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Categoria: Sicurezza alimentare

La sentenza del Tribunale di Milano su MPS

La sentenza del Tribunale di Milano sulla nota vicenda dei “derivati MPS” (Tribunale di Milano, sezione II, 7 aprile 2021) pone l’attenzione su molteplici questioni rilevanti ai fini della responsabilità amministrativa degli enti prevista dal d.lgs. 231/2001.

Invero, il Tribunale di Milano, nel richiamare i principi di ordine generale in tema 231, si sofferma in particolare sulla responsabilità dell’Organismo di Vigilanza, il quale avrebbe assistito “inerte agli accadimenti, limitandosi a insignificanti prese d’atto, che un più accorto esercizio delle funzioni di controllo avrebbe scongiurato”.  

Elementi essenziali di un Modello 231

La sentenza tuttavia tratta anche due temi di assoluto rilievo per l’imprenditore, ovvero l’inadeguatezza del Modello 231 e la mancata effettività dello stesso.

Dalla narrazione dei fatti processuali, emerge in modo chiaro come la struttura del Modello 231 di MPS fosse manchevole. Infatti, la società incaricata di valutare il Modello 231 adottato, con particolare riferimento agli illeciti di ostacolo all’Autorità di Vigilanza, aveva rilevato “plurime criticità e manchevolezze” e aveva quindi suggerito:

“1) l’integrazione del modello, mediante illustrazione delle modalità di possibile perpetrazione dei

reati nonché indicazione dei presidi di controllo in essere per ogni attività c.d. sensibile;

2) l’aggiornamento del codice etico, da rendere parte integrante del compliance program;

3) la predisposizione di protocolli di parte speciale atti a prevenire la commissione dei reati

presupposto, che chiarissero per ogni unità organizzativa gli illeciti teoricamente perpetrabili, i

presidi di controllo in essere, i principi di comportamento da tenere e i riferimenti alla

normativa interna aziendale di disciplina della materia.”

In seguito a questo, MPS aveva deciso, previo parere favorevole dell’Organismo di Vigilanza, di dare corso ad un profondo lavoro di aggiornamento del Modello 231.

È tuttavia interessante evidenziare come il Tribunale di Milano abbia ritenuto che, prima dell’aggiornamento del Modello 231, la banca fosse sostanzialmente “sprovvista di accorgimenti organizzativi concretamente idonei a prevenire il rischio criminoso”. In altri termini, l’assenza di presidi di controllo, la mancanza di protocolli di parte speciale e l’assenza di flussi informativi verso l’Organismo di Vigilanza renderebbero un Modello 231 inefficace.

Negli ultimi anni il settore agroalimentare ha assunto sempre più rilevanza non solo per i consumatori, ma anche per il Legislatore che, già a partire dal 2015, aveva elaborato un disegno di legge di riforma dei reati agroalimentari, poi andato scemando.

L’esigenza di intervenire in tale settore è determinata dal fatto che l’attuale mercato degli alimenti appare inevitabilmente dominato dalle multinazionali del settore, soggette alla globalizzazione e a continue aggregazioni societarie che comportano un aumento di investimenti nel settore, rendendolo il principale referente criminologico.

Appare dunque evidente che, anche in tale ambito, possono configurarsi attività imprenditoriali scorrette unicamente volte ad aumentare i profitti dell’ente, violando prescrizioni che regolamentano la produzione, conservazione e vendita dei prodotti alimentari.

Pertanto, risulta necessario prevedere la responsabilità anche delle persone giuridiche (enti, società…) per i cd. reati agro-alimentari che tuttavia, sebbene configurino condotte criminose di rilevante portata, ad oggi non rientrano nel novero dei reati presupposto per la responsabilità amministrativa degli enti, di cui al Dlgs. 231/01.

Il nuovo disegno di legge

Alla luce di quanto sopra, lo scorso 25 Febbraio 2020, il Consiglio dei Ministri ha approvato il Ddl n. 283 rubricato “Nuove norme in materia di reati agroalimentari”, che è stato presentato alla Camera in data 6 Marzo 2020 ed è stato assegnato alla Commissione Giustizia per l’esame in sede referente il 23 Aprile 2020.

La riforma introduce una riorganizzazione sistematica della categoria dei reati in materia alimentare, contemplando anche nuove fattispecie delittuose e incidendo sulla responsabilità amministrativa dell’ente.

Le nuove fattispecie di reato

Il Ddl interviene in modo organico sia sulla legge di riferimento, L. 283/1962, sia sul codice penale, anche mediante la contemplazione di nuove fattispecie delittuose tra cui il “reato di agropirateria” (art. 517 quater 1 c.p.) e di “disastro sanitario” (art. 445 bis. c.p.).

