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agrumiDi agrumi esiste una grande varietà, con caratteristiche organolettiche e nutrizionali anche molto diverse tra loro. Arance, limoni, mandarini sono i più conosciuti e i più presenti nella dieta di tutti i giorni, ma ci sono anche i cedri, il bergamotto, i pompelmi, e molti altri ancora, forse meno comuni e generalmente importati, ma largamente utilizzati soprattutto per la preparazione di marmellate, canditi, dolci, succhi di frutta, birre aromatiche e cocktail.

buccia agrumi_oeIl nostro Paese ha una grande tradizione agrumaria, soprattutto grazie alla produzione delle regioni del Sud, apprezzata in tutto il mondo, ma contrastata dalla larga diffusione di prodotti di importazione da paesi come Spagna e Brasile.

Quest’estate avevamo già detto qualcosa in merito alla buccia di frutta e verdura, e ai trattamenti chimici e ai loro residui, anche in relazione alla salute umana.

In particolare ora vedremo se, come, e con quali effetti, possono essere effettuati trattamenti chimici sulla buccia degli agrumi, e come ciò implichi degli specifici obblighi di etichettatura.

agrumi buccia non edibile

Innanzitutto, per contribuire alla conservazione degli agrumi anche dopo la loro raccolta, soprattutto se destinati ad affrontare lunghi viaggi e resistere lungo la catena distributiva per finire nei banconi dei grandi supermercati, vengono applicati trattamenti chimici direttamente sulla buccia, utilizzando generalmente Cera d’api (bianca e gialla), Cera polietilenica ossidata, Gommalacca, Bifenile,  Ortofenilfenolo.

Il consumatore ha modo di sapere quali trattamenti chimici post raccolta sono stati effettuati sulle arance che sta mettendo nel carrello della spesa? Quali informazioni può reperire dagli imballaggi e dalle confezioni dei mandarini che ha appena acquistato?

Riportiamo il caso che ha visto protagonista la Spagna, prima innanzi al Tribunale dell’Unione Europea e poi, a seguito dell’impugnazione della decisione sfavorevole, che ha portato alla recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Il tutto nasce dalla coesistenza di due disposizioni che la Spagna aveva ritenuto discordanti e contrastanti:

1) Parte B 2, punto VI D, quinto trattino, dell’All. I, Reg. di esecuzione UE n. 543/2011 della Commissione, del 7.06.2011, recante modalità di applicazione del Reg. CE n. 1234/2007 del Consiglio nei settori degli ortofrutticoli freschi e degli ortofrutticoli trasformati, secondo cui gli imballaggi di limoni, mandarini e arance[1] devono indicare specificatamente i conservanti o le altre sostanze chimiche eventualmente utilizzati nei trattamenti post-raccolta, applicati dunque sulla superficie esterna.

2) la norma CEE ONU FFV 14[2] sulla commercializzazione e controllo della qualità commerciale degli agrumi, secondo cui l’indicazione dell’utilizzo di conservanti o di sostanze chimiche post-raccolta è necessaria solo se richiesta dalla legislazione del Paese importatore.

E così, nel 2011 la Spagna aveva promosso ricorso contro la Commissione Europea avanti il Tribunale dell’Unione Europea chiedendo l’annullamento della disposizione 1) sulla base di cinque motivi: violazione del principio del rispetto della gerarchia delle norme; sviamento di potere; carenza di motivazione; violazione del principio della parità di trattamento; violazione del principio di proporzionalità. I cinque motivi dedotti dalla ricorrente erano però ritenuti infondati e il ricorso veniva dunque respinto con la Sentenza T-481/11 del 13 novembre 2014.

