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Dell’impegno a rafforzare i controlli sul web avevamo già parlato in un precedente articolo, dando notizia dell’accordo  tra l’ICQRF e il colosso dell’e-commerce Alibaba siglato nel settembre 2015.

Le risorse e gli obiettivi delle rispettive parti erano rivolti alla tutela e alla promozione dei prodotti agroalimentari italiani, attraverso la lotta alle contraffazioni e la difesa e valorizzazione del Made in Italy. Molti sono stati i controlli effettuati dall’Ispettorato, molti i prodotti bloccati, molti i contenuti web rimossi, in modo particolare riguardanti vini, salumi, formaggi maldestramente (a volte, più accuratamente) “travestiti” da Prosecco, Prosciutto di Parma, Parmigiano. Solo per ricordare gli interventi effettuati nelle ultime settimane, è stata fermata l’offerta on line di 25mila tonnellate di falso pecorino romano e di 25mila tonnellate di finto Parmigiano proveniente da Bangkok, e di finto Parmigiano grattugiato in arrivo dall’Australia.

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Sulla scia di questa spinta patriottica, in questi due anni si è voluto fare di più, creando sullo spazio web di Alibaba una vetrina virtuale tutta italiana. E così, Italian Pavilion nasce come temporary store nel febbraio 2017, in occasione della visita del Presidente Mattarella in Cina, come una sorta di omaggio alla produzione italiana, ormai ai vertici nelle vendite internazionali anche nel (e grazie al) commercio elettronico, soprattutto nei settori della moda, dell’agroalimentare, della cosmesi e prodotti di bellezza.

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Il temporary store è poi diventato permanente, e qualche giorno fa, il 9 settembre, ha ospitato il mondo dei vini italiani dando la possibilità a ben 120 aziende vinicole del nostro Paese provenienti da tutte le Regioni di mostrarsi e presentare i propri prodotti.

 

Le parole chiave sono dunque tutela e promozione, nelle vendite on line e anche in quelle dei mercati tradizionali, per riuscire a vendere molto e, soprattutto, vendere giusto.

Molti dei prodotti alimentari di largo consumo come i dolci, le salse, il dado, prodotti a base di carne, risotti in busta, minestre liofilizzate e i piatti pronti in genere subiscono numerosi passaggi durante la loro trasformazione, e finiscono per perdere gran parte dei sapori iniziali. Se l’eredità di sapori e odori che resta a fine lavorazione è molto povera, occorre in qualche modo intervenire per restituire al prodotto quello che ha perso durante il cammino, aggiungendo qualcosa. E molto spesso, quel “qualcosa” sono i Glutammati, degli additivi derivanti dall’acido glutammico, in grado di conferire sapidità in moltissimi alimenti che finiscono quotidianamente sui nostri piatti.

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L’acido glutammico (E 620) è un amminoacido di per sé già presente in natura in alcuni alimenti (nella soia, in alcuni formaggi, nei pomodori…), utilizzato nelle varianti glutammato monosodico (E 621), glutammato monopotassico (E 622), diglutammato di calcio (E 623), glutammato monoammonico (E 624) e del diglutammato di magnesio (E 625).

In generale, l’aggiunta volontaria di “miglioratori alimentari” (aromi, enzimi, edulcoranti, coloranti…) negli alimenti e nelle bevande, per raggiungere diversi obiettivi tecnologici come la conservazione o il conferimento di particolari colori o sapori, viene monitorata proprio perché si deve evitare la presenza esagerata o indesiderata di alcune sostanze nell’organismo.

Ecco perché possono essere commercializzate ed utilizzate solo le sostanze comprese negli Elenchi dell’Unione Europea, a seguito di specifica procedura di autorizzazione disciplinata dal Reg. (CE) n.1331/2008 per additivi, aromi, enzimi, e dal relativo Reg. di attuazione della Commissione n. 234/2011. Per gli additivi, in particolare, occorre fare riferimento al Reg. (CE) n.1333/2008, e al suo All.II espressamente richiamato dall’art.40 secondo cui “soltanto gli additivi inclusi nell’elenco comunitario dell’Allegato II possono essere immessi sul mercato in quanto tali e utilizzati negli alimenti alle condizioni ivi specificate”.

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L’esposizione ai Glutammati è stata da tempo oggetto di studi ed approfondimenti scientifici da parte dell’EFSA, che ne ha recentemente rivalutato la sicurezza in relazione all’esposizione alimentare soprattutto da parte dei bambini, alle soglie della pericolosità ovvero di effetti nocivi per la salute dell’uomo. L’EFSA ha calcolato una dose giornaliera ammissibile (DGA) di 30 mg/kg di peso corporeo per tutti i sei additivi (E620-E625), determinata in base al dosaggio più elevato al quale non sono stati rilevati effetti nocivi in animali di laboratorio e inferiore ai dosaggi a cui emergono effetti negativi nell’uomo (mal di testa, elevata pressione sanguigna, aumento dei livelli di insulina).

