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Latte o non latte? La Corte di Giustizia in merito alle denominazioni delle bevande vegetali

Quante volte capita di trovare sugli scaffali dei supermercati e dei negozi di alimentari confezioni di latte di soia e latte di avena, che in realtà non contengono nemmeno un a goccia di latte? Allora, il latte cos’è e quando si può utilizzare questa denominazione senza ingenerare confusione? La realtà è che denominazioni tipiche dei prodotti lattiero-caseari (latte, yogurt, formaggio…) vengono spesso riportate sulle confezioni di prodotti di origine unicamente vegetale (soia, tofu…) che appartengono alla dieta vegetariana o vegana, e che comunque non hanno alcun legame con ciò che deriva dagli animali.

Resta fondamentale, a prescindere dalle rispettive convinzioni morali e dalle diverse abitudini alimentari, assicurare a tutti i consumatori che l’alimento abbia le caratteristiche e le qualità nutritive e compositive corrispondenti a quanto riportato sull’involucro o veicolato tramite i messaggi pubblicitari, innanzitutto garantendo che la denominazione di vendita sia univoca e non ingannevole.latte di ssoia

In materia di bevande vegetali e denominazioni di vendita, si è recentemente pronunciata la Corte di Giustizia dell’Unione europea, Settima sezione, interpellata su rinvio pregiudiziale da parte di un Giudice tedesco nella causa C-422/2016,  con sentenza del 14 giugno 2017, con l’obiettivo dichiarato di garantire al consumatore chiarezza assoluta sull’origine vegetale del prodotto e sulle caratteristiche e qualità.

Accadeva questo: l’associazione tedesca Verband Sozialer Wettbewerb attiva nel contrasto alla concorrenza sleale[1], aveva agito contro la TofuTown avanti il competente Tribunale di Treviri (Landgericht Trier) sostenendo che la società (che produce e vende prodotti alimentari vegetariani e vegani,  commercializzati quali “formaggio vegetale”, “burro di tofu” e simili) agisse in violazione delle norme contro la concorrenza sleale e quanto previsto dal Reg. UE n.1308/2013[2] sulle denominazioni riservate a latte e prodotti lattiero-caseari.

La TofuTown, dal canto suo, si difendeva negando qualsiasi violazione e sostenendo che ormai i consumatori sono consapevoli e sanno ben distinguere i prodotti vegetali da quelli animali in quanto sanno attribuire il corretto significato a quelle denominazioni, e che in ogni caso le denominazioni utilizzate sono sempre accompagnate da termini e locuzioni che richiamano e fanno emergere l’origine vegetale del prodotto.

Il Tribunale tedesco si rivolgeva dunque alla Corte di Giustizia, sospendendo il procedimento e avanzando di fatto tre relative questioni pregiudiziali[3] chiedendo sostanzialmente l’interpretazione dell’art. 78, par. 2 in combinato disposto con l’All. VII, parte III, punti 1 e 2 del Reg. UE n.1308/2013 che regolano l’utilizzo delle denominazioni di vendita per il latte e i prodotti lattiero-caseari.

Molto brevemente, vediamo cosa prevedono le tre norme in questione.

1) L’art.78 Definizioni, designazioni e denominazioni di vendita in determinati settori e prodotti, dice espressamente che le definizioni, designazioni e denominazioni di vendita di cui all’Allegato VII si applicano anche al “latte e prodotti lattiero-caseari destinati al consumo umano”, e che “possono essere utilizzate nell’Unione solo per la commercializzazione di un prodotto conforme ai corrispondenti requisiti stabiliti nel medesimo allegato”.

2) L’All. VII, parte III, stabilisce innanzitutto al punto 1 che “Il “latte” è esclusivamente il prodotto della secrezione mammaria normale, ottenuto mediante una o più mungiture, senza alcuna aggiunta o sottrazione” e che per prodotti lattiero-caseari si intendono i prodotti derivati esclusivamente dal latte (ai quali possono essere aggiunte sostanze necessarie per la loro fabbricazione, purchè non servano a sostituire parzialmente o totalmente i componenti del latte). La denominazione “latte” può comunque essere utilizzata anche per latte che ha subito un trattamento o insieme ad altri termini per designare tipo, origine, classe qualitativa, trattamento subito.