Successivamente, la Spagna impugnava la Sentenza T-481/11 avanti la Corte di Giustizia europea, nella Causa C-26/15 insistendo nel sostenere che l’imposizione dell’obbligo di indicare in etichetta le sostanze impiegate sulla buccia degli agrumi dopo la raccolta, indicato dall’All. I, Reg. di esecuzione UE n. 543/2011, determina uno svantaggio concorrenziale a discapito dei produttori di agrumi rispetto ai produttori di altri prodotti ortofrutticoli e, per gli agrumi da esportare, rispetto ai Paesi terzi che non hanno una simile norma.

La Corte di Giustizia europea non esita a confermare, al centro della sollevata questione, la necessità e la finalità primaria di tutela e protezione dei consumatori, e conseguentemente ammette che l’esistenza di una norma che contribuisce a rafforzare l’interesse dei consumatori ad essere adeguatamente informati sull’applicazione di eventuali trattamenti effettuati sulla buccia degli agrumi debba essere difesa[3].

Infine, anche l’esito del secondo giudizio si rivela sfavorevole per la Spagna, poiché la Corte di Giustizia europea respinge l’impugnazione e con sentenza del 3.03.2016 conferma la pronuncia del Tribunale, finendo così per riconoscere che sia obbligatorio indicare in etichetta i conservanti e le sostanze eventualmente impiegati nei trattamenti post‑raccolta degli agrumi, e quindi presenti sulla buccia.

Resta, comunque, lo stesso dilemma generale: se è vero che le sostanze di maggior pregio nutritivo di frutta e verdura sono contenute nella buccia, e se siamo adeguatamente informati dei trattamenti e dei residui chimici altrettanto applicati e presenti sulla medesima buccia… siamo davvero meno confusi e più consapevoli dei nostri acquisti e convinti dell’uso che ne vogliamo fare?

arancia_buccia

[1] Non vengono contemplati, e quindi restano fuori dall’ambito della norma in questione, pomeli, pompelmi e limoni verdi, per la loro scarsa commercializzazione nel mercato dell’Unione.

[2] Si tratta di una norma della Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite, istituita nel 1947 ed attualmente composta di 56 Stati tra cui gli Stati membri dell’UE.

[3] La stessa Corte ricorda che, in base all’All. II al Reg. CE n. 396/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23.02.2005, concernente i livelli massimi di residui di antiparassitari, i limiti massimi per i residui del fungicida 2‑fenilfenolo sono fissati a un livello di ben 50 volte superiore per gli agrumi che per gli altri frutti.

Anche per la filiera italiana “dal grano alla pasta” è partita la sperimentazione circa l’obbligatorietà, sulle confezioni di pasta secca, dell’indicazione del Paese o area di coltivazione e di molitura del grano. Si vuole arrivare a rendere obbligatoria, in altri termini, l’indicazione in etichetta dell’origine del grano.

Infatti, a fine novembre 2016, lo schema di decreto è stato inviato a Bruxelles, sulla spinta condivisa del Ministro delle politiche agricole e del Ministro dello Sviluppo Economico, con l’intento di meglio informare il consumatore anche su tale punto.

Simile traguardo è stato recentemente raggiunto per i prodotti lattiero-caseari, per i quali dal 1 gennaio è in vigore l’obbligo di indicare l’origine del latte utilizzato per la produzione di burro, yogurt, formaggi…

Tutto sembra mosso, abbiamo detto, da una politica nazionale ed europea diretta a garantire trasparenza e corretta informazione (e quindi, maggior tutela) al consumatore, sulla base dei principi, criteri e finalità previsti dal Reg. UE n.1169/2011.

Cosa si intende, in generale, per origine dei prodotti agricoli e alimentari?[1]

Diciamo subito che dottrina e giurisprudenza non hanno fornito sino ad ora una definizione univoca del concetto, così come la normativa nazionale ed europea in materia di informazioni al consumatore e pubblicità ingannevole (Dir. 79/112, Dir. 2006/114/CE, Dir. 2008/95/CE, L. n.4/2011…) non ha trovato una definizione generale ed esaustiva. Nemmeno il Reg. UE n.1169/2011 vi riesce, sebbene agli artt. 2.3 e 2.1 lett.g) abbia definito distintamente il “paese di origine” e il “luogo di provenienza” di un alimento, lasciando tuttavia irrisolta la concreta individuazione dei due concetti.

