività e l’applicazione della sanzione amministrativa definita dall’art.10, 1, Legge n.287/1991 sull’Aggiornamento della normativa sull’insediamento e sull’attivita’ dei pubblici esercizi[3].

Troppe limitazioni, troppe condizioni, troppi vincoli? Tutto questo, secondo alcuni, rischia di essere un freno alla sharing economy e di disincentivare e rendere eccessivamente difficoltosa l’apertura di nuovi home restaurant anziché accompagnare le iniziative e le aspettative di chi vede in questa forma di impresa, pur saltuaria e occasionale, uno strumento di produzione di reddito e, a livello culturale, di diffusione dei valori e prodotti agroalimentari del nostro Paese (il sito www.HomeRestaurant.com conta circa 8.500 iscrizioni di utenti interessati ad iniziare un’attività di Home Restaurant in Italia).

Nel mese di novembre 2016, Home Restaurant.com ha rivolto all’AGCOM la richiesta di parere e indirizzo sulla proposta di legge presentata poco prima, sollevando dubbi soprattutto sull’obbligo di effettuare e ricevere pagamenti solamente in forma elettronica e sul divieto di svolgere attività di ristorazione privata in abitazioni in cui sono esercitate attività turistico-ricettive in forma non imprenditoriale, visti come palese violazione dei principi di libera e leale concorrenza.

L’Autorità ha risposto con un parere pubblicato il 7 aprile, sostanzialmente accogliendo le critiche mosse verso la proposta di legge e ritenendo effettivamente che il DDL A.S. n.2647 pone dei vincoli e degli obblighi restrittivi e discriminatori per l’attività di home restaurant, che non appaiono giustificati, finendo per limitare indebitamente una modalità emergente di offerta alternativa al servizio di ristorazione tradizionale.

Di diversa opinione, invece, il Viceministro Bellanova che nella comunicazione dello scorso 4 maggio cerca di dare delle risposte e delle motivazioni ai rilievi avanzati da Home Restaurant.com, in particolare sostenendo che “la circostanza che l’attività in questione possa essere svolta solo tramite piattaforma digitale risulterebbe giustificata dalla necessità di individuare regole minime per l’esercizio di un’attività”… “che attualmente, in assenza di un regime normativo, sta  determinando problematicità con gli esercenti l’attività di somministrazione di alimenti e bevande, sottoposta invece ad una dettagliata disciplina normativa”. Per quanto riguarda il contestato limite dei 5.000 euro per anno (ma analoga considerazione vale per il limite dei coperti), esso è ritenuto necessario per poter “consentire la corretta individuazione dell’attività soggetta alle disposizione del provvedimento”, che disciplina un’attività svolta in modo non professionale che appunto è ammissibile fino alla soglia monetaria indicata.

Ancora, il divieto di svolgere tale attività nelle abitazioni già adibite ad attività turistico-ricettive è motivato considerando che l’home restaurant dovrebbe essere una modalità per poter accedere a forme di reddito limitate, e quindi non sarebbe coerente con questo obiettivo poterla integrare con altre attività “che già garantiscono possibilità di percepire introiti, seppure anche in questo caso, limitati”.home rest 3

Occorrerà attendere la conclusione dell’iter normativo per esaminare la versione definitiva della Legge, ma auspichiamo che possa davvero diventare uno strumento per regolamentare in maniera attiva e incentivante una nuova frontiera della ristorazione, che probabilmente non potrà mai intralciare i grandi affari della ristorazione nei pubblici esercizi, ma che sicuramente potrebbe contribuire un pochino al reddito degli aspiranti operatori cuochi dotati di spirito di iniziativa.

 

[1] Le piattaforme più utilizzate e conosciute in Italia che offrono questo servizio sono Gnammo, Vizeat, Eatwith, che operano in un mercato in espansione ma attualmente di dimensioni ridotte, con un giro di affari comunque contenuto e non in grado, secondo gli stessi gestori, di competere con i pubblici esercizi della ristorazione.