Nello specifico, il reato di agropirateria è volto a reprimere tutti quei comportamenti criminosi e dannosi che compromettono il prodotto alimentare ab origine, come ad esempio le condizioni degli animali, l’uso di prodotti chimici ecc.

Con riguardo, invece, al delitto di disastro sanitario esso si staglia come ipotesi aggravata e autonoma di singoli mini- disastri pregiudizievoli per la salute, dai quali sia derivata: a) la lesione grave o la morte di 3 o più persone; b) il pericolo grave e diffuso di analoghi eventi ai danni di altre persone.

La responsabilità da illecito alimentare nel modello 231

Il summenzionato Ddl prevede l’introduzione dei reati agro-alimentari nel catalogo dei reati presupposto. In particolare, dalle Linee Guida del disegno di legge si desume che l’intervento del legislatore è finalizzato non solo ad allargare il novero dei reati presupposto, ma altresì ad incentivare l’applicazione concreta delle norme in tema di responsabilità degli enti, nonché a favorire l’adozione e l’efficace attuazione di più puntuali modelli di organizzazione e di gestione da parte delle imprese anche di minore dimensioni.

In particolare, è prevista la scomposizione dell’art. 25 bis del D.Lgs. 231/01 in tre nuovi e distinti capi:

  • Art. 25 bis. 1: che rimane dedicato ai “Delitti contro l’industria e il commercio;
  • Art. 25 bis 2 rubricato “Delle frodi in commercio di prodotti alimentari”, punito con la sanzione pecuniaria tra le 100 e le 800 quote, oltre che con l’applicazione di sanzioni interdittive temporanee limitatamente ai soli casi di condanna per il reato di agropirateria;
  • Art. 25 bis 3 rubricato “Dei delitti contro la salute pubblica” punito con la sanzione pecuniaria ricompresa tra le 300 e 1000 quote, oltre che l’applicazione di sanzioni interdittive temporanee nei casi di condanna per tutte le fattispecie ivi menzionate secondo una durata definita sulla base della gravità dell’illecito commesso.

Altresì, con riferimento agli artt. 25 bis.2 e 25 bis.3 è prevista la possibilità di ricorrere all’applicazione nei confronti dell’ente della più grave misura dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività “nel caso in cui lo scopo unico o prevalente dell’ente sia il consentire o l’agevolare la commissione dei reati sopra indicati”.

Infine, il Ddl prevede l’introduzione dell’art. 6 bis, speciale rispetto all’art. 6 del D.Lgs. 231/01.

Tale disposizione detta una particolare disciplina da applicare solo alle imprese alimentari, prevedendo standard personalizzati per la creazione e l’implementazione di un Modello 231 integrato e, in particolare, per l’assolvimento di tre classi di obblighi eterogenei:

  1. Obblighi a tutela dell’interesse dei consumatori (art. 6bis lett. a) e b) D.Lgs. 231/01)
  2. Obblighi a protezione della genuinità e sicurezza degli alimenti sin dalla fase originaria di produzione (art. 6 bis lett. c), d) ed e) del D.Lgs. 231/01)
  3. Obblighi in merito agli standard di monitoraggio e controllo (art. 6 bis. lett. f) e g) D.LGS. 231/01)

Come muoversi nel frattempo?

Ad oggi, non ci è dato sapere quando la legge entrerà in vigore. Tuttavia, nonostante l’incertezza, un aspetto è chiaro: il settore agro-alimentare, al pari di altri, per il suo florido dinamismo può essere terreno fertile per la commissione di diversi reati. Non si può escludere a priori la responsabilità della società per gli stessi, soprattutto se la medesima non si è dotata di un adeguato Modello 231.

Non aspettate la riforma per implementare all’interno delle vostre Società un Modello 231: prevenire è meglio che…. pagare!

Continua la ricerca sugli effetti del BPA

La ricerca sugli effetti delle sostanze e dei materiali a contatto con gli alimenti non si ferma, ed EFSA procede con studi mirati alla nuova verifica dei più recenti dati tossicologici sul BPA.

Il Bisfenolo A, come avevamo già visto a suo tempo, è una sostanza chimica presente nel policarbonato in grado di interagire o interferire con la normale attività ormonale di persone e animali, e di provocare effetti avversi per la salute di adulti e soprattutto bambini e neonati, sullo sviluppo, sulla crescita e sull’apparato riproduttivo.

Nel 2017 è stato elaborato un protocollo apposito a seguito di consultazione pubblica, un piano particolareggiato che stabilisce in anticipo e in maniera trasparente l’ambito, la metodologia e le esigenze in termini di dati prima che una valutazione abbia inizio.

Il corrente mese di settembre sarà dichiaratamente dedicato all’inizio dei lavori di ricerca per riesaminare il livello di sicurezza temporaneo stabilito in esito agli studi precedenti e alla valutazione del rischio del 2015.