Lo schema di decreto “sul grano” prevede, in particolare, che le etichette delle confezioni di pasta secca prodotte e commercializzate in Italia riportino obbligatoriamente:

  • l’indicazione del Paese nel quale il grano viene coltivato
  • l’indicazione del Paese dove il grano è stato macinato
  • se tali fasi produttive avvengono nei diversi territori di più Paesi, l’etichetta deve riportare la dicitura Paesi UE, oppure Paesi NON UE, o ancora Paesi UE E NON UE
  • qualora il grano sia coltivato per almeno il 50% in un solo Paese, l’etichetta deve riportare il nome del Paese e … e altri Paesi UE e/o NON UE

Ma tale previsione sarebbe davvero utile ed indispensabile per il consumatore?

Siamo davvero certi che l’origine sia di per sé sinonimo di qualità, e che l’indicazione obbligatoria in etichetta dell’origine del grano dia al consumatore garanzia degli standard qualitativi della pasta secca che sta acquistando? E poi, cosa si intende per qualità? Non è forse un concetto soggettivo, a cui ciascuno attribuisce il significato che ritiene rispondente alle proprie aspettative, preferenze, esperienze?

Quello che è certo, comunque, è il grande volume di affari che si muove attorno alla pasta secca di semola di grano duro, cibo dalle antiche origini e dalla larghissima diffusione. In Italia, infatti, si parla di circa 4 milioni di tonnellate di grano duro, e della produzione di circa 3,4 milioni di tonnellate (maggiore produzione mondiale), per un export di 2 miliardi di euro.

[1] Come sempre illuminanti, sul punto, le osservazioni del Prof. F. Albisinni in Strumentario di diritto alimentare europeo, UTET, 2015, pagg. 277 ss.

esportazione-datiSiamo ormai giunti alla fine dell’anno e, come spesso accade, ci ritroviamo a guardare indietro ai mesi passati, a fare i conti con quello che abbiamo realizzato e con ciò che per varie ragioni rimane segnato nella lista “to do” per l’anno che arriva.

Le aziende alimentari che vogliono esportare i propri prodotti devono innanzitutto condurre delle attente valutazioni su molti fondamentali aspetti: normativi, economici, statistici, organizzativi come vi spieghiamo nel nostro video.

Com’è andata con l’export alimentare? Come si sono mosse le aziende italiane nei confronti degli altri Paesi?

Nonostante la comune incertezza dei mercati internazionali in genere, le vendite italiane all’estero hanno segnato negli ultimi mesi del 2016 un incremento dell’1,0%, con buoni risultati ottenuti, soprattutto, in ambito europeo. Le problematiche riscontrate e i risultati meno convincenti ottenuti, nel medesimo periodo, dall’attività di export oltre i confini dell’Unione sono legati al significativo calo verificatosi in tutto il continente africano, in America latina e in Medio Oriente.

real-made-in-italySoffermiamoci sui dati positivi [1]

Gennaio – ottobre 2016: si registra un incremento dell’export del 2,4% e un relativo aumento anche dell’import (+0,8%), con conseguente saldo attivo intorno agli 11,4 miliardi di euro (per gli stessi mesi del 2015 l’attivo era stato di poco superiore agli 8,2 miliardi).

In termini di variazione dei saldi commerciali, l’Italia può vantare un miglioramento dei propri conti con l’estero, con una variazione assoluta pari a 9,3 miliardi di euro, risultando il Paese europeo più virtuoso in tal senso.

Le vendite di prodotti italiani sul mercato dell’Unione hanno centrato traguardi particolarmente favorevoli, ad esempio con un +6% per le esportazioni in Spagna e un +5,9% per quelle nella Repubblica Ceca.

ciolos_promotion_eu_productsChe ruolo occupa il settore agroalimentare? Traino o freno all’export italiano?