Le industrie non trovano limiti quantitativi nell’utilizzo di tali additivi, che possono essere impiegati fino a 10 g/kg di alimento, mentre addirittura per i sostituti del sale, gli insaporitori e i condimenti non esiste un quantitativo massimo, dovendo solo attenersi alle buone pratiche di fabbricazione.

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Eppure, attraverso questi recenti approfondimenti scientifici sull’esposizione a questi additivi alimentari e sui rischi per la salute dei consumatori, l’EFSA ha rilevato che, anche a causa della forte presenza dei Glutammati in natura, generalmente la DGA viene superata anche da fasce di popolazione più esposte (bambini piccoli e adolescenti) e raggiunge livelli a cui sono associate conseguenze nocive per la salute umana.

L’Autorità ha dunque pubblicato il relativo Parere scientifico Scientific opinion on re-evaluation of glutamic acid (E 620), sodium glutamate (E 621), potassium glutamate (E 622), calcium glutamate (E 623), ammonium glutamate (E 624) and magnesium glutamate (E 625) as food additives ove raccomanda di rivedere livelli massimi consentiti dei Glutammati come additivi alimentari.

I Glutammati sono molto più presenti negli alimenti di quanto possiamo immaginare, utilizzati per molti più cibi di quanto possiamo credere. Diventa importante, ancora una volta, assumere tutte le informazioni riguardanti il prodotto che stiamo acquistando, e che finirà sulla nostra tavola, leggendo l’etichetta e provando a riempire il carrello in maniera più consapevole.

 

Il termometro non segna più 32^, sono arrivati i primi temporali e verso sera un maglioncino di cotone ci sta anche bene. Accade sempre così, all’inizio di settembre…l’estate cede pian piano il posto all’autunno, dopo averci regalato giornate calde (quest’anno, anche troppo!) e piene di luce, ed ora l’aria profuma di novità.

Se siete degli amanti delle serate piovose (da trascorrere rigorosamente in casa), e già vi pregustate tiepide tisane ed infusi dopo cena, muniti di copertina e pantofole, dovete sapere però che non tutto quello che deriva dalle piante è privo di pericoli.

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Nelle erbe e nelle piante comunemente utilizzate per preparare tisane e infusi, si nascondono gli alcaloidi pirrolizidinici (PA) ovvero delle tossine presenti in oltre 6000 piante[1] diffuse in tutto il mondo, riconosciute dal mondo scientifico come potenzialmente cancerogene. Occorre fare attenzione, inoltre, anche al miele grezzo perché può essere stato intaccato proprio attraverso il polline che le api hanno raccolto dai fiori e dalle piante nella loro attività di bottinatura. Come per infusi e tisane, anche per il miele (unico alimento per il quale vi sono dei dati scientifici sui livelli di PA) il rischio di un’alta concentrazione di PA è più elevato nei prodotti “naturali” e artigianali, mentre dovrebbe essere più ridotto in quelli industriali.

Tutto ciò non deve spaventare, né dissuadere dal consumo di questi prodotti, perché in fin dei conti una tisana alle erbe in una sera di metà ottobre, leggendo un buon libro, mentre fuori inizia a piovere, non ve la toglie nessuno…magari proprio con una goccia di miele…

In ogni caso, è importante sapere che nelle erbe e nelle piante essiccate e contenute nel filtro o nella bustina c’è anche dell’altro, ed è opportuno individuare a quali eventuali rischi esponiamo la nostra salute.

Già nel 2011 l’EFSA aveva pubblicato un parere scientifico Scientific Opinion on Pyrrolizidine alkaloids in food and feed circa l’impatto sulla salute degli PA presenti negli alimenti, affermando che “i PA di una certa classe, noti come PA 1,2-insaturi, possono agire sull’uomo da cancerogeni genotossici (cioè possono provocare il cancro e causare danni al DNA, il materiale genetico cellulare”. Per stabilire i livelli di pericolosità degli alcaloidi pirrolizidinici aveva utilizzato l’indice MOE (margine di esposizione), strumento generalmente utilizzato nella valutazione del rischio derivante dall’esposizione alle sostanze cancerogene e/o genotossiche presenti negli alimenti o nei mangimi[2].

L’attenzione del Ministero della Salute verso queste sostanze contaminanti è alta, soprattutto mancando dati e valutazioni su altri alimenti oltre il miele, e in assenza di limiti massimi stabiliti a livello europeo. Nel 2016, il Ministero ha emanato la Nota DGSAN 1.07.2016 invitando gli operatori del settore alimentare interessati (che trattano vegetali e loro parti per tisane ed infusi, oppure come materie prime per integratori alimentari vegetali o contenenti vegetali) ad adoperarsi per evitare la presenza di specie vegetali produttrici di alcaloidi pirrolizidinici e assicurarsi che eventuali semi non siano contaminati.

Inoltre, qualora non sia possibile evitare la presenza, anche accidentale, delle specie vegetali che producono alcaloidi, dovranno assicurare in particolare che i livelli degli alcaloidi pirrolizidinici siano inferiori ai limiti di rilevabilità strumentale, facendo uso delle le migliori tecnologie e includendo almeno i 28 alcaloidi attualmente oggetto di valutazioni a livello europeo.