In particolare, il gruppo di esperti valuterà i risultati del programma CLARITY-BPA condotto negli Stati Uniti e concluso nel febbraio 20128, mentre la pubblicazione dei risultati circa i potenziali effetti sulla salute del BPA a basse dosi è prevista per il prossimo mese di ottobre.

Tutti i nuovi studi e dati pertinenti sul BPA pubblicati a partire dal 31 dicembre 2012 possono essere presentati all’EFSA per l’eventuale inclusione in questa imminente revisione della sicurezza del BPA. Il termine per l’invio ad EFSA di studi e dati inerenti la valutazione del BPA è il 15 ottobre 2018.

EFSA pubblica anche un “calendario” delle attività e degli obiettivi per questa specifica attività, che dovrebbe concludersi nel 2020.

A colazione…caffè e biscotti? Oppure cereali e fette biscottate? A pranzo…un panino veloce? Prima di cena…un aperitivo sgranocchiando patatine e salatini? In molti degli alimenti che consumiamo ogni giorno, da mattina fino a sera, intervalli compresi, è presente una sostanza chimica chiamata acrilammide, che superati certi livelli può diventare pericolosa per la salute e che viene studiata dal 2002 proprio perché individuata in molti cibi di quotidiano utilizzo.

Seguendo la definizione di Efsa, che da anni si occupa di approfondirne la dannosità e stabilire valori di riferimento, l’acrilammide è “una sostanza chimica che si forma naturalmente negli alimenti amidacei durante la cottura ad alte temperature” (ad esempio con la frittura, la cottura al forno e alla griglia e anche durante i processi di trasformazione industriale a oltre 120°C) e bassa umidità, attraverso un processo chimico chiamato “reazione di Maillard”, a partire da alcuni zuccheri e da amminoacidi (soprattutto l’amminoacido “asparagina”) che sono naturalmente presenti in numerosi alimenti, che abbrustolisce conferendo croccantezza e gusto. La sua presenza è stata accertata anche negli alimenti per la prima infanzia e nei cereali utilizzati nei prodotti per lattanti.

I primi risultati scientifici sono stati pubblicati da Efsa nel 2015, e sulla base di prove e studi effettuati su animali hanno confermato che tale sostanza e il suo metabolita glicidammide sono genotossiche e possono aumentare il rischio di sviluppare forme tumorali. Più prudenti sono invece le conclusioni derivate da prove e studi condotti sull’uomo.

Rimane comunque attuale l’allarme per la salute in relazione ai cibi (tanti) contenenti acrilammide, e lo scorso mese di dicembre è entrato in vigore il Regolamento UE n.2158/2017 della Commissione, che sarà applicabile dall’11 aprile 2018, e che “istituisce misure di attenuazione e livelli di riferimento per la riduzione della presenza di acrilammide negli alimenti”.

L’art. 1 elenca i prodotti alimentari rientranti nell’ambito di applicazione del Regolamento, che sono: a) patate fritte tagliate a bastoncino, altri prodotti tagliati fritti e patatine (chips), ottenuti a partire da patate fresche; b) patatine, snack, cracker e altri prodotti a base di patate ottenuti a partire da pasta di patate; c) pane; d) cerali per la prima colazione (con esclusione del porridge); e) prodotti da forno fini: biscotti, gallette, fette biscottate, barrette ai cereali, scones, coni, cialde, crumpets e pane con spezie (panpepato), nonché cracker (galletta secca, ovvero prodotto da forno a base di farina di cereali), pane croccanti e sostituti del pane; f) caffè: i) caffè torrefatto ii) caffè (solubile) istantaneo; g) succedanei del caffè; h) alimenti per la prima infanzia e alimenti a base di cereali destinati ai lattanti e ai bambini nella prima infanzia.

Le aziende alimentari, a seconda delle dimensioni e del tipo di attività concretamente svolta, devono attenersi alle misure di attenuazione rispettivamente contenute negli Allegati I e II e ai livelli di riferimento dell’Allegato IV al Regolamento, ed assolvere ai relativi obblighi anche in materia di metodi di campionamento e analisi di controllo.

L’art.2 individua infatti tre diverse categorie-tipologie di operatori del settore alimentare interessati dalla norma:

  • Gli operatori del settore alimentare che producono e immettono sul mercato i prodotti alimentari dell’art.1
  • Gli operatori del settore alimentare che producono tali alimenti, svolgono attività di vendita al dettaglio e/o riforniscono direttamente solo esercizi locali di vendita al dettaglio
  • Gli operatori di cui al punto precedente, che operano in impianti sotto controllo diretto e nel quadro di un marchio o di una licenza commerciale, come parte o franchising di un’azienda interconnessa di più ampie dimensioni e secondo le istruzioni dell’operatore del settore alimentare che fornisce a livello centrale tali prodotti

Tutti gli operatori del settore alimentare interessati dagli obblighi imposti dal Regolamento devono adottare nel manuale di autocontrollo HACCP il proprio piano di prevenzione, un apposito registro per le procedure di attenuazione dei livelli di acrilammide, modalità di campionamento per analisi di laboratorio per il monitoraggio.