Fortunatamente, gioca un ruolo da protagonista in senso positivo, dimostrando forti doti di competitività. Molto più che positivo, se si considera che nel 2015 le esportazioni di questo settore hanno raggiunto il massimo storico di 36,8 miliardi di euro, con un aumento del 79% nel corso dei dieci anni precedenti.

Frutta e verdura, formaggi, vino, pasta, pomodori trasformati, olio di oliva tra i primi dieci prodotti Made in Italy esportati con successo.

Nel 2016, il maggior numero di autorizzazioni alle esportazioni ha riguardato riso, zucchero e cereali.

Quali scommesse per il prossimo futuro?

loghi-variIl Mipaaf continua a dimostrare fiducia nelle potenzialità delle esportazioni, con massima attenzione alla tutela dei prodotti italiani, valorizzazione del Made in Italy e lotta alle contraffazioni.

Nell’ambito del Progetto “Enjoy, it’s from Europe”, la nuova politica di promozione negli USA e Canada per incentivare il consumo dei prodotti agricoli europei, per il periodo 2017-2019, troveranno spazio anche i nostri Asiago DOP, Speck Alto Adige IGP e Pecorino Romano DOP.

Il piano proposto da Asiago DOP, Speck Alto Adige IGP e Pecorino Romano DOP, approvato dalla Commissione europea rientra nel quadro dell’importante stanziamento del valore complessivo di oltre 30 milioni di euro di cui 23,6 co-finanziati dall’Unione.

[1] I dati qui riportati sono stati reperiti in diverse pagine e documenti pubblicati da: Mipaaf, Nomisma, Istat.

Sono recenti le notizie di stampa e televisione circa dubbi e critiche sulla trasparenza del sistema biologico, sulla corrispondenza, a volte incerta, tra i valori dichiarati e le certificazioni specifiche che li attestano.

Il Biologico è una scelta.

Questo sistema di agricoltura e allevamento vuole tutelare l’ambiente, proteggere la salute umana, rispettare gli animali, considerare i vegetali, ponendo particolari attenzioni e accorgimenti durante le fasi di lavorazione, coltivazione, allevamento.

biologico-2Il biologico si ispira a valori e principi che si discostano dai metodi di agricoltura e allevamento industriale e di massa, rifiuta i concimanti, diserbanti, antiparassitari, pesticidi e derivati da sostanze chimiche, evita l’uso di antibiotici e ormoni sugli animali, facendoli crescere e vivere in condizioni ambientali e igieniche decorose e salutari. Predilige l’utilizzo di elementi semplici, di sistemi di coltivazione legati ai tempi e alle risorse della natura.

A livello normativo, occorre fare riferimento al Reg. CE n. 834/2007, che ha abrogato e sostituito il precedente Reg. CEE n. 2092/1991, e al Reg. CE n. 889/2008 “modalità applicative sulla produzione biologica, etichettatura, controlli”, ora modificato dal recente Reg. di esecuzione UE n. 673/2016 del 29.04.2016.

Proprio dal contesto europeo riceviamo una chiara definizione di biologico, inteso quale “sistema globale di gestione dell’azienda agricola e di produzione agroalimentare basato sull’interazione tra le migliori pratiche ambientali, un alto livello di biodiversità, la salvaguardia delle risorse naturali, l’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali…” per una produzione particolare, ottenuta mediante “sostanze e procedimenti naturali” (Considerando n.1, Reg. n. 234/2007).