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Nelle scorse settimane, su richiesta della Commissione UE, l’EFSA ha aggiornato i dati del 2011 circa la valutazione del rischio in relazione all’esposizione alle tossine contenute in miele, tè, infusi a base di erbe, integratori alimentari, ed ha ribadito che l’esposizione agli alcaloidi pirrolizidinici contenuti negli alimenti (soprattutto tè e infusioni di erbe) rappresenta, nel lungo termine e in particolare per i grandi consumatori di tali prodotti, un potenziale pericolo per la salute umana.

L’EFSA ha poi raccomandato una continua attenzione e interesse verso i livelli di tossicità e di cancerogenità, soprattutto, di 17 alcaloidi pirrolizidinici maggiormente presenti in alimenti e mangimi.

Nel frattempo, porte aperte a tisane ed infusi…con qualche consapevolezza in più!

[1] Tra le piante di campo in cui si riscontra la maggiore concentrazione di alcaloidi pirrolizidinici, ad esempio, vi sono le Boraginaceae (“non ti scordar di me”), Asteraceae (famiglia delle margherite) e Fabaceae (il genere Crotalaria noto con il nome comune di nacchera).

[2] Sostanzialmente, il MOE è un rapporto tra due fattori che, per una data popolazione, valuta la dose alla quale si manifesta per la prima volta un effetto avverso, limitato ma misurabile, e il livello di esposizione alla sostanza. Quanto più elevato è il valore del MOE, tanto più è ridotto il rischio potenziale per la salute dei consumatori.

 

Lo sappiamo, lo abbiamo ricordato molte volte: il vino è tra i prodotti agroalimentari italiani che riscuote da sempre maggior successo, anche oltre confine…anche oltre Oceano. In molti tentano di copiarlo, oltre confine …e soprattutto oltre Oceano! Maldestramente aggiungendo o levando sostanze, ideando strani kit che farebbero rabbrividire anche il meno intraprendente dei “piccoli chimici”, e creando un liquido che vino non è. Al di là delle definizioni normative, anche semplicemente dal punto di vista olfattivo, del gusto, del colore e delle proprietà organolettiche e nutrizionali in generale, il vino è vino (…e tutto il resto è noia!).

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Direi che non serve essere enologi o sommelier per distinguere il vino (italiano) da ciò che vino non è, eppure le tecniche e l’inventiva di chi vuole scopiazzare la nostra punta di diamante si affinano e qualcuno per un po’ ci riesce. Ma poi viene beccato!

Vediamo, ad esempio, che nel 2016 l’attività di controllo svolta dall’ICQRF nel settore vitivinicolo[1] è stata molto intensa e si è concretizzata in risultati operativi significativi nei numeri e nelle conseguenze sanzionatorie, come effetto della costante intensificazione dell’attività stessa soprattutto riguardo alle fasi di raccolta e movimentazione delle uve, di trasformazione e di circolazione dei relativi prodotti e sottoprodotti.

Nel corso del 2016 sono stati effettuati nel vitivinicolo 13.340 controlli, per ben 8.546 operatori controllati (dei quali, il 39 % irregolari), a cui corrispondono 19.191 prodotti controllati (di cui, il 25,4 % irregolari). Tra i principali illeciti accertati rientrano le sofisticazioni di vini, aggiunta di aromi di sintesi, presenza di residui di prodotti fitosanitari in vini dichiarati biologici, mosti o vini alterati o sottoposti a trattamenti non consentiti.

Anche per i vini di qualità DOCG, DOC, IGT, i dati che ergono dal Report sono altrettanto importanti: un totale di 6.453 controlli, ben 1.155 campioni analizzati (di cui il 6,5% irregolari) per 5.597 operatori controllati (di cui, il 35,2% risultati irregolari), e 10.273 prodotti controllati (di cui il 23,6 irregolari).

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Ebbene, in tale contesto il Mipaaf ha recentemente pubblicato sul proprio sito il Vademecum controlli campagna vendemmiale 2017/2018 per tutti gli operatori del settore, nel quale sono riassunti i principali adempimenti a carico delle imprese vitivinicole, le norme di riferimento e le disposizioni applicative.

Segnaliamo alcune delle novità introdotte dal Vademecum rispetto a quelli precedenti, che interessano gli operatori del settore, a seguito delle novità normative dell’ultimo anno, come l’utilizzo per la prima volta in Italia e nell’UE del “registro dematerializzato e l’applicazione delle norme contenute nella Legge n.238/16Testo unico sul Vino” (ad esempio circa la determinazione del periodo di fermentazione, raccolta dei sottoprodotti della vinificazione, detenzione delle uve da tavole e uve da vino negli stabilimenti, tenuta del registro delle sostanze zuccherine…) e l’attuazione del D.L. n.91/14, convertito in Legge n.116/14 “Campolibero”.

[1] Dati tratti dal Report attività operativa 2016 pubblicato dal Miipaf nel febbraio 2017.