Eventuali superamenti dei livelli di riferimento rendono necessaria l’applicazione immediata di manovre correttive.

Si sa, alla fine gli alimenti sono spesso un insieme di sostanze “di base” e di elementi aggiuntivi, ciascuno con le proprie caratteristiche e proprietà, ciascuno in grado di conferire al prodotto finale un certo colore, sapore, odore, capacità conservativa… in teoria, per dare un effetto migliorativo in genere.

Tra questi, in particolare, vi sono gli additivi alimentari, contemplati in via generale nel Reg. CE n.1331/2008 insieme ad aromi ed enzimi (e relativo regolamento di attuazione  della Commissione UE n.234/2011) e specificamente disciplinati dal Reg. CE n.1333/2008.

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Ma quanto e come sono esposti, i vari alimenti, agli additivi? È possibile prevedere una stima di tale esposizione, per i nuovi additivi o per quelli autorizzati ad un nuovo utilizzo?

È possibile, e dallo scorso 4 dicembre è anche più semplice grazie alla versione 2.0 dello strumento operativo in funzione. Efsa ha infatti avviato la nuova versione di FAIM (Food Additives Intake Model), strumento ideato proprio per consentire il calcolo dell’esposizione media a nuovi additivi alimentari o ad additivi già autorizzati per i quali viene richiesto un nuovo uso, e la loro assunzione attraverso la dieta, per varie fasce della popolazione (neonati, bambini, adulti, anziani oltre i 75 anni di età…) nei diversi Paesi europei.

Quali dati prende a riferimento il FAIM?

Si basa sui dati raccolti dagli Stati membri circa il consumo di alimenti (abitudini alimentari, frequenza di consumo, quantità medie…) in base all’età e alla fascia di appartenenza, che sono conservati nella banca dati particolareggiata dell’EFSA sui consumi alimentari in Europa, mediante il proprio sistema di classificazione di bevande e alimenti chiamato FoodEx. I contenuti e le valutazioni statistiche derivanti dalla banca dati consentono di effettuare una rapida selezione tra esposizione cronica ed esposizione acuta a sostanze e organismi che possono trovarsi nella catena alimentare.

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E quindi?

L’interessato dovrà preventivamente registrarsi inviando una richiesta via mail a: data.collection@efsa.europa.eu specificando nome, indirizzo e-mail e affiliazione, poi seguire le indicazioni e le varie istruzioni del format, ed immettere i livelli di presenza per l’additivo alimentare da valutare a seconda della categoria di alimenti di interesse (tutti i valori devono essere inseriti come mg/kg dell’alimento), ovvero “livelli d’uso proposti”, per nuovi additivi alimentari o per un nuovo uso di un additivo alimentare già autorizzato oppure “livelli d’uso riferiti” o risultati analitici, in caso di valutazione di un additivo alimentare già autorizzato.

Tale strumento consente di ricevere una valutazione preventiva del rischio, e di poter adoperare le necessarie conseguenti iniziative al fine di evitarlo o contenerlo.

 

 

Molti dei prodotti alimentari di largo consumo come i dolci, le salse, il dado, prodotti a base di carne, risotti in busta, minestre liofilizzate e i piatti pronti in genere subiscono numerosi passaggi durante la loro trasformazione, e finiscono per perdere gran parte dei sapori iniziali. Se l’eredità di sapori e odori che resta a fine lavorazione è molto povera, occorre in qualche modo intervenire per restituire al prodotto quello che ha perso durante il cammino, aggiungendo qualcosa. E molto spesso, quel “qualcosa” sono i Glutammati, degli additivi derivanti dall’acido glutammico, in grado di conferire sapidità in moltissimi alimenti che finiscono quotidianamente sui nostri piatti.

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L’acido glutammico (E 620) è un amminoacido di per sé già presente in natura in alcuni alimenti (nella soia, in alcuni formaggi, nei pomodori…), utilizzato nelle varianti glutammato monosodico (E 621), glutammato monopotassico (E 622), diglutammato di calcio (E 623), glutammato monoammonico (E 624) e del diglutammato di magnesio (E 625).

In generale, l’aggiunta volontaria di “miglioratori alimentari” (aromi, enzimi, edulcoranti, coloranti…) negli alimenti e nelle bevande, per raggiungere diversi obiettivi tecnologici come la conservazione o il conferimento di particolari colori o sapori, viene monitorata proprio perché si deve evitare la presenza esagerata o indesiderata di alcune sostanze nell’organismo.