Inoltre, all’art. 3 vengono individuati gli obiettivi generali della produzione biologica:

  1. stabilire un sistema di gestione sostenibile per l’agricoltura
  2. mirare a ottenere prodotti di alta qualità
  3. mirare a produrre un’ampia varietà di alimenti e altri prodotti agricoli che rispondano alla domanda dei consumatori di prodotti ottenuti con procedimenti che non danneggino l’ambiente, la salute umana, la salute dei vegetali o la salute e il benessere degli animali

biologicoLe norme generali di produzione agricola prevedono, all’art. 11, che “l’intera azienda agricola è gestita in conformità dei requisiti applicabili alla produzione biologica” e che quindi il metodo debba di regola essere applicato sull’intera superficie disponibile e sull’intera produzione. Tuttavia, se ciò non sia possibile, l’operatore alimentare ha l’obbligo di tenere separati la superficie, gli animali e i prodotti vari utilizzati per la produzione biologica o da essa ottenuti da quelli utilizzati per unità non biologiche, o non ottenuti da queste.

Nello scorso marzo è stato approvato in sede di Conferenza Stato Regioni il Piano strategico nazionale per lo sviluppo del sistema biologico ovvero un atto di natura politico-programmatica contenente l’obiettivo di sviluppare complessivamente il sistema biologico nazionale entro il 2020 attraverso il raggiungimento di tre obiettivi specifici: il rafforzamento della fase produttiva; il rafforzamento delle relazioni di filiera; il rafforzamento del sistema biologico.

biologico-1Il Piano ha tuttavia anche natura operativa, infatti contiene 10 Azioni specifiche che sono diversamente strumentali al perseguimento degli obiettivi ora indicati:

Azione 1: Biologico nei Piani di sviluppo rurale

Azione 2: Politiche di filiera

Azione 3: Biologico “made in Italy” e comunicazione istituzionale

Azione 4: Biologico e Green Public Procurement

Azione 5: Semplificazione della normativa sul biologico

Azione 6: Formazione, informazione e trasparenza

Azione 7: Biologico paper less – informatizzazione

Azione 8: revisione normativa sui controlli (D. Lgs. n. 220/1995)

Azione 9: Controllo alle importazioni

Azione 10: Piano per la ricerca e l’innovazione in agricoltura biologica

Le certificazioni, rilasciate dagli enti autorizzati dal Mipaaf, assumono un ruolo fondamentale nell’informazione ai consumatori, assicurando loro (o meglio, dovendo assicurare) che il prodotto acquistato è biologico, che risponde ai principi e ai valori (e, quindi, alle qualità) del sistema biologico.

Gli enti certificatori sono pagati dalle aziende… ma questo, ovviamente (?) è un altro discorso.

Finalmente è entrata in vigore la Legge n. 166 del 19.08.2016 recante “Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi”.

Cerchiamo di vedere insieme alcuni dei principali, pregevoli, obiettivi della nuova Legge, che spaziano su diversi fronti e si basano sulla amara constatazione che in Italia (come in altri Paesi) si spreca molto cibo. Troppo. sprechi-alimentari8

Come trasformare le eccedenze alimentari (i prodotti alimentari, agricoli e agro-alimentari che mantengono i requisiti di igiene e di sicurezza del prodotto, e che non sono giunti a destinazione perché invenduti o non somministrati per carenza di domanda, ritirati dalla vendita, prossimi al raggiungimento della data di scadenza, invenduti a causa di danni provocati da eventi meteorologici o ancora rimanenze di attività promozionali, rimanenze di prove di immissione in commercio di nuovi prodotti…) e i rifiuti in risorse utili, rispettando così l’ambiente che ci circonda?

È possibile evitare l’accumulo di rifiuti alimentari destinando le eccedenze a soggetti bisognosi?

Come si può contribuire alla limitazione degli sprechi, in sintonia e interagendo con obiettivi economici, sociali, educativi, di sostenibilità ambientale?

Ora, molti di questi aspetti sono previsti e disciplinati da una Legge ad hoc.

