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Sulla produzione biologica e sulle recenti novità che hanno coinvolto il settore, a livello operativo, abbiamo già detto in qualche precedente articolo.

Anche il sistema dei controlli ha una nuova disciplina, dopo la grande riforma generale dei controlli operata dal Reg. UE n.625/2017 del Parlamento  europeo,  del 15 marzo 2017, relativo ai controlli ufficiali e alle altre attivita’ ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della  legislazione sugli alimenti  e  sui  mangimi,  delle  norme  sulla  salute  e  sul benessere degli animali,  sulla  sanita’  delle  piante  nonche’  sui prodotti fitosanitari (il cosiddetto Regolamento sui controlli ufficiali).

Infatti, a portare nuove disposizioni inerenti le attività di controllo nel settore biologico è intervenuto il DECRETO LEGISLATIVO 23 febbraio 2018, n. 20 in vigore dal 22 marzo, recante Disposizioni di armonizzazione e razionalizzazione della normativa sui controlli in materia di produzione agricola e agroalimentare biologica, predisposto ai sensi dell’articolo 5, comma 2, lett. g), della legge 28 luglio 2016, n. 154, e ai sensi dell’articolo 2 della legge 12 agosto 2016, n. 170, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, n.67/2018.

Secondo l’art.1, che ne definisce l’ambito di applicazione, il decreto “contiene i principi e le disposizioni per l’armonizzazione, la razionalizzazione e la regolazione del sistema dei controlli e di certificazione delle attivita’ di  produzione, trasformazione, commercializzazione, importazione di prodotti ottenuti secondo il  metodo  di  agricoltura biologica e la relativa disciplina sanzionatoria e costituisce  testo unico in materia di controlli in tale settore, ai sensi dell’articolo 5 della legge 28 luglio 2016, n. 154[1]”, e rimanda, per le definizioni di «biologico», «operatore» e «conversione» al Reg. CE n. 834/2007 del Consiglio, del 28 giugno 2007, relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici.

Il corpo del decreto (artt.3, 4, 5, 6) è dedicato agli organismi di controllo che possono richiedere l’autorizzazione ad operare (inseriti in apposito elenco), alla descrizione delle loro specifiche competenze e allo svolgimento delle loro attività, nonché ai rapporti con il Ministero (ad esempio, comunicazione delle risultanze delle attività di svolte). L’art.8 individua poi le specifiche sanzioni pecuniarie a carico degli organismi di controllo.

Per quanto riguarda, invece, gli obblighi degli operatori del settore biologico, l’art.9 impone, ad esempio,  di redigere ed aggiornare il documento contenente la  descrizione completa dell’attivita’, del sito e dell’unita’ produttiva nonché quello contenente le misure per garantire, a livello di unita’, di sito e di attivita’, il rispetto delle  norme  di  produzione  biologica e prevenire i rischi di contaminazione; annotare su appositi registri tutte le operazioni riguardanti la  produzione  e  la commercializzazione dei prodotti  biologici, o in conversione, mettendoli a disposizione delle autorità competenti; comunicare periodicamente all’organismo di controllo la natura e la quantita’ di prodotto biologico, o in conversione, immesso sul mercato; consentire la  tracciabilita’ e rintracciabilita’ dei  prodotti  biologici in tutte le fasi di produzione, preparazione e distribuzione…

In questa breve lettura del nuovo decreto, non può mancare uno sguardo alle sanzioni che, salvo che il fatto costituisca reato, hanno natura amministrativa pecuniaria e sono elencate nell’art.10 (Sanzioni amministrative pecuniarie relative alla  designazione, alla presentazione e all’uso commerciale) e art.11 (Sanzioni amministrative pecuniarie a carico degli operatori), e vanno pagate presso  le Tesorerie dello Stato territorialmente competenti (art.13).

[1] Deleghe al Governo e ulteriori disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitivita’ dei settori agricolo e agroalimentare, nonche’ sanzioni in materia di pesca illegale.

