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I decreti sull’ origine delle materie prime…se anche davvero necessari, sono eterni?

Dal dicembre 2016 ad oggi, l’Italia ha dato alla luce alcuni Decreti Interministeriali (Mipaaf-Mise) che hanno introdotto l’obbligo di indicare l’origine di alcune materie prime, in via provvisoria.

E così, in poco più di un anno, sono entrati in vigore quattro Decreti Interministeriali: il D.Int. 9.12.2016 sull’indicazione di origine della materia prima di latte e prodotti lattiero-caseari, il D.Int. 26.7.2017 sull’indicazione di origine del grano duro per la pasta di semola, il D.Int. 26.7.2017 sull’indicazione di origine del riso, il D.Int. 16.11.2017 sull’indicazione di origine del pomodoro. Norme che rispettivamente impongono agli operatori del settore alimentare l’obbligo di informare il consumatore circa l’origine del latte, l’ origine del grano, l’origine del riso e quella del pomodoro. In via provvisoria.

Ma l’origine di un prodotto, cos’è?

In generale nel nostro Paese la definizione è tratta dal Reg. UE n. 952/2013 (Codice Doganale dell’Unione) che all’art. 60 prevede che Le merci interamente ottenute in un unico paese o territorio sono considerate originarie di tale paese o territorio” e, al comma 2 “Le merci alla cui produzione contribuiscono due o più paesi o territori sono considerate originarie del paese o territorio in cui hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione”.

Questo vale anche per i prodotti alimentari grazie al Reg. UE n.1169/2011, art.2, che nel fornire le relative definizioni di paese d’origine[1] e di luogo di provenienza[2], sostanzialmente richiama il Codice Doganale medesimo. Ed è proprio il Reg. UE n.1169/2011 che all’art.26, par.3 detta l’obbligo di indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza: Quando il paese d’origine o il luogo di provenienza di un alimento è indicato e non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario: a) è indicato anche il paese d’origine o il luogo di provenienza di tale ingrediente primario; oppure b) il paese d’origine o il luogo di provenienza dell’ingrediente primario è indicato come diverso da quello dell’alimento”. Inoltre, il successivo par.8 specifica che “entro il 13 dicembre 2013, e a seguito di valutazioni d’impatto, la Commissione adotta atti di esecuzione relativi all’applicazione del paragrafo 2, lettera b), del presente articolo[3] e all’applicazione del paragrafo 3 del presente articolo. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d’esame di cui all’articolo 48, paragrafo 2”.

Tali obblighi necessitano di ulteriori atti da parte dell’Unione, da emanarsi attraverso la specifica procedura, per poter divenire applicabili. Accade che i quattro Decreti Interministeriali sono stati emanati in via anticipatoria (della normativa europea) e dichiaratamente sperimentale (provvisoria), in attesa e fintanto che la Commissione europea eventualmente decida di adottare dei propri atti esecutivi. Conseguentemente, essi finiscono per perdere efficacia nel caso di adozione da parte della Commissione (prima del 31 marzo 2019 per il decreto latte e prima del 31.12.2020 per i decreti grano, riso, pomodoro) di atti esecutivi ai sensi dell’art. 26, par.8, Reg. UE n.1169/2011.

Ricordiamo che il Decreto Interministeriale 26.7.2017 sull’origine del grano era stato criticato da molte categorie di produttori di pasta che lamentavano gli ingenti costi a cui sarebbero stati costretti in generale per adeguare la loro attività alle disposizioni sull’indicazione di origine, ed erano scettici rispetto all’asserito bisogno di ulteriori informazioni da parte del consumatore, soprattutto perché tale bisogno era stato “rilevato” mediante semplici sondaggi on line[4] sul sito web del Mipaaf di dubbia valenza statistica.

Tale Decreto prevede che le confezioni di pasta secca prodotte in Italia debbano riportare obbligatoriamente in etichetta le seguenti diciture: a) Paese di coltivazione del grano: nome del Paese nel quale il grano viene coltivato; b) Paese di molitura: nome del paese in cui il grano è stato macinato. Se queste fasi avvengono nel territorio di più Paesi possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, devono riportare le seguenti diciture: Paesi UE, Paesi NON UE, Paesi UE E NON UE. Se invece il grano duro è coltivato almeno per il 50% in un solo Paese (es. Italia), si può usare la dicitura: “Italia e altri Paesi UE e/o non UE.

Il ricorso promosso dalle associazioni di categoria avanti il Tar Lazio, con cui chiedevano la sospensione del Decreto, è stato respinto con Ordinanza n.6197/2017 con cui il Tar (richiamando proprio gli esiti del criticato sondaggio on line) ha ritenuto prevalente l’interesse pubblico diretto a tutelare l’informazione dei consumatori. E così, respinta la richiesta di sospensione cautelare, l’iter è andato avanti e lo scorso febbraio il Decreto è entrato in vigore.

Restiamo in attesa di scoprire la sorte di questi provvedimenti, ai quali però, nel frattempo (in via provvisoria!), gli operatori del settore alimentare si devono adeguare.

[1] “si riferisce all’origine di tale prodotto, come definita conformemente agli articoli da 23 a 26 del regolamento (CEE) n. 2913/92” ora abrogato e sostituito, da ultimo, dal Codice doganale dell’Unione.

[2]  “qualunque luogo indicato come quello da cui proviene l’alimento”.

[3] Relativo all’obbligo di indicare paese di origine o luogo di provenienza “per le carni dei codici della nomenclatura combinata (NC) elencati all’allegato XI”ovvero specie suina, ovina, caprina e volatili.

[4] Secondo il Mipaaf ben 26.000 cittadini italiani avrebbero partecipato alla consultazione pubblica indetta per raccogliere informazioni circa l’interesse alla trasparenza delle etichette dei prodotti alimentari, dalla quale sarebbe emerso che l’85% di loro considera importante conoscere l’origine delle materie prime, e soprattutto della pasta, per questioni legate al rispetto degli standard di sicurezza alimentare.

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