[2] Art. 71 (Requisiti di accesso e di esercizio delle attività commerciali)1. Non possono esercitare l’attività commerciale dì vendita e di somministrazione:     a) coloro che sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, salvo che abbiano ottenuto la riabilitazione;     b) coloro che hanno riportato una condanna, con sentenza passata in giudicato, per delitto non colposo, per il quale e’ prevista una pena detentiva non inferiore nel minimo a tre anni, sempre che sia stata applicata, in concreto, una pena superiore al minimo edittale;     c) coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una condanna a pena detentiva per uno dei delitti di cui al libro II, Titolo VIII, capo II del codice penale, ovvero per ricettazione, riciclaggio, insolvenza fraudolenta, bancarotta fraudolenta, usura, rapina, delitti contro la persona commessi con violenza, estorsione;     d) coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una condanna per reati contro l’igiene e la sanità pubblica, compresi i delitti di cui al libro II, Titolo VI, capo II del codice penale;     e) coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, due o più condanne, nel quinquennio precedente all’inizio dell’esercizio dell’attività, per delitti di frode nella preparazione e nel commercio degli alimenti previsti da leggi speciali;     f) coloro che sono sottoposti a una delle misure di prevenzione di cui alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, o nei cui confronti sia stata applicata una delle misure previste dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, ovvero a misure di sicurezza non detentive; 2. Non possono esercitare l’attività di somministrazione di alimenti e bevande coloro che si trovano nelle condizioni di cui al comma 1, o hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una condanna per reati contro la moralità pubblica e il buon costume, per delitti commessi in stato di ubriachezza o in stato di intossicazione da stupefacenti; per reati concernenti la prevenzione dell’alcolismo, le sostanze stupefacenti o psicotrope, il gioco d’azzardo, le scommesse clandestine, per infrazioni alle norme sui giochi.

[3]Art. 10 – Sanzioni 1. A chiunque eserciti l’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande senza l’autorizzazione di cui all’art. 3, ovvero quando questa sia stata revocata o sospesa, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire un milione a lire sei milioni. 2. Alla stessa sanzione sono soggette le violazioni alle disposizioni della presente legge, ad eccezione di quelle relative alle disposizioni dell’articolo 8 per le quali si applica la sanzione amministrativa da lire trecentomila a lire due milioni 3. Nelle ipotesi previste dai commi 1 e 2, si applicano le disposizioni di cui agli articoli 17 – ter e 17 – quater del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773. 4. L’ufficio provinciale dell’industria, del commercio e dell’artigianto riceve il rapporto di cui all’art. 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e applica le sanzioni amministrative. 5. Per il mancato rispetto dei turni stabiliti ai sensi dell’articolo 8, comma 5, il sindaco dispone la sospensione dell’autorizzazione di cui all’articolo 3 per un periodo non inferiore a dieci giorni e non superiore a venti giorni, che ha inizio dal termine del turno non osservato.

 

Da oggi, 19 aprile 2017, tutte le confezioni di latte e di prodotti lattiero-caseari devono riportare in etichetta l’indicazione di origine del latte, come prodotto in quanto tale o come ingrediente.

latte2Entra infatti in vigore il Decreto Ministeriale 9 dicembre 2016 “Indicazione dell’origine in etichetta della materia prima per il latte e i prodotti lattieri caseari, in attuazione del regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori” che si applica a tutti i tipi di latte ed ai prodotti lattiero-caseari elencati nell’All.1, preimballati ai sensi dell’art. 2 del Reg. UE n.1169/2011[1], destinati al consumo umano.

Precisamente, tali prodotti sono:

  • Latte (vaccino, bufalino, ovi-caprino, d’asina e di altra origine animale)
  • Latte e crema di latte, non concentrati né addizionati con zuccheri o altri edulcoranti.
  • Latte e crema di latte, concentrati o con aggiunta di zuccheri o di altri edulcoranti.
  • Latticello, latte e crema coagulata, yogurt, kefir ed altri tipi di latte e creme fermentate o acidificate, sia concentrate che addizionate di zucchero o di altri edulcoranti aromatizzate o con l’aggiunta di frutta o di cacao.
  • Siero di latte, anche concentrato o addizionato di zucchero o di altri edulcoranti; prodotti costituiti di componenti naturali del latte, anche addizionati di zucchero o di altri edulcoranti, non nominati nè compresi altrove.
  • Burro e altre materie grasse provenienti dal latte; creme lattiere spalmabili. Formaggi, latticini e cagliate.
  • Latte sterilizzato a lunga conservazione.
  • Latte UHT a lunga conservazione.