Tra le più importanti produzioni tipiche del nostro Paese, per numeri e per qualità, vi è senza dubbio quella agrumicola. Il sud Italia, come le rive del Lago di Garda, ci regalano profumi e sapori intensi di arance, limoni, bergamotti e clementine che danno il meglio di sé freschi in tavola o come ingredienti di ricette varie…dolci, primi piatti, pesce, contorni, liquori…

Quali sono le Regioni protagoniste? Per quota di produzione, emerge la Sicilia (con oltre 85 mila ettari investiti), la Calabria (con 37 mila ettari) e infine la Puglia (con circa 10 mila ettari), che insieme occupano oltre il 90% delle aree dedicate alla produzione degli agrumi sul nostro territorio nazionale.

agrumi 1Quasi il 60% della superficie italiana dedicata alla produzione agrumicola è occupata dalle arance, seguite poi dalle clementine (19%) e dai limoni (17%). Proprio tra le arance, le ultime rilevazioni Ismea segnalano che le varietà più diffuse sul nostro territorio sono il Tarocco Comune (42,5%), la Navelina (18,2%), il Tarocco Gallo (10,4%), il Moro (9,3%), il Sanguinello (5,1%), il Tarocco nocellare (4,5%) e il Washington Navel (2,6%).

Molte varietà di agrumi italiani godono inoltre di particolare riconoscimento e tutela e hanno ottenuto la relativa denominazione ai sensi del Reg. n.1151/2012 come l’Arancia del Gargano e l’Arancia Rossa di Sicilia (IGP) o l’Arancia di Ribera (DOP), o le Clementine del Golfo di Taranto e le Clementine di Calabria (IGP), ed ancora ben sei varietà di limoni IGP di Campania, Calabria, Sicilia, Puglia.

Esiste però anche una categoria speciale, quella degli agrumeti caratteristici, dotati di particolare pregio varietale paesaggistico, storico e ambientale, situati in aree in cui le caratteristiche climatiche ed ambientali sono in grado di conferire al prodotto delle caratteristiche specifiche. Tali aree godono di una particolare attenzione per il loro valore storico e paesaggistico e si trovano prevalentemente nella riviera ionica della Sicilia, nella riviera ionica e tirrenica della Calabria, nella penisola sorrentina, nella costiera amalfitana e nelle isole del golfo di Napoli, nel Gargano e nei dintorni del Lago di Garda.

Come valorizzare e tutelare questi agrumeti caratteristici?

Alcuni giorni fa, con comunicazione ufficiale del 13 luglio u.s. il Mipaaf ha l’approvazione da parte della Camera di una Legge finalizzata alla promozione di interventi di ripristino, recupero e salvaguardia degli agrumeti caratteristici. In particolare, il provvedimento prevede l’istituzione di un Fondo per la salvaguardia degli agrumeti caratteristici che per il 2017 è pari a 3 milioni di euro, che valuterà e darà priorità alle tecniche di allevamento tradizionale e all’agricoltura integrata e biologica, e rimette alle Regioni la determinazione dell’ammontare delle risorse da destinare, la precisazione delle modalità e tempi per la presentazione delle domande, la selezione dei progetti e la formazione delle graduatorie.agrumi 2

Secondo il Ministro Martina “Riconoscere l’importanza di queste aree significa compiere un importante passo in avanti per lo sviluppo sostenibile. L’ obiettivo infatti è anche quello di salvaguardare la distintività delle nostre ricchezze naturali riconoscendo agli agrumicoltori un ruolo fondamentale nella tutela ambientale e paesaggistica soprattutto in alcune aree ad alto rischio di dissesto idrogeologico”.

Confidiamo si dimostri davvero uno strumento efficace di valorizzazione e tutela anche della biodiversità e della sostenibilità.

 

Non si può parlare di sicurezza alimentare se non si considerano tutti quei materiali che in diversa maniera e in diversi momenti vengono a contatto con gli alimenti, e i rischi alla salute che possono derivare proprio da quel contatto.

Ad esempio, pensiamo a tutti gli oggetti che, durante le varie fasi di produzione, preparazione, stoccaggio, imballaggio, trasporto, distribuzione e vendita dei prodotti alimentari sono inevitabilmente destinati a venire a contatto con questi… come i macchinari utilizzati per la preparazione, gli imballaggi, i vari contenitori, le cisterne e i vani per il trasporto, gli utensili da cucina e infine gli strumenti generalmente utilizzati per il consumo come pentole, recipienti, posate, bicchieri, stoviglie… plastica certamente[1], ma anche carta, cartone, legno, gomma… della plastica e del Bisfenolo A avevamo già parlato in un nostro precedente articolo.

moca2Dunque, attraverso il contatto con questi oggetti, è inevitabile il rilascio e il conseguente passaggio dei loro costituenti chimici verso il cibo. Infatti, indipendentemente dal tipo di contatto (diretto, indiretto, volontario, accidentale…) questo causa il passaggio (migrazione) delle sostanze chimiche dal materiale verso l’alimento, e ciò impone riflessioni scientifiche e normative atte a garantire un elevato livello di salvaguardia della salute umana e della tutela del consumatore, attraverso una corretta ed aggiornata valutazione dei rischi e una disciplina uniforme a livello europeo che regoli i limiti, le modalità, i requisiti dei materiali a contatto con gli alimenti.