Sembra che qualcosa si stia muovendo davvero nella giusta ed auspicata direzione che punta a migliorare lo standard di benessere degli animali.

Ricordiamo che lo scorso anno è stata istituita la Piattaforma UE sul benessere degli animali, e questo ulteriore passo avanti di questi giorni dimostra l’attenzione dell’Unione per alcuni temi sui quali Istituzioni e politica non possono più tacere.

E così, lo scorso 6 marzo è stato pubblicato il Regolamento di esecuzione (UE) 2018/329[1] della Commissione del 5 marzo 2018 che designa un centro di riferimento dell’Unione europea per il benessere degli animali, in applicazione delle specifiche previsioni (artt.95 e 96) del Reg. UE n.625/2017 sui controlli ufficiali.

Alcuni giorni fa la Commissione europea ha dunque individuato e designato, nel citato Regolamento, il primo Centro di riferimento europeo per il benessere degli animali, “responsabile del sostegno alle attività orizzontali della Commissione e degli Stati membri nel settore delle prescrizioni in materia di benessere degli animali” (art.1), ed ha assegnato tale importante ruolo al Consorzio guidato da Wageningen Livestock Research, di cui fanno parte anche l’Università di Aarhus e il Friedrich-Loeffler-Institut, con sede nella città di Wageningen nei Paesi Bassi.

Il Regolamento sarà applicabile dal 29 aprile 2018, e la designazione del Centro verrà riesaminata ogni cinque anni.

Cosa compete al Centro?

La struttura è chiamata a dare supporto tecnico e assistenza coordinata agli Stati membri per effettuare controlli ufficiali, a contribuire alla diffusione di buone pratiche, alla conduzione di studi scientifici, allo sviluppo di metodi per la valutazione del livello di benessere degli animali e di strumenti di miglioramento, nonché attività di formazione per i tecnici e gli organismi scientifici e per la diffusione di studi e conoscenze sulle innovazioni tecniche. Quindi, si occuperà di monitorare gli aspetti scientifici e normativi che riguardano il benessere degli animali, col fine di migliorarne il livello.

[1] Regolamento di esecuzione (UE) 2018/329 della Commissione del 5 marzo 2018 che designa un centro di riferimento dell’Unione europea per il benessere degli animali.

Segnaliamo l’importante Convegno organizzato da AIGA Treviso e CNA Treviso in materia di etichettatura degli alimenti (con le nuove sanzioni nazionali del recentissimo D.Lgs. n.231/17 in vigore dal prossimo 9 maggio!), indicazioni di origine, sede dello stabilimento, Made in Italy e molto altro!

Locandina Convegno 16_3_2018

Di sicuro interesse per le aziende e gli operatori del settore alimentare, gli argomenti trattati saranno oggetto di dibattito e vi sarà spazio per le vostre domande!

Partecipazione gratuita, iscrizioni via mail come da dettagli in locandina.

 

 

 

Per richiedere l’autorizzazione a mettere in commercio un nuovo alimento (novel food) si deve applicare e seguire, dallo scorso 1 gennaio, la nuova disciplina introdotta dal Reg.UE n.2015/2283…tanto attesa e oggetto di grande curiosità da parte non solo degli operatori del settore ma anche dei consumatori.

Mangeremo cavallette? Al ristorante ci verranno serviti insetti asiatici? Non è proprio così, o perlomeno, non sono solo queste le domande che devono interessare.

In generale, come avevamo già anticipato, tale nuova procedura dovrebbe consentire maggiore semplicità negli adempimenti a carico dei richiedenti, tempistiche ridotte, meno burocrazia.

E un aiuto alla corretta applicazione del (nuovo) Reg.UE n.2015/2283 (in particolare, dell’art.10 Procedura per autorizzare l’immissione sul mercato dell’Unione di un nuovo alimento e per aggiornare l’elenco dell’Unione, in conformità con il Reg. di esecuzione UE n.2469/2017 della Commissione[1]) giunge da EFSA che alcuni giorni fa ha pubblicato le nuove Linee Guida per la presentazione delle domande di autorizzazione[2].