Ecco perché possono essere commercializzate ed utilizzate solo le sostanze comprese negli Elenchi dell’Unione Europea, a seguito di specifica procedura di autorizzazione disciplinata dal Reg. (CE) n.1331/2008 per additivi, aromi, enzimi, e dal relativo Reg. di attuazione della Commissione n. 234/2011. Per gli additivi, in particolare, occorre fare riferimento al Reg. (CE) n.1333/2008, e al suo All.II espressamente richiamato dall’art.40 secondo cui “soltanto gli additivi inclusi nell’elenco comunitario dell’Allegato II possono essere immessi sul mercato in quanto tali e utilizzati negli alimenti alle condizioni ivi specificate”.

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L’esposizione ai Glutammati è stata da tempo oggetto di studi ed approfondimenti scientifici da parte dell’EFSA, che ne ha recentemente rivalutato la sicurezza in relazione all’esposizione alimentare soprattutto da parte dei bambini, alle soglie della pericolosità ovvero di effetti nocivi per la salute dell’uomo. L’EFSA ha calcolato una dose giornaliera ammissibile (DGA) di 30 mg/kg di peso corporeo per tutti i sei additivi (E620-E625), determinata in base al dosaggio più elevato al quale non sono stati rilevati effetti nocivi in animali di laboratorio e inferiore ai dosaggi a cui emergono effetti negativi nell’uomo (mal di testa, elevata pressione sanguigna, aumento dei livelli di insulina).

Le industrie non trovano limiti quantitativi nell’utilizzo di tali additivi, che possono essere impiegati fino a 10 g/kg di alimento, mentre addirittura per i sostituti del sale, gli insaporitori e i condimenti non esiste un quantitativo massimo, dovendo solo attenersi alle buone pratiche di fabbricazione.

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Eppure, attraverso questi recenti approfondimenti scientifici sull’esposizione a questi additivi alimentari e sui rischi per la salute dei consumatori, l’EFSA ha rilevato che, anche a causa della forte presenza dei Glutammati in natura, generalmente la DGA viene superata anche da fasce di popolazione più esposte (bambini piccoli e adolescenti) e raggiunge livelli a cui sono associate conseguenze nocive per la salute umana.

L’Autorità ha dunque pubblicato il relativo Parere scientifico Scientific opinion on re-evaluation of glutamic acid (E 620), sodium glutamate (E 621), potassium glutamate (E 622), calcium glutamate (E 623), ammonium glutamate (E 624) and magnesium glutamate (E 625) as food additives ove raccomanda di rivedere livelli massimi consentiti dei Glutammati come additivi alimentari.

I Glutammati sono molto più presenti negli alimenti di quanto possiamo immaginare, utilizzati per molti più cibi di quanto possiamo credere. Diventa importante, ancora una volta, assumere tutte le informazioni riguardanti il prodotto che stiamo acquistando, e che finirà sulla nostra tavola, leggendo l’etichetta e provando a riempire il carrello in maniera più consapevole.

 

Il termometro non segna più 32^, sono arrivati i primi temporali e verso sera un maglioncino di cotone ci sta anche bene. Accade sempre così, all’inizio di settembre…l’estate cede pian piano il posto all’autunno, dopo averci regalato giornate calde (quest’anno, anche troppo!) e piene di luce, ed ora l’aria profuma di novità.

Se siete degli amanti delle serate piovose (da trascorrere rigorosamente in casa), e già vi pregustate tiepide tisane ed infusi dopo cena, muniti di copertina e pantofole, dovete sapere però che non tutto quello che deriva dalle piante è privo di pericoli.

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Nelle erbe e nelle piante comunemente utilizzate per preparare tisane e infusi, si nascondono gli alcaloidi pirrolizidinici (PA) ovvero delle tossine presenti in oltre 6000 piante[1] diffuse in tutto il mondo, riconosciute dal mondo scientifico come potenzialmente cancerogene. Occorre fare attenzione, inoltre, anche al miele grezzo perché può essere stato intaccato proprio attraverso il polline che le api hanno raccolto dai fiori e dalle piante nella loro attività di bottinatura. Come per infusi e tisane, anche per il miele (unico alimento per il quale vi sono dei dati scientifici sui livelli di PA) il rischio di un’alta concentrazione di PA è più elevato nei prodotti “naturali” e artigianali, mentre dovrebbe essere più ridotto in quelli industriali.

Tutto ciò non deve spaventare, né dissuadere dal consumo di questi prodotti, perché in fin dei conti una tisana alle erbe in una sera di metà ottobre, leggendo un buon libro, mentre fuori inizia a piovere, non ve la toglie nessuno…magari proprio con una goccia di miele…

In ogni caso, è importante sapere che nelle erbe e nelle piante essiccate e contenute nel filtro o nella bustina c’è anche dell’altro, ed è opportuno individuare a quali eventuali rischi esponiamo la nostra salute.