…attraverso la cessione gratuita

sprechi-alimentari7Possono essere cedute le eccedenze alimentari idonee al consumo umano, direttamente o indirettamente a soggetti riceventi, dando priorità alle persone indigenti mentre se si tratta di eccedenze alimentari non idonee al consumo umano, possono essere cedute gratuitamente per gli animali, per finalità di auto-compostaggio o compostaggio di comunità con metodo aerobico.

Possono essere ceduti anche gli alimenti recanti etichettatura irregolare, se l’irregolarità è tale da non incidere sulle informazioni relative alla data di scadenza o agli allergeni, così come possono essere cedute le eccedenze di prodotti agricoli e prodotti di allevamento idonei al consumo umano ed animale.

Le eccedenze alimentari possono essere cedute gratuitamente anche dopo lo spirare del termine minimo di conservazione, purché sia garantita l’idoneità dell’imballaggio primario e vi siano condizioni di conservazione adeguate.

…attraverso la trasformazione

È possibile, inoltre, riutilizzare le eccedenze alimentari attraverso la loro trasformazione in altri prodotti destinati al consumo umano o agli animali, purché siano rispettati i requisiti igienico sanitari di sicurezza e la data di scadenza. sprechi-alimentari9

…attraverso modifiche normative

  • la Legge n. 199/2016 ha modificato l’art. 15 del D.P.R. n. 571/1982 sulla confisca di beni, prevedendo ora la possibilità che i beni confiscati non siano solo alienati o distrutti ma che, “Qualora siano stati confiscati prodotti alimentari idonei al consumo umano o animale”, l’Autorità competente disponga “la cessione gratuita a enti pubblici ovvero a enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche e solidaristiche”.
  • ha modificato la Legge di stabilità 2014 prevedendo la possibilità, da parte del Comune, di riconoscere una riduzione della tassazione sui rifiuti per le utenze non domestiche “che producono o distribuiscono beni alimentari, e che a titolo gratuito cedono, direttamente o indirettamente, tali beni alimentari agli indigenti e alle persone in maggiori condizioni di bisogno ovvero per l’alimentazione animale” .

…attraverso attività di sensibilizzazione, educazione e promozione della sostenibilità ambientale e tutela delle risorse, della solidarietà sociale, e dei principi strumentali alla riduzione dei rifiuti e donazione delle eccedenze. re-box-contro-lo-spreco-alimentare

Sono state attuate dunque campagne nazionali di comunicazione dei dati raccolti, per incentivare i consumatori, le imprese, i soggetti coinvolti nelle attività di produzione, trasformazione, distribuzione a valorizzare ed assumere comportamenti atti a promuovere la prevenzione della produzione di rifiuti alimentari (la Legge prevede che possano essere stipulati accordi “per dotare gli operatori della ristorazione di contenitori riutilizzabili, realizzati in materiale riciclabile, idonei a consentire ai clienti l’asporto dei propri avanzi di cibo”).

Inoltre, il servizio pubblico televisivo, radiofonico, multimediale dovrà dedicare un certo numero di ore di palinsesto all’informazione specifica per la promozione e divulgazione di comportamenti finalizzati alla riduzione degli sprechi.

Nelle scuole di ogni ordine e grado, ancora, saranno avviati percorsi didattici e programmi specifici di informazione ed educazione alla sana alimentazione e alla sostenibilità ambientale e sociale.

La Legge ha altresì previsto che il Ministero della Salute dovrà “predisporre delle linee di indirizzo rivolte agli enti gestori di mense scolastiche, aziendali, ospedaliere, sociali e di comunità” al fine di ridurre e prevenire gli sprechi nella somministrazione degli alimenti.

Molto si può raggiungere, con la consapevolezza, l’impegno e la buona educazione, per la tutela della salute e per il rispetto dell’ambiente, e per un’attenzione ai soggetti indigenti.

La vicina città di Vicenza ha ospitato un importante evento per il settore del cibo e delle tecnologie legate all’alimentazione, dando spazio a dimostrazioni pratiche, degustazioni, corsi e incontri di approfondimento.

cosmofood-2016