Per ricordare alcuni dei principali Regolamenti emanati in relazione a tale tematica, possiamo citare sicuramente il Reg. CE n.1935/2004 che stabilisce i principi generali di sicurezza per tutti i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto, direttamente o indirettamente, con i prodotti alimentari; il Reg. CE n.2023/2006 sulle buone pratiche di fabbricazione dei materiali e degli oggetti destinati a venire a contatto con prodotti alimentari, che impone agli operatori del settore di tenere un efficace e documentato sistema di assicurazione della qualità e un efficace sistema di controllo efficace, poi modificato dal Reg. CE n.282/2008; il Reg. CE n.450/2009 che integra il Reg. CE n.1935/2004 e detta disposizioni specifiche per i materiali e oggetti attivi (ovvero destinati a prolungare la conservabilità o mantenere o migliorare le condizioni dei prodotti alimentari imballati, concepiti in modo da incorporare deliberatamente componenti che rilasciano sostanze nel prodotto alimentare imballato o nel suo ambiente, o le assorbono dagli stessi) e intelligenti (che controllano le condizioni del prodotto alimentare imballato o del suo ambiente) e il Reg. UE n.10/2011 sui i materiali e gli oggetti di materia plastica destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari, individuati in un elenco aggiornato alle risultanze scientifiche, con i requisiti e i limiti per la fabbricazione e la commercializzazione, come misura specifica rispetto alle previsioni generali del Regolamento del 2004, come modificato dal Regolamento (UE) n.1419/2016 della Commissione, del 24 agosto 2016.

moca3Il Legislatore, però, solo oggi ha provveduto ad emanare le sanzioni per i rispettivi casi di violazione della normativa ora ricordata, per mezzo del recente Decreto Legislativo n.29 del 10.02.2017, in vigore dal 2 aprile 2017, di fatto potenzialmente applicabili a chiunque produce, fabbrica, trasforma, importa e immette sul mercato materiali e oggetti destinati a venire a contatto con gli alimenti.

Il Decreto prevede, in generale, che in caso di violazioni di lieve entità l’organo competente procede con l’invio di una diffida invitando il trasgressore a regolarizzare le violazioni, che comporta l’estinzione dell’illecito in caso di ottemperanza.

Puntualmente, poi, il Decreto specifica le diverse sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alle violazioni delle rispettive prescrizioni previste dai Regolamenti. Ad esempio gli artt.2-5 riguardano la violazione di alcune norme del Reg. CE n.1935/2004 con sanzioni che arrivano ad 80.000 euro, mentre l’art.8 sanziona i casi di non conformità ai diversi requisiti richiesti dal Reg. UE n.10/2011 con una pena pecuniaria che può arrivare sino a 60.000 euro. Ancora, l’art.9 riguarda il Reg. CE n.282/2008, e stabilisce pene pecuniarie sino a 60.000 euro e in determinati casi anche sanzioni accessorie come la sospensione dell’attività e la richiesta alla Commissione di revoca dell’autorizzazione.

allerta-alimentare-2Sarà dunque necessario, ancor più ora che finalmente le sanzioni ci sono, che i controlli siano efficaci e il rispetto della normativa in materia di materiali a contatto con gli alimenti sia puntualmente monitorato.

Altrimenti, le sanzioni resteranno sulla carta.

[1] Note le problematiche legate ai rischi derivanti dal Bisfenolo A (BPA), interferente endocrino largamente utilizzato nella fabbricazione del policarbonato che di fatto è  il tipo di plastica più utilizzato e conosciuto per le sue qualità performanti in termini di resistenza e modellabilità.

Il settore della produzione e commercializzazione di prodotti biologici è stato recentemente coinvolto da importanti novità sul piano funzionale ed operativo, grazie all’introduzione e aggiornamento di strumenti  di carattere informatico ed elettronico.

Come avevamo già visto in un precedente articolo, le operazioni riguardanti le certificazioni per le importazioni di prodotti biologici sono state spinte verso l’informatizzazione e la velocizzazione prendendo il via dalle 6 Raccomandazioni del 2012, ed ora grazie all’applicazione del Reg. esec. N.1842/2016[1] e alle modifiche apportate ai precedenti regolamenti n.1235/2008 e n.889/2008. come già segnalato, dal 19 aprile scorso è attivo un nuovo sistema di emissione di certificazione elettronica per l’importazione dei prodotti biologici, che a partire dal 19 ottobre 2017 andrà a sostituire definitivamente l’attuale sistema cartaceo attualmente ancora operativo.

informatizzazioneMa non è tutto.