Già nel 2011 l’EFSA aveva pubblicato un parere scientifico Scientific Opinion on Pyrrolizidine alkaloids in food and feed circa l’impatto sulla salute degli PA presenti negli alimenti, affermando che “i PA di una certa classe, noti come PA 1,2-insaturi, possono agire sull’uomo da cancerogeni genotossici (cioè possono provocare il cancro e causare danni al DNA, il materiale genetico cellulare”. Per stabilire i livelli di pericolosità degli alcaloidi pirrolizidinici aveva utilizzato l’indice MOE (margine di esposizione), strumento generalmente utilizzato nella valutazione del rischio derivante dall’esposizione alle sostanze cancerogene e/o genotossiche presenti negli alimenti o nei mangimi[2].

L’attenzione del Ministero della Salute verso queste sostanze contaminanti è alta, soprattutto mancando dati e valutazioni su altri alimenti oltre il miele, e in assenza di limiti massimi stabiliti a livello europeo. Nel 2016, il Ministero ha emanato la Nota DGSAN 1.07.2016 invitando gli operatori del settore alimentare interessati (che trattano vegetali e loro parti per tisane ed infusi, oppure come materie prime per integratori alimentari vegetali o contenenti vegetali) ad adoperarsi per evitare la presenza di specie vegetali produttrici di alcaloidi pirrolizidinici e assicurarsi che eventuali semi non siano contaminati.

Inoltre, qualora non sia possibile evitare la presenza, anche accidentale, delle specie vegetali che producono alcaloidi, dovranno assicurare in particolare che i livelli degli alcaloidi pirrolizidinici siano inferiori ai limiti di rilevabilità strumentale, facendo uso delle le migliori tecnologie e includendo almeno i 28 alcaloidi attualmente oggetto di valutazioni a livello europeo.

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Nelle scorse settimane, su richiesta della Commissione UE, l’EFSA ha aggiornato i dati del 2011 circa la valutazione del rischio in relazione all’esposizione alle tossine contenute in miele, tè, infusi a base di erbe, integratori alimentari, ed ha ribadito che l’esposizione agli alcaloidi pirrolizidinici contenuti negli alimenti (soprattutto tè e infusioni di erbe) rappresenta, nel lungo termine e in particolare per i grandi consumatori di tali prodotti, un potenziale pericolo per la salute umana.

L’EFSA ha poi raccomandato una continua attenzione e interesse verso i livelli di tossicità e di cancerogenità, soprattutto, di 17 alcaloidi pirrolizidinici maggiormente presenti in alimenti e mangimi.

Nel frattempo, porte aperte a tisane ed infusi…con qualche consapevolezza in più!

[1] Tra le piante di campo in cui si riscontra la maggiore concentrazione di alcaloidi pirrolizidinici, ad esempio, vi sono le Boraginaceae (“non ti scordar di me”), Asteraceae (famiglia delle margherite) e Fabaceae (il genere Crotalaria noto con il nome comune di nacchera).

[2] Sostanzialmente, il MOE è un rapporto tra due fattori che, per una data popolazione, valuta la dose alla quale si manifesta per la prima volta un effetto avverso, limitato ma misurabile, e il livello di esposizione alla sostanza. Quanto più elevato è il valore del MOE, tanto più è ridotto il rischio potenziale per la salute dei consumatori.

 

Non si può parlare di sicurezza alimentare se non si considerano tutti quei materiali che in diversa maniera e in diversi momenti vengono a contatto con gli alimenti, e i rischi alla salute che possono derivare proprio da quel contatto.

Ad esempio, pensiamo a tutti gli oggetti che, durante le varie fasi di produzione, preparazione, stoccaggio, imballaggio, trasporto, distribuzione e vendita dei prodotti alimentari sono inevitabilmente destinati a venire a contatto con questi… come i macchinari utilizzati per la preparazione, gli imballaggi, i vari contenitori, le cisterne e i vani per il trasporto, gli utensili da cucina e infine gli strumenti generalmente utilizzati per il consumo come pentole, recipienti, posate, bicchieri, stoviglie… plastica certamente[1], ma anche carta, cartone, legno, gomma… della plastica e del Bisfenolo A avevamo già parlato in un nostro precedente articolo.

moca2Dunque, attraverso il contatto con questi oggetti, è inevitabile il rilascio e il conseguente passaggio dei loro costituenti chimici verso il cibo. Infatti, indipendentemente dal tipo di contatto (diretto, indiretto, volontario, accidentale…) questo causa il passaggio (migrazione) delle sostanze chimiche dal materiale verso l’alimento, e ciò impone riflessioni scientifiche e normative atte a garantire un elevato livello di salvaguardia della salute umana e della tutela del consumatore, attraverso una corretta ed aggiornata valutazione dei rischi e una disciplina uniforme a livello europeo che regoli i limiti, le modalità, i requisiti dei materiali a contatto con gli alimenti.