Le Linee Guida contengono una checklist che riceve le informazioni, i requisiti e i presupposti per avviare la domanda, e alcune schede tecniche dove riportare gli elementi e i dati necessari per accompagnare e integrare i dossier scientifici che devono essere allegati.

Checklist

Va adeguatamente compilata e completata in tutte le sezioni e sottosezioni (Introduzione, Identificazione del novel food…) a cura del richiedente, che deve motivare i casi in cui non fornisce le informazioni richieste, e va inviata alla Commissione attraverso un apposito sistema informatico.

Schede tecniche

Si tratta di 4 documenti (Appendice B.1, B.2, B.3, B.4) ove vengono richieste informazioni circa gli studi e gli approfondimenti scientifici che sono stati condotti sul prodotto oggetto della domanda di autorizzazione.

EFSA raccomanda ai richiedenti di utilizzare tale documentazione e di attenersi alle istruzioni fornite.

Tutto questo, si spera, sarà davvero utile per velocizzare la procedura e consentire un più facile scambio di informazioni tra il richiedente e la Commissione.

 

[1] Trattasi del Regolamento di esecuzione (UE) 2017/2469 della Commissione, del 20 dicembre 2017, che stabilisce i requisiti amministrativi e scientifici per le domande di cui all’articolo 10 del regolamento (UE) 2015/2283 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai nuovi alimenti.

[2] Administrative guidance on the submission of applications for authorisation of a novel food pursuant to Article 10 of Regulation (EU) 2015/2283.

La notizia si sta diffondendo rapidamente, nel tiepido tentativo di recuperare i quasi tre anni di attesa per la nascita di quelle che oggi sono, finalmente (…dipende dai punti di vista), le sanzioni specifiche del nostro Paese in relazione alle violazioni al Reg.UE n.1169/11.

Rimandiamo alla sezione specifica del nostro sito per rileggere gli articoli sui temi più attuali in tema di etichettatura.

L’8 febbraio scorso, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto Legislativo n.231/2017, Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori e l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del medesimo regolamento (UE) n. 1169/2011 e della direttiva 2011/91/UE, ai sensi dell’articolo 5 della legge 12 agosto 2016, n. 170 «Legge di delegazione europea 2015», in vigore dal prossimo 9 maggio. Da tale data, dunque, i soggetti responsabili di violazioni agli obblighi e ai divieti imposti dal Regolamento verranno puniti sulla base delle nuove specifiche disposizioni sanzionatorie, dimenticando il precedente D. Lgs. n.109/1992 formalmente abrogato.

Leggendo i 31 articoli che compongono la nuova norma, cade l’attenzione su alcuni punti in particolare.

Innanzitutto, in apparente contrasto con il generale assetto restringente e rinforzato del nuovo impianto sanzionatorio, l’art.28 consente (senza specificare un termine massimo) di tenere in commercio fino all’esaurimento delle scorte “gli alimenti immessi sul mercato o etichettati prima della data di entrata in vigore del presente decreto in difformità dallo stesso”.

Tra le sanzioni più alte, i casi di violazione degli obblighi in materia di indicazione di allergeni dell’art.9, par.1, lett.c) (somma da 5.000 € a 40.000 €), e i casi di cessione e vendita di alimento oltre la sua data di scadenza (anche qui, somma da 5.000 € a 40.000 €).

Autorità competenti: l’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie spetta, ai sensi dell’art.26, al Dipartimento dell’ICQRF del Mipaaf, ferme le competenze proprie dell’AGCOM già riconosciute dal D.Lgs. n.145/2007 e dal D.Lgs. n. 206/2005.

All’art.2, ad esempio, viene definito quale soggetto responsabile non solo l’operatore del settore alimentare di cui all’art.8, par.1, del Regolamento[1] ma anche l’operatore del settore alimentare il cui nome o la cui ragione sociale siano riportati in un marchio depositato o registrato”.