Ricordiamo anche il D.M. 24 febbraio 2017 Istituzione della banca dati informatizzata delle sementi e del materiale di moltiplicazione vegetativa ottenuti con il metodo biologico e disposizioni per l’uso di sementi o di materiale di moltiplicazione vegetativa non ottenuti con il metodo di produzione biologico, che  in conformità al Reg. CE n.834/2007 e Reg. CE n.889/2008 ha previsto e disciplinato la gestione di una banca dati informatizzata (BDS) per l’inserimento e la verifica della disponibilità commerciale di sementi[2] e materiale di moltiplicazione vegetativa[3] biologici; modalità di rilascio di deroga per l’impiego di sementi e materiale di moltiplicazione vegetativa non biologici; l’attività di verifica dell’esistenza delle condizioni richieste per il rilascio della deroga.

Il D.M. è entrato in vigore il 26 aprile 2017, ma è rimandata al 1 gennaio 2018 l’applicazione delle disposizioni riguardanti la registrazione, la verifica della disponibilità, le condizioni per il rilascio della deroga e i controlli.

Concretamente, per utilizzare il sistema della BDS gli interessati devono seguire una procedura per fasi: abilitazione, registrazione, inserimento e aggiornamento dei dati e delle informazioni (distinte nelle tre diverse liste: lista rossa, lista verde, lista gialla). Gli altri operatori interessati, accedendo alla BDS, potranno verificare e consultare la disponibilità delle sementi e del materiale di moltiplicazione vegetativa.

Sarà importante tenere conto di queste innovazioni e modifiche operative, imparare a conoscere i nuovi strumenti di lavoro e riuscire ad ottimizzarne l’uso, per velocizzare le attività dell’azienda e rendere più certi i dati e le informazioni inserite…e quindi più sicure le proprie scelte!

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[1] Regolamento di esecuzione (UE) 2016/1842 della Commissione del 14 ottobre 2016 che modifica il regolamento (CE) n. 1235/2008 per quanto riguarda i certificati di ispezione elettronici per i prodotti biologici importati e taluni altri elementi, e il regolamento (CE) n. 889/2008 per quanto riguarda i requisiti per i prodotti biologici conservati o trasformati e la trasmissione delle informazioni.

[2] L’art.1, II, lett.e) del Decreto Ministeriale comprende “le sementi e i tuberi-seme di patata”.

[3] L’art.1, II, lett.d) del Decreto, dice che “materiale di moltiplicazione vegetativa” sono barbatelle, marze, astoni, talee, gemme, plantule ottenute in micropropagazione, zampe di asparago, carducci e ovoli di carciofo, bulbi, rizomi, funghi, piantine frigo-conservate e stoloni o cime radicate di fragola, piantine di ortive se destinate a fungere da pianta porta-seme.

Tra pregiudizi e false illusioni, di mezzo c’è la Cina con il suo percorso, lento ma costante, di elaborazione e perfezionamento della normativa in materia di sicurezza alimentare.

Una panoramica sul tema l’abbiamo data in un nostro precedente articolo.

Le tappe fondamentali, ricordiamo brevemente, sono il 2009 in cui è avvenuta l’emanazione della Legge sulla sicurezza alimentare, il 2014 in cui è iniziata la fase di revisione della Legge, e il 2016 in cui, nel relativo documento di indirizzo, sono stati individuati e programmati importanti obiettivi legati all’agricoltura, pianificati al 2020.

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Proseguendo in tale direzione, qualche giorno fa la Repubblica Popolare Cinese ha incontrato l’Italia.

Come si legge da una nota del Ministero della Salute, infatti, il 12 giugno scorso una delegazione di alto livello della Repubblica Popolare Cinese, guidata dal direttore generale del Dipartimento I di Supervisione della sicurezza alimentare della China Food and Drug Administration (Cfda), è stata ricevuta dalla Direzione generale della Comunicazione e dei Rapporti europei e internazionali, in collaborazione con la Direzione generale per l’Igiene e la Sicurezza degli alimenti e la Nutrizione e la Direzione generale della Sanità animale e dei Farmaci veterinari.
La nota del Ministero precisa che l’incontro si è svolto in un clima di condivisione e caratterizzato da spirito collaborativo, durante il quale la rappresentanza cinese ha manifestato interesse a trattare e approfondire gli aspetti e i principi regolatori in materia di sicurezza alimentare vigenti nel nostro Paese, e in particolare hanno toccato gli argomenti relativi all’organizzazione dei Servizi veterinari, alla legislazione comunitaria e nazionale in materia di sicurezza alimentare, al ruolo dei Nas.
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Gli impegni e il confronto si sono protratti anche nella giornata seguente presso l’Istituto superiore di Sanità, con un incontro con alcune delle associazioni rappresentative del settore alimentare italiano…Federalimentare, Assolatte, Assocarni, Assica e Federvini.

Sarà interessante capire come proseguirà il percorso intrapreso dalla Repubblica Popolare Cinese… e se le false convinzioni potranno dirsi davvero false.