Per ricordare alcuni dei principali Regolamenti emanati in relazione a tale tematica, possiamo citare sicuramente il Reg. CE n.1935/2004 che stabilisce i principi generali di sicurezza per tutti i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto, direttamente o indirettamente, con i prodotti alimentari; il Reg. CE n.2023/2006 sulle buone pratiche di fabbricazione dei materiali e degli oggetti destinati a venire a contatto con prodotti alimentari, che impone agli operatori del settore di tenere un efficace e documentato sistema di assicurazione della qualità e un efficace sistema di controllo efficace, poi modificato dal Reg. CE n.282/2008; il Reg. CE n.450/2009 che integra il Reg. CE n.1935/2004 e detta disposizioni specifiche per i materiali e oggetti attivi (ovvero destinati a prolungare la conservabilità o mantenere o migliorare le condizioni dei prodotti alimentari imballati, concepiti in modo da incorporare deliberatamente componenti che rilasciano sostanze nel prodotto alimentare imballato o nel suo ambiente, o le assorbono dagli stessi) e intelligenti (che controllano le condizioni del prodotto alimentare imballato o del suo ambiente) e il Reg. UE n.10/2011 sui i materiali e gli oggetti di materia plastica destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari, individuati in un elenco aggiornato alle risultanze scientifiche, con i requisiti e i limiti per la fabbricazione e la commercializzazione, come misura specifica rispetto alle previsioni generali del Regolamento del 2004, come modificato dal Regolamento (UE) n.1419/2016 della Commissione, del 24 agosto 2016.

moca3Il Legislatore, però, solo oggi ha provveduto ad emanare le sanzioni per i rispettivi casi di violazione della normativa ora ricordata, per mezzo del recente Decreto Legislativo n.29 del 10.02.2017, in vigore dal 2 aprile 2017, di fatto potenzialmente applicabili a chiunque produce, fabbrica, trasforma, importa e immette sul mercato materiali e oggetti destinati a venire a contatto con gli alimenti.

Il Decreto prevede, in generale, che in caso di violazioni di lieve entità l’organo competente procede con l’invio di una diffida invitando il trasgressore a regolarizzare le violazioni, che comporta l’estinzione dell’illecito in caso di ottemperanza.

Puntualmente, poi, il Decreto specifica le diverse sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alle violazioni delle rispettive prescrizioni previste dai Regolamenti. Ad esempio gli artt.2-5 riguardano la violazione di alcune norme del Reg. CE n.1935/2004 con sanzioni che arrivano ad 80.000 euro, mentre l’art.8 sanziona i casi di non conformità ai diversi requisiti richiesti dal Reg. UE n.10/2011 con una pena pecuniaria che può arrivare sino a 60.000 euro. Ancora, l’art.9 riguarda il Reg. CE n.282/2008, e stabilisce pene pecuniarie sino a 60.000 euro e in determinati casi anche sanzioni accessorie come la sospensione dell’attività e la richiesta alla Commissione di revoca dell’autorizzazione.

allerta-alimentare-2Sarà dunque necessario, ancor più ora che finalmente le sanzioni ci sono, che i controlli siano efficaci e il rispetto della normativa in materia di materiali a contatto con gli alimenti sia puntualmente monitorato.

Altrimenti, le sanzioni resteranno sulla carta.

[1] Note le problematiche legate ai rischi derivanti dal Bisfenolo A (BPA), interferente endocrino largamente utilizzato nella fabbricazione del policarbonato che di fatto è  il tipo di plastica più utilizzato e conosciuto per le sue qualità performanti in termini di resistenza e modellabilità.

Tra pregiudizi e false illusioni, di mezzo c’è la Cina con il suo percorso, lento ma costante, di elaborazione e perfezionamento della normativa in materia di sicurezza alimentare.

Una panoramica sul tema l’abbiamo data in un nostro precedente articolo.

Le tappe fondamentali, ricordiamo brevemente, sono il 2009 in cui è avvenuta l’emanazione della Legge sulla sicurezza alimentare, il 2014 in cui è iniziata la fase di revisione della Legge, e il 2016 in cui, nel relativo documento di indirizzo, sono stati individuati e programmati importanti obiettivi legati all’agricoltura, pianificati al 2020.

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Proseguendo in tale direzione, qualche giorno fa la Repubblica Popolare Cinese ha incontrato l’Italia.