Se comunque, da una prima lettura, possiamo riconoscere un generale inasprimento delle misure sanzionatorie, è vero anche che il D.Lgs. n.231/2017 offre la possibilità di lanciare alcuni calci di rigore, oltre al pagamento della sanzione in misura ridotta del 30% se effettuato entro i 5 giorni dalla contestazione o notifica e la procedura dell’invio di diffida ad adempiere entro 20 giorni in caso di “prima volta”. In particolare, l’art.27 prevede trattamenti di favore per le microimprese, con la riduzione di un terzo della sanzione amministrativa; la non applicazione delle nuove sanzioni “alle forniture ad organizzazioni senza scopo di lucro, per la successiva cessione gratuita a persone indigenti, di alimenti che presentano irregolarità di etichettatura non riconducibili alle informazioni relative alla data di scadenza o relative alle sostanze o a prodotti che possono provocare allergie o intolleranze” e nemmeno in relazione “all’immissione sul mercato di un alimento che è corredato da adeguata rettifica scritta delle informazioni non conformi” al Decreto stesso.

Le sanzioni sono nate, ora non resta che vedere come si comporteranno una volta uscite dalla culla ed entrate nel mondo.

[1] Ovvero, il soggetto con il cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto o, se tale operatore non è stabilito nell’Unione, l’importatore avente sede nel territorio dell’Unione.

Riportare dati e numeri non riesce sempre ad avere un senso, piuttosto diventa un susseguirsi di cifre e percentuali apparentemente senza significato.

Quando però questi dati e numeri sono riferiti alle attività di controllo svolte dall’ICQRF, ecco che ci dicono cose importanti.

Da qualche giorno, sul sito web del Mipaaf è pubblicato il Report dell’attività operativa dell’Ispettorato Centrale Repressione Frodi per il 2017, esplicativo delle diverse operazioni che l’Autorità ha condotto nei diversi ambiti (prodotti di qualità Dop, Igp, Stg) e settori merceologici (Vitivinicolo, olio, ortofrutta, carne, mangimi…), a difesa del settore produttivo agroalimentare italiano. Sostanzialmente, difesa del Made in Italy. Ecco quindi alcuni numeri, significativi dell’intenso lavoro svolto e dei grandi risultati raggiunti anche durante l’anno appena concluso, sulla scia degli anni precedenti, che confermano il ruolo esemplare dell’ICQRF tra le Autorità di controllo agroalimentare a livello internazionale.

Sono stati eseguiti in totale 53.733 controlli (40.857 ispettivi e 12.876 analitici) e gli operatori del settore alimentare controllati sono stati 25.168 (per 57.059 prodotti controllati).

In particolare, l’88% dei controlli ha riguardato i prodotti alimentari e il restante 12% ha riguardato invece mangimi, fertilizzanti, sementi, prodotti fitosanitari.

Quali i settori maggiormente controllati? Innanzitutto il vitivinicolo (17.527 controlli) e l’oleario (7.843 controlli), seguiti dal settore della carne e derivati (5.086 controlli), dal lattiero caseario (4.977 controlli), e poi dal settore ortofrutticolo (2.708 controlli), cereali e derivati (2.406 controlli), conserve vegetali (1.971 controlli), sostanze zuccherine (733 controlli), miele (793 controlli), bevande spiritose (613 controlli), uova (518 controlli), e 1.967 controlli su altri settori.

Sono state rilevate irregolarità per il 26,8% degli operatori, per il 15,7% dei prodotti e per il 7,8% dei campioni.

Quali (e quanti) i risultati strettamente operativi? A seguito delle attività ispettive e di controllo, sono state inoltrate all’Autorità Giudiziaria 455 notizie di reato, sono state elevate 3.715 contestazioni amministrative, sono stati effettuati 963 sequestri.