A Natale c’è chi preferisce la corposità del panettone, e chi la leggerezza del pandoro, e a Pasqua una colomba fragrante non può mancare… ma questi sono solo alcuni tra i prodotti da forno tipici della fantasia e dell’abilità dolciaria italiana, conosciuti in tutto il mondo. Abbiamo un dolce per ogni festa dell’anno, per ogni momento della giornata, per ogni occasione… assaporato puro e semplice oppure come parte di golosità più complesse…

Il Decreto Ministeriale 22.05.2005 emanato dall’allora Ministero delle attività produttive, pubblicato in G.U. n.177 del 1.08.2005, detta norme fondamentali di carattere tecnico e operativo (fornendo le definizioni e descrizioni della composizione dei prodotti) per la Disciplina della produzione e della vendita di taluni prodotti dolciari da forno a tutela di queste specialità tradizionali e per assicurare la trasparenza del mercato e proteggere ed informare adeguatamente il consumatore.

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In particolare, il Decreto contempla:

il panettone “La denominazione «panettone» e’ riservata al prodotto dolciario da forno a pasta morbida, ottenuto per fermentazione naturale da pasta acida, di forma a base rotonda con crosta superiore screpolata e tagliata in modo caratteristico, di struttura soffice ad alveolatura allungata e aroma tipico di lievitazione a pasta acida” (art.1).

il pandoro “La denominazione «pandoro» e’ riservata al prodotto dolciario da forno a pasta morbida, ottenuto per fermentazione naturale da pasta acida di forma a tronco di cono con sezione a stella ottagonale e con superficie esterna non crostosa, una struttura soffice e setosa ad alveolatura minuta ed uniforme ed aroma caratteristico di burro e vaniglia” (art.2).

la colomba “La denominazione «colomba» e’ riservata al prodotto dolciario da forno a pasta morbida, ottenuto per fermentazione naturale da pasta acida, di forma irregolare ovale simile alla colomba, una struttura soffice ad alveolatura allungata, con glassatura superiore e una decorazione composta da granella di zucchero e almeno il due per cento di mandorle, riferito al prodotto finito e rilevato al momento della decorazione” (art.3).

il savoiardo “La denominazione «savoiardo» e’ riservata al biscotto di pasticceria all’uovo avente forma caratteristica a bastoncino con struttura caratterizzata da alveolatura minuta e regolare e con superficie superiore ricoperta di zucchero ed aroma tipico di vaniglia e limone. Il prodotto deve presentare una percentuale di umidita’ tra il quattro per cento e il dodici per cento” (art.4).

l’amaretto “La denominazione «amaretto» e’ riservata al biscotto di pasticceria a pasta secca avente forma caratteristica tondeggiante, con struttura cristallina e alveolata e superficie superiore screpolata e gusto tipico di mandorla amara, con eventuale aggiunta di granella di zucchero. Il prodotto presenta una percentuale di umidita’ inferiore al tre per cento” (art.5).

l’amaretto morbido “La denominazione «amaretto morbido» e’ riservata al biscotto di pasticceria a pasta morbida avente forma caratteristica tondeggiante, con superficie superiore screpolata. Il prodotto deve presentare una percentuale di umidita’ almeno dell’otto per cento” (art.6).

Sono poi indicati i singoli ingredienti che compongono ciascuno dei prodotti descritti, ed anche  quelli facoltativi che possono liberamente essere aggiunti dal produttore, sempre come impasto base. L’art. 7, inoltre, consente alcune deroghe agli impasti base ad esempio l’assenza di uvetta o scorze di agrumi canditi da panettone e colomba, oppure l’aggiunta di farciture, coperture, glassature, decorazioni…e la creazione così di prodotti speciali o arricchiti. Nei due Allegati al Decreto sono infine riportate le percentuali minime e massime di alcuni ingredienti e i singoli processi tecnologici di fabbricazione dei diversi prodotti, con descrizione delle rispettive fasi di produzione.

tiramisu

Visto il trascorrere del tempo e la sentita esigenza di adattare la disciplina del 2005 alle mutate condizioni tecnologiche e di mercato (e al mutato contesto normativo, ad esempio con l’entrata in vigore, nel frattempo, del Reg. UE n.1169/2011), è stato emanato il Decreto Ministeriale 16.05.2017 pubblicato in G.U. n.136 del 14.06.2017 (efficace dal prossimo settembre) con cui il Ministero dello Sviluppo Economico ha disposto modifiche al Decreto del 2005.

Ad esempio, riguardo l’aggiunta volontaria di sale all’impasto base (già prevista per tutti i prodotti) si prevede l’inserimento delle parole “compreso il sale iodato[1]”.

Modifiche anche per le uova utilizzate negli impasti di panettone, pandoro e colomba, che potranno essere “uova di gallina di categoria A o tuorlo d’uovo derivato da uova di gallina di categoria A, o entrambi, in quantità tali da garantire non meno del quattro per cento in tuorlo” e per il burro (nel Decreto del 2005 si parlava di materia grassa butirrica) che potrà essere “burro ottenuto direttamente ed esclusivamente dalle creme di latte vaccino con un apporto in materia grassa butirrica…” in quantità non inferiore al sedici per cento per panettone e colomba, e non inferiore al venti per cento per il pandoro.