Come si legge da una nota del Ministero della Salute, infatti, il 12 giugno scorso una delegazione di alto livello della Repubblica Popolare Cinese, guidata dal direttore generale del Dipartimento I di Supervisione della sicurezza alimentare della China Food and Drug Administration (Cfda), è stata ricevuta dalla Direzione generale della Comunicazione e dei Rapporti europei e internazionali, in collaborazione con la Direzione generale per l’Igiene e la Sicurezza degli alimenti e la Nutrizione e la Direzione generale della Sanità animale e dei Farmaci veterinari.
La nota del Ministero precisa che l’incontro si è svolto in un clima di condivisione e caratterizzato da spirito collaborativo, durante il quale la rappresentanza cinese ha manifestato interesse a trattare e approfondire gli aspetti e i principi regolatori in materia di sicurezza alimentare vigenti nel nostro Paese, e in particolare hanno toccato gli argomenti relativi all’organizzazione dei Servizi veterinari, alla legislazione comunitaria e nazionale in materia di sicurezza alimentare, al ruolo dei Nas.
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Gli impegni e il confronto si sono protratti anche nella giornata seguente presso l’Istituto superiore di Sanità, con un incontro con alcune delle associazioni rappresentative del settore alimentare italiano…Federalimentare, Assolatte, Assocarni, Assica e Federvini.

Sarà interessante capire come proseguirà il percorso intrapreso dalla Repubblica Popolare Cinese… e se le false convinzioni potranno dirsi davvero false.

Additivi autorizzati, preparazioni di carni, fosfati…

La normativa in materia di additivi è contenuta nel Reg. CE n.1333/2008[1] il quale prevede, nell’All.I, l’Elenco degli additivi alimentari autorizzati e le condizioni del loro impiego.

Nello scorso mese di maggio la Repubblica ceca ha ottenuto l’aggiornamento di tale Elenco, a seguito di specifica domanda rivolta alla Commissione con la quale chiedeva l’autorizzazione all’utilizzo di acido fosforico, fosfati, difosfati, trifosfati e polifosfati nelle preparazioni di carni tradizionali (sostanzialmente, delle “salsicce” tipiche della cucina ceca di diversa composizione e granatura) Bìlà klobàsa, Vinnà klobàsa, Svàtecnì klobàsa, Syrovà klobàsa.klobasa

Infatti, fino ad oggi l’utilizzo di tali additivi nelle preparazioni di carni era autorizzato solo per breakfast sausages: in tali prodotti la carne è macinata in modo da mischiare completamente il tessuto muscolare e quello adiposo, così da ottenere un’emulsione di fibre e grasso che conferisce ai prodotti il loro particolare aspetto; prosciutto di Natale finlandese salato, burger meat con un contenuto minimo di ortaggi e/o cereali del 4 % mischiati all’interno della carne, Kasseler, Bräte, Surfleisch, toorvorst, šašlõkk eahjupraad” (All.II, parte E, categoria di alimenti 08.2).

Le “preparazioni di carni” in generale, secondo la definizione resa dal Reg. CE n.853/2004 richiamato dallo stesso All.II, parte E, sopra citato, sono “carni fresche, incluse le carni ridotte in frammenti, che hanno subito un’aggiunta di prodotti alimentari, condimenti o additivi o trattamenti non sufficienti a modificare la struttura muscolo-fibrosa interna della carne e ad eliminare quindi le caratteristiche delle carni fresche”.

L’aggiunta di fosfati faciliterebbe il legame tra i vari ingredienti e servirebbe a mantenere lo stato fisico-chimico per prodotti a lunga conservazione e imballati in atmosfera protettiva.

klobasa 2Poiché l’impiego di fosfati come additivi alimentari è già autorizzato per molti alimenti, e non incide sulla salute umana[2], la Commissione non ha ritenuto necessario un preventivo parere scientifico da parte dell’EFSA.

In breve tempo, quindi, la Commissione ha accolto la domanda proposta dalla Repubblica ceca e ha emanato il Reg. UE n.871/2017[3], ora in vigore, che modifica il Reg. CE n.1333/2008 prevedendo la sostituzione della voce relativa ai fosfati (E 338-452) dell’All.II, parte E, con la nuova versione estensiva, che comprende appunto anche le preparazioni di carni Bìlà klobàsa, Vinnà klobàsa, Svàtecnì klobàsa, Syrovà klobàsa.

 

[1] Trattasi del Regolamento CE n.1333/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16.12.2008 relativo agli additivi alimentari.

[2] Il Comitato scientifico dell’alimentazione umana aveva già condotto negli anni ‘90 delle valutazioni proprio sulla sicurezza dei fosfati negli alimenti, e aveva stabilito la dose massima giornaliera tollerabile pari a 70 mg/kg di peso corporeo, espressi in fosforo (Relazioni del Comitato scientifico dell’alimentazione umana, 25esima serie, pag.13, 1991).

[3] Regolamento UE n.871/2017 della Commissione del 22.05.2017 che modifica l’Allegato II del Regolamento CE n.1333/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l’uso di acido fosforico – fosfati – di-tri- e polifosfati (E 338-452) in alcune preparazioni di carni.