Restano esclusi dall’ambito di applicazione del Decreto Ministeriale, e continuano ad essere disciplinati dalla relativa normativa previgente, i prodotti DOP e IGP (Reg. UE n.1151/2012), i prodotti biologici (Reg. CE n.834/2007) e il latte fresco Decreto interministeriale 27 maggio 2004). L’art.2 del D.M. prevede l’utilizzo delle seguenti diciture:  «Paese di mungitura» (Paese nel quale il latte è stato munto) e «Paese di condizionamento o di trasformazione» (Paese nel quale il latte è stato condizionato o trasformato) ma nel caso in cui il latte, di per sé o usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari, sia stato munto, condizionato o trasformato nello stesso Paese, è possibile usare la dicitura «origine del latte»: nome del Paese. Il seguente art.3 riguarda invece i casi di mungitura, condizionamento o trasformazione nel territorio di più Paesi membri, per cui possono essere utilizzate le seguenti diciture: «latte di Paesi UE» per l’operazione di mungitura, «latte condizionato o trasformato in Paesi UE» per l’operazione di condizionamento o di trasformazione. Se, invece, dette operazioni avvengono nel territorio di più Paesi extra UE, possono essere utilizzate le seguenti diciture: «latte di Paesi non UE» per l’operazione di mungitura, «latte condizionato o trasformato in Paesi non UE» per l’operazione di condizionamento o di trasformazione.
latte3Dubbi interpretativi sull’applicazione della nuova norma?

Ci pensa la Circolare Ministeriale 24 febbraio 2017 contenente le disposizioni applicative del Decreto Ministeriale 9 dicembre 2016, che contribuisce a chiarire alcuni punti e definizioni. Ad esempio, precisa che i prodotti contemplati sono solo quelli preimballati e quindi vengono esclusi i prodotti venduti sfusi, i prodotti imballati nei luoghi di vendita su richiesta del consumatore o preimballati per la vendita diretta, i prodotti non destinati al consumatore finale in quanto destinati ad altri soggetti per essere sottoposti ad ulteriori lavorazioni. Inoltre, precisa che per «paese di mungitura» del latte si intende il luogo dove il latte è stato munto; per «paese di condizionamento» del latte si intende il luogo dove è avvenuto l’ultimo trattamento termico del latte a lunga conservazione, o del latte UHT;- per «paese di trasformazione» si intende il paese d’origine dell’alimento secondo il Codice Doganale dell’Unione[2]. Ancora, la Circolare specifica che la dicitura «latte di Paesi UE» o «latte di Paesi non UE», può essere utilizzata anche se la singola confezione di latte contenga non una selezione di latti, ma latte avente origine di volta in volta da un solo Paese UE o da un solo Paese non UE, a condizione che l’approvvigionamento del latte da parte della medesima impresa provenga abitualmente da diversi Paesi UE o diversi Paesi non UE.

L’art. 4 del Decreto Ministeriale rubricato Disposizioni per favorire una migliore informazione dei consumatori recita espressamente “1. Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, nell’ambito delle attività previste a legislazione vigente, può definire apposite campagne di promozione dei sistemi di etichettatura previsti dal presente decreto. 2. Le indicazioni sull’origine di cui agli articoli 2 e 3 devono essere indelebili e riportate in etichetta in modo da essere visibili e facilmente leggibili. Esse non devono essere in nessun modo nascoste, oscurate, limitate o separate da altre indicazioni scritte o grafiche o da altri elementi suscettibili di interferire”. In applicazione della citata norma, sono stati emanati il Decreto 28 marzo 2017, n. 990 e il Decreto 31 marzo 2017, n. 1076 che forniscono istruzioni circa le modalità con cui devono essere apposte le indicazioni dell’origine del latte, in un punto evidente e nel medesimo campo visivo, in modo da risultare facilmente visibili e chiaramente leggibili.laatte

[1] Secondo la definizione fornita dalla norma richiamata, per alimento preimballato si intende “l’unità di vendita destinata a essere presentata come tale al consumatore finale e alle collettività, costituita da un alimento e all’imballaggio in cui è stato confezionato prima di essere messo in vendita, avvolta interamente o in parte da tale imballaggio, ma comunque in modo tale che il contenuto non possa essere alterato senza aprire o cambiare l’imballaggio; «alimento preimballato» non comprende gli alimenti imballati nei luoghi di vendita su richiesta del consumatore o preimballati per la vendita diretta”.

[2] Si deve fare riferimento alla definizione data dall’art. 60, par. 2 del Reg. UE n. 952/2013, codice doganale dell’Unione: “il paese dove è avvenuta «l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione”.