Inoltre, in materia di etichettatura, ogni riferimento al previgente D.Lgs. n.109/1992 è stato modificato con riferimento al vigente Reg. UE n.1169/2011.

Una norma specifica viene poi dettata in materia di sanzioni, con l’aggiunta dell’art.9 bis che sancisce espressamente che “Per le violazioni al presente decreto si applicano le disposizioni dell’art. 4, comma 67, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 e del decreto legislativo n. 260/2005”.

L’intervento legislativo era auspicato, e certamente potrà contribuire alla tutela e alla promozione di dolci e specialità tradizionali apprezzate e invidiate, insieme di saperi antichi e sapori sempre attuali, e purtroppo spesso (male) imitate.

[1] Lo iodio è un minerale che contribuisce allo sviluppo e al funzionamento della ghiandola tiroidea, favorisce la crescita e lo sviluppo e stimola il metabolismo basale aiutando l’organismo a bruciare il grasso in eccesso. Il corpo umano contiene normalmente dai 20 ai 50 mg di iodio, e la carenza di tale minerale può comportare l’insorgere di disturbi particolarmente gravi quali il gozzo endemico tanto che l’OMS e la FAO hanno riconosciuto la riduzione delle malattie da carenza di iodio tra i principali obiettivi della salute pubblica.

Additivi autorizzati, preparazioni di carni, fosfati…

La normativa in materia di additivi è contenuta nel Reg. CE n.1333/2008[1] il quale prevede, nell’All.I, l’Elenco degli additivi alimentari autorizzati e le condizioni del loro impiego.

Nello scorso mese di maggio la Repubblica ceca ha ottenuto l’aggiornamento di tale Elenco, a seguito di specifica domanda rivolta alla Commissione con la quale chiedeva l’autorizzazione all’utilizzo di acido fosforico, fosfati, difosfati, trifosfati e polifosfati nelle preparazioni di carni tradizionali (sostanzialmente, delle “salsicce” tipiche della cucina ceca di diversa composizione e granatura) Bìlà klobàsa, Vinnà klobàsa, Svàtecnì klobàsa, Syrovà klobàsa.klobasa

Infatti, fino ad oggi l’utilizzo di tali additivi nelle preparazioni di carni era autorizzato solo per breakfast sausages: in tali prodotti la carne è macinata in modo da mischiare completamente il tessuto muscolare e quello adiposo, così da ottenere un’emulsione di fibre e grasso che conferisce ai prodotti il loro particolare aspetto; prosciutto di Natale finlandese salato, burger meat con un contenuto minimo di ortaggi e/o cereali del 4 % mischiati all’interno della carne, Kasseler, Bräte, Surfleisch, toorvorst, šašlõkk eahjupraad” (All.II, parte E, categoria di alimenti 08.2).

Le “preparazioni di carni” in generale, secondo la definizione resa dal Reg. CE n.853/2004 richiamato dallo stesso All.II, parte E, sopra citato, sono “carni fresche, incluse le carni ridotte in frammenti, che hanno subito un’aggiunta di prodotti alimentari, condimenti o additivi o trattamenti non sufficienti a modificare la struttura muscolo-fibrosa interna della carne e ad eliminare quindi le caratteristiche delle carni fresche”.

L’aggiunta di fosfati faciliterebbe il legame tra i vari ingredienti e servirebbe a mantenere lo stato fisico-chimico per prodotti a lunga conservazione e imballati in atmosfera protettiva.

klobasa 2Poiché l’impiego di fosfati come additivi alimentari è già autorizzato per molti alimenti, e non incide sulla salute umana[2], la Commissione non ha ritenuto necessario un preventivo parere scientifico da parte dell’EFSA.

In breve tempo, quindi, la Commissione ha accolto la domanda proposta dalla Repubblica ceca e ha emanato il Reg. UE n.871/2017[3], ora in vigore, che modifica il Reg. CE n.1333/2008 prevedendo la sostituzione della voce relativa ai fosfati (E 338-452) dell’All.II, parte E, con la nuova versione estensiva, che comprende appunto anche le preparazioni di carni Bìlà klobàsa, Vinnà klobàsa, Svàtecnì klobàsa, Syrovà klobàsa.

 

[1] Trattasi del Regolamento CE n.1333/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16.12.2008 relativo agli additivi alimentari.

[2] Il Comitato scientifico dell’alimentazione umana aveva già condotto negli anni ‘90 delle valutazioni proprio sulla sicurezza dei fosfati negli alimenti, e aveva stabilito la dose massima giornaliera tollerabile pari a 70 mg/kg di peso corporeo, espressi in fosforo (Relazioni del Comitato scientifico dell’alimentazione umana, 25esima serie, pag.13, 1991).

[3] Regolamento UE n.871/2017 della Commissione del 22.05.2017 che modifica l’Allegato II del Regolamento CE n.1333/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l’uso di acido fosforico – fosfati – di-tri- e polifosfati (E 338-452) in alcune preparazioni di carni.