L’ICQRF riveste infatti un ruolo importante anche nella lotta alla criminalità nel settore agroalimentare, soprattutto carne e prodotti lattiero caseari, conducendo nel 2017 importanti operazioni di Polizia Giudiziaria.

E il commercio elettronico? ICQRF opera sulle piattaforme di Ebay, Alibaba e Amazon come soggetto legittimato (owner) a difendere il “nome” delle Indicazioni geografiche italiane.

Dal 2014 sono stati effettuati 2.202 interventi all’estero e sul web, e nel 2017 sono stati state avviate 615 procedure di contrasto a usurpazioni ed evocazioni con un totale di 295 blocchi di vendite (in particolare, 226 su Ebay, 37 su Amazon, 32 su Alibaba). Il maggior numero di interventi dal 2014 al 2017 ha interessato Prosecco, Parmigiano Reggiano, Wine kit, Aceto Balsamico di Modena, Prosciutto di Parma.

Se davvero questi dati, meglio esplicati nel documento ufficiale pubblicato dal Mipaaf, rappresentano una crescente e sempre più efficace tutela dell’agroalimentare italiano, con conseguente valorizzazione delle aziende che si impegnano per produrre e vendere prodotti nel pieno rispetto della normativa, allora non restano un elenco di numeri e percentuali ma hanno un vero significato concreto. Per ora, poterlo immaginare sulla fiducia è già un grande risultato.

A colazione…caffè e biscotti? Oppure cereali e fette biscottate? A pranzo…un panino veloce? Prima di cena…un aperitivo sgranocchiando patatine e salatini? In molti degli alimenti che consumiamo ogni giorno, da mattina fino a sera, intervalli compresi, è presente una sostanza chimica chiamata acrilammide, che superati certi livelli può diventare pericolosa per la salute e che viene studiata dal 2002 proprio perché individuata in molti cibi di quotidiano utilizzo.

Seguendo la definizione di Efsa, che da anni si occupa di approfondirne la dannosità e stabilire valori di riferimento, l’acrilammide è “una sostanza chimica che si forma naturalmente negli alimenti amidacei durante la cottura ad alte temperature” (ad esempio con la frittura, la cottura al forno e alla griglia e anche durante i processi di trasformazione industriale a oltre 120°C) e bassa umidità, attraverso un processo chimico chiamato “reazione di Maillard”, a partire da alcuni zuccheri e da amminoacidi (soprattutto l’amminoacido “asparagina”) che sono naturalmente presenti in numerosi alimenti, che abbrustolisce conferendo croccantezza e gusto. La sua presenza è stata accertata anche negli alimenti per la prima infanzia e nei cereali utilizzati nei prodotti per lattanti.

I primi risultati scientifici sono stati pubblicati da Efsa nel 2015, e sulla base di prove e studi effettuati su animali hanno confermato che tale sostanza e il suo metabolita glicidammide sono genotossiche e possono aumentare il rischio di sviluppare forme tumorali. Più prudenti sono invece le conclusioni derivate da prove e studi condotti sull’uomo.

Rimane comunque attuale l’allarme per la salute in relazione ai cibi (tanti) contenenti acrilammide, e lo scorso mese di dicembre è entrato in vigore il Regolamento UE n.2158/2017 della Commissione, che sarà applicabile dall’11 aprile 2018, e che “istituisce misure di attenuazione e livelli di riferimento per la riduzione della presenza di acrilammide negli alimenti”.

L’art. 1 elenca i prodotti alimentari rientranti nell’ambito di applicazione del Regolamento, che sono: a) patate fritte tagliate a bastoncino, altri prodotti tagliati fritti e patatine (chips), ottenuti a partire da patate fresche; b) patatine, snack, cracker e altri prodotti a base di patate ottenuti a partire da pasta di patate; c) pane; d) cerali per la prima colazione (con esclusione del porridge); e) prodotti da forno fini: biscotti, gallette, fette biscottate, barrette ai cereali, scones, coni, cialde, crumpets e pane con spezie (panpepato), nonché cracker (galletta secca, ovvero prodotto da forno a base di farina di cereali), pane croccanti e sostituti del pane; f) caffè: i) caffè torrefatto ii) caffè (solubile) istantaneo; g) succedanei del caffè; h) alimenti per la prima infanzia e alimenti a base di cereali destinati ai lattanti e ai bambini nella prima infanzia.

