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Origine del grano: un passo avanti davvero necessario?

Anche per la filiera italiana “dal grano alla pasta” è partita la sperimentazione circa l’obbligatorietà, sulle confezioni di pasta secca, dell’indicazione del Paese o area di coltivazione e di molitura del grano. Si vuole arrivare a rendere obbligatoria, in altri termini, l’indicazione in etichetta dell’origine del grano.

Infatti, a fine novembre 2016, lo schema di decreto è stato inviato a Bruxelles, sulla spinta condivisa del Ministro delle politiche agricole e del Ministro dello Sviluppo Economico, con l’intento di meglio informare il consumatore anche su tale punto.

Simile traguardo è stato recentemente raggiunto per i prodotti lattiero-caseari, per i quali dal 1 gennaio è in vigore l’obbligo di indicare l’origine del latte utilizzato per la produzione di burro, yogurt, formaggi…

Tutto sembra mosso, abbiamo detto, da una politica nazionale ed europea diretta a garantire trasparenza e corretta informazione (e quindi, maggior tutela) al consumatore, sulla base dei principi, criteri e finalità previsti dal Reg. UE n.1169/2011.

Cosa si intende, in generale, per origine dei prodotti agricoli e alimentari?[1]

Diciamo subito che dottrina e giurisprudenza non hanno fornito sino ad ora una definizione univoca del concetto, così come la normativa nazionale ed europea in materia di informazioni al consumatore e pubblicità ingannevole (Dir. 79/112, Dir. 2006/114/CE, Dir. 2008/95/CE, L. n.4/2011…) non ha trovato una definizione generale ed esaustiva. Nemmeno il Reg. UE n.1169/2011 vi riesce, sebbene agli artt. 2.3 e 2.1 lett.g) abbia definito distintamente il “paese di origine” e il “luogo di provenienza” di un alimento, lasciando tuttavia irrisolta la concreta individuazione dei due concetti.

Lo schema di decreto “sul grano” prevede, in particolare, che le etichette delle confezioni di pasta secca prodotte e commercializzate in Italia riportino obbligatoriamente:

  • l’indicazione del Paese nel quale il grano viene coltivato
  • l’indicazione del Paese dove il grano è stato macinato
  • se tali fasi produttive avvengono nei diversi territori di più Paesi, l’etichetta deve riportare la dicitura Paesi UE, oppure Paesi NON UE, o ancora Paesi UE E NON UE
  • qualora il grano sia coltivato per almeno il 50% in un solo Paese, l’etichetta deve riportare il nome del Paese e … e altri Paesi UE e/o NON UE

Ma tale previsione sarebbe davvero utile ed indispensabile per il consumatore?

Siamo davvero certi che l’origine sia di per sé sinonimo di qualità, e che l’indicazione obbligatoria in etichetta dell’origine del grano dia al consumatore garanzia degli standard qualitativi della pasta secca che sta acquistando? E poi, cosa si intende per qualità? Non è forse un concetto soggettivo, a cui ciascuno attribuisce il significato che ritiene rispondente alle proprie aspettative, preferenze, esperienze?

Quello che è certo, comunque, è il grande volume di affari che si muove attorno alla pasta secca di semola di grano duro, cibo dalle antiche origini e dalla larghissima diffusione. In Italia, infatti, si parla di circa 4 milioni di tonnellate di grano duro, e della produzione di circa 3,4 milioni di tonnellate (maggiore produzione mondiale), per un export di 2 miliardi di euro.

[1] Come sempre illuminanti, sul punto, le osservazioni del Prof. F. Albisinni in Strumentario di diritto alimentare europeo, UTET, 2015, pagg. 277 ss.

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