3) le denominazioni di vendita elencate al punto 2 (siero di latte, crema di latte o panna, burro, latticello, formaggio, iogurt) sono riservate unicamente ai prodotti lattiero-caseari, così come le denominazioni ai sensi dell’art.17 Reg. UE n.1169/2011 effettivamente utilizzate per tali prodotti[4]. Infine, la denominazione “latte” e le denominazioni relative ai prodotti lattiero-caseari possono essere utilizzate anche congiuntamente ad altri termini “per designare prodotti composti in cui nessun elemento sostituisce o intende sostituire un componente qualsiasi del latte e di cui il latte o un prodotto lattiero-caseario costituisce una parte fondamentale per la quantità o per l’effetto che caratterizza il prodotto”.

yogurt di risoVi sono anche delle eccezioni ammesse dalla Decisione 2010/791/UE[5], che fornisce un elenco di prodotti nel territorio dell’Unione “la cui natura esatta è chiara per uso tradizionale e/o qualora le denominazioni siano chiaramente utilizzate per descrivere una qualità caratteristica del prodotto” (all’All.VII, parte III, punto 5, Reg. n.1308/2013) tra cui in lingua italiana latte di mandorla, burro di cacao, latte di cocco, fagiolini al burro.

La Corte di Giustizia interpellata, esaminando e risolvendo congiuntamente le tre questioni pregiudiziali, ha concluso stabilendo che i prodotti puramente vegetali non possono essere commercializzati né pubblicizzati con denominazioni che il diritto dell’Unione riserva esclusivamente ai prodotti di origine animale, anche quando siano accompagnate da termini descrittivi che indicano l’origine vegetale del prodotto.

Infatti, rileva la Corte, il latte è per definizione il prodotto della secrezione mammaria e l’aggiunta di indicazioni quali “di soia” o “di tofu” non risponde ai criteri previsti dall’art.78 che accetta solo quelle che modificano ma non stravolgono la composizione del latte (mentre appunto un “latte di soia” sarebbe una vera e propria sostituzione dell’origine animale con quella vegetale). Analoga considerazione è stata condotta per i prodotti lattiero-caseari.

formaggio di tofuLa Corte ha dunque stabilito che l’art. 78, par. 2 e l’All.VII, parte III del Reg. UE n.1308/2013 devono essere interpretati nel senso che ostano a che la denominazione «latte» e le denominazioni che tale regolamento riserva unicamente ai prodotti lattiero-caseari siano utilizzate per designare, all’atto della commercializzazione o nella pubblicità, un prodotto puramente vegetale, e ciò anche nel caso in cui tali denominazioni siano completate da indicazioni esplicative o descrittive che indicano l’origine vegetale del prodotto in questione, salvo il caso in cui tale prodotto sia menzionato all’allegato I della decisione 2010/791/UE”.

 

[1] Secondo la normativa tedesca in materia, applicabile al caso oggetto della controversia, si configura un atto di concorrenza sleale “quando la violazione sia di natura tale da ledere in modo sensibile gli interessi dei consumatori, di altri operatori del mercato o dei concorrenti» (art. 3 bis, Gesetz gegen den unlauteren Wettbewerb).

[2] Trattasi del noto Regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e che abroga i regolamenti (CEE) n. 922/72, (CEE) n. 234/79, (CE) n. 1037/2001 e (CE) n. 1234/2007 del Consiglio.

[3] Nell’ambito di una controversia loro assegnata i Giudici degli Stati membri possono, attraverso il rinvio pregiudiziale, chiedere che la Corte di Giustizia si pronunci in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione oppure in merito alla validità di un atto dell’Unione. La pronuncia, che non risolve la controversia nazionale, sarà vincolante per quel Giudice ed anche per gli altri Giudizi nazionali eventualmente chiamati a decidere questioni analoghe.

[4] Tale norma rubricata Denominazione dell’alimento, al par.1 dispone che «La denominazione dell’alimento è la sua denominazione legale. In mancanza di questa, la denominazione dell’alimento è la sua denominazione usuale; ove non esista o non sia utilizzata una denominazione usuale, è fornita una denominazione descrittiva».

[5] Decisione n.791 della Commissione, del 20.12.2010.

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