Le aziende alimentari, a seconda delle dimensioni e del tipo di attività concretamente svolta, devono attenersi alle misure di attenuazione rispettivamente contenute negli Allegati I e II e ai livelli di riferimento dell’Allegato IV al Regolamento, ed assolvere ai relativi obblighi anche in materia di metodi di campionamento e analisi di controllo.

L’art.2 individua infatti tre diverse categorie-tipologie di operatori del settore alimentare interessati dalla norma:

  • Gli operatori del settore alimentare che producono e immettono sul mercato i prodotti alimentari dell’art.1
  • Gli operatori del settore alimentare che producono tali alimenti, svolgono attività di vendita al dettaglio e/o riforniscono direttamente solo esercizi locali di vendita al dettaglio
  • Gli operatori di cui al punto precedente, che operano in impianti sotto controllo diretto e nel quadro di un marchio o di una licenza commerciale, come parte o franchising di un’azienda interconnessa di più ampie dimensioni e secondo le istruzioni dell’operatore del settore alimentare che fornisce a livello centrale tali prodotti

Tutti gli operatori del settore alimentare interessati dagli obblighi imposti dal Regolamento devono adottare nel manuale di autocontrollo HACCP il proprio piano di prevenzione, un apposito registro per le procedure di attenuazione dei livelli di acrilammide, modalità di campionamento per analisi di laboratorio per il monitoraggio.

Eventuali superamenti dei livelli di riferimento rendono necessaria l’applicazione immediata di manovre correttive.

Il nostro Paese è la culla degli agrumi, offre varietà e qualità dai sapori e dai profumi davvero invidiabili… e che colori!

Ne avevamo già parlato, in merito agli agrumeti caratteristici.

Ricchi in vitamine e sali minerali, fonte di fibre e “fanno bene alla salute” (…a voi dire se questi messaggi rispondono ai requisiti del Regolamento n.1924/2006!)

La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha detto la sua circa i trattamenti post raccolta (è importante sapere come avvengono e cosa comportano).

Proprio per tutelare e valorizzare il mondo degli agrumi italiano, è recentissima la notizia del Mipaaf con cui, dando atto delle attività e dei progetti del Tavolo del settore agrumicolo riunitosi qualche giorno fa, ne presenta obiettivi e strategie.

Vediamo dunque cosa dice la notizia pubblicata dal Ministero il 16 gennaio scorso.

Durante la riunione del Tavolo del settore agrumicolo sono state individuate alcune importanti AZIONI PRIORITARIE:

– la realizzazione di Misure di emergenza, ovvero distribuzione agli indigenti di 4500 tonnellate di arance, mediante il ritiro dal mercato delle arance in due fasi: 500 tonnellate di ritiri utilizzando subito il totale plafond disponibile sulle dotazioni per il contrasto all’embargo russo; 4.000 tonnellate circa con un bando pubblico per acquisto di arance e distribuzione agli indigenti.

Ripristino del potenziale produttivo e rinnovo varietale, in particolare degli agrumeti colpiti dal virus Tristeza, mediante un coordinamento tra le azioni dei produttori e il sostegno fornito dalle istituzioni. In particolare, le condizioni da assicurare per realizzare il rinnovo varietale sono: assicurare la disponibilità di piante indenni per realizzare il piano annuale di riconversione programmato, attraverso investimento diretto del CREA; realizzare il Catasto agrumicolo nazionale, con l’impegno assunto dal Mipaaf ad avviare i lavori a partire dal 2018; – Riconversione produttiva, ovvero l’avvio di un piano di riconversione varietale con materiale certificato esente da virus, utilizzando in maniera sinergica e integrata le risorse dei PSR e dell’OCM attraverso le organizzazioni dei produttori.

– istituzione di un Fondo agrumicolo, al fine di incentivare l’aggregazione, gli accordi di filiera, l’internazionalizzazione, la competitività e la produzione di qualità. Il Fondo agrumicolo prevede una dotazione di 10 milioni di euro da spalmare nel corso del 2018, 2019, 2020.

– Monitoraggio e interventi nell’Export, con il rafforzamento di specifiche azioni in materia di fitosanitari e stesura dei relativi dossier, utilizzati nella presentazione agli altri Paesi (soprattutto i Paesi extra UE).

– Promozione e azioni coordinate con la GDO, incentrate sugli aspetti inerenti le informazioni ai consumatori, mediante un primo stanziamento di 400mila euro è stato già previsto per il 2018 in particolare dedicato alle informazioni e caratteristiche nutrizionali delle arance.

Questi, sulla carta, i programmi.

Vedremo se saranno davvero realizzati e se le potenzialità del mondo agrumicolo saranno davvero sostenute e valorizzate.

L’obbligo di indicazione della quantità degli ingredienti in etichetta (QUID) per gli alimenti preimballati è previsto e disciplinato dal Reg. UE n.1169/11, e compare infatti nell’elenco dell’art.9, poi specificato dall’art.22 e dalle disposizioni tecniche dell’All.VIII.

Cos’è un ingrediente? Secondo l’art.2, par.2, lett.f: “qualunque sostanza o prodotto, compresi gli aromi, gli additivi e gli enzimi alimentari, e qualunque costituente di un ingrediente composto utilizzato nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito, anche se sotto forma modificata; i residui non sono considerati come ingredienti” .

Lo scorso mese di novembre è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea 2017/C/393 la Comunicazione CE n. 393/05 del 21/11/2017 sull’applicazione del principio della dichiarazione della quantità degli ingredienti in etichetta (QUID).

Lo scopo dichiarato della Comunicazione è di fornire orientamenti alle imprese del settore alimentare e alle autorità nazionali per facilitare l’interpretazione della normativa e l’attuazione dell’obbligo, attraverso esempi e indicazioni operative.

L’indicazione quantitativa degli ingredienti, secondo l’art.22, è richiesta quando l’ingrediente o la categoria di ingredienti “a.figura nella denominazione dell’alimento o è generalmente associato a tale denominazione dal consumatore; b.è evidenziato nell’etichettatura mediante parole, immagini o una rappresentazione grafica; o c.è essenziale per caratterizzare un alimento e distinguerlo dai prodotti con i quali potrebbe essere confuso a causa della sua denominazione o del suo aspetto”.

La Commissione suggerisce la linea interpretativa sull’applicazione o meno dell’obbligo, ad esempio, per i casi di ingrediente composto, o di ingrediente evidenziato in etichetta mediante immagini o illustrazioni, il caso di ingrediente essenziale caratterizzante l’alimento, o ancora il caso di ingredienti che il consumatore generalmente associa alla denominazione di vendita…

Fornisce poi indicazioni concrete sull’applicazione delle deroghe all’obbligo, stabilite dall’All.VIII (ad esempio, nel caso dei nettari e delle confetture prodotti con due o più frutti, evidenziati singolarmente sull’etichetta mediante parole o immagini o citati singolarmente nella denominazione dell’alimento, è obbligatorio indicare anche la quantità o la percentuale di tali ingredienti).

Sempre l’All. VIII prevede le forme di espressione della quantità degli ingredienti, in particolare stabilisce: 1.che la stessa sia espressa in percentuale; 2.che figuri nella denominazione dell’alimento o immediatamente accanto a tale denominazione, o nella lista degli ingredienti in rapporto con l’ingrediente o la categoria di ingredienti in questione; 3.che corrisponda alla quantità dell’ingrediente o degli ingredienti al momento della loro utilizzazione, cioè è calcolata sulla base della ricetta al momento dell’utilizzazione degli ingredienti.

Il QUID si riferisce agli ingredienti che figurano nell’elenco degli ingredienti. Per esempio, gli ingredienti identificati con termini come “pollo”, “latte”, “uova”, “banane” devono essere quantificati nella forma cruda/intera, in quanto i termini utilizzati non indicano che abbiano subito un trattamento e sottintendono quindi l’uso dell’alimento crudo/intero. Gli ingredienti identificati con denominazioni da cui risulta che sono stati utilizzati in una forma diversa da quella cruda/intera, per esempio “pollo arrosto”, “latte in polvere”, “frutta candita”, devono essere quantificati nella forma in cui sono stati utilizzati.

I nuovi orientamenti della Commissione, qui solo brevemente accennati, integrano e sostituiscono quelli già forniti dalla precedente normativa e in ogni caso lasciano impregiudicate eventuali interpretazioni date dalla Corte di Giustizia.

Si sa, alla fine gli alimenti sono spesso un insieme di sostanze “di base” e di elementi aggiuntivi, ciascuno con le proprie caratteristiche e proprietà, ciascuno in grado di conferire al prodotto finale un certo colore, sapore, odore, capacità conservativa… in teoria, per dare un effetto migliorativo in genere.

Tra questi, in particolare, vi sono gli additivi alimentari, contemplati in via generale nel Reg. CE n.1331/2008 insieme ad aromi ed enzimi (e relativo regolamento di attuazione  della Commissione UE n.234/2011) e specificamente disciplinati dal Reg. CE n.1333/2008.

additivi

Ma quanto e come sono esposti, i vari alimenti, agli additivi? È possibile prevedere una stima di tale esposizione, per i nuovi additivi o per quelli autorizzati ad un nuovo utilizzo?

È possibile, e dallo scorso 4 dicembre è anche più semplice grazie alla versione 2.0 dello strumento operativo in funzione. Efsa ha infatti avviato la nuova versione di FAIM (Food Additives Intake Model), strumento ideato proprio per consentire il calcolo dell’esposizione media a nuovi additivi alimentari o ad additivi già autorizzati per i quali viene richiesto un nuovo uso, e la loro assunzione attraverso la dieta, per varie fasce della popolazione (neonati, bambini, adulti, anziani oltre i 75 anni di età…) nei diversi Paesi europei.

Quali dati prende a riferimento il FAIM?

Si basa sui dati raccolti dagli Stati membri circa il consumo di alimenti (abitudini alimentari, frequenza di consumo, quantità medie…) in base all’età e alla fascia di appartenenza, che sono conservati nella banca dati particolareggiata dell’EFSA sui consumi alimentari in Europa, mediante il proprio sistema di classificazione di bevande e alimenti chiamato FoodEx. I contenuti e le valutazioni statistiche derivanti dalla banca dati consentono di effettuare una rapida selezione tra esposizione cronica ed esposizione acuta a sostanze e organismi che possono trovarsi nella catena alimentare.

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E quindi?

L’interessato dovrà preventivamente registrarsi inviando una richiesta via mail a: data.collection@efsa.europa.eu specificando nome, indirizzo e-mail e affiliazione, poi seguire le indicazioni e le varie istruzioni del format, ed immettere i livelli di presenza per l’additivo alimentare da valutare a seconda della categoria di alimenti di interesse (tutti i valori devono essere inseriti come mg/kg dell’alimento), ovvero “livelli d’uso proposti”, per nuovi additivi alimentari o per un nuovo uso di un additivo alimentare già autorizzato oppure “livelli d’uso riferiti” o risultati analitici, in caso di valutazione di un additivo alimentare già autorizzato.

Tale strumento consente di ricevere una valutazione preventiva del rischio, e di poter adoperare le necessarie conseguenti iniziative al fine di evitarlo o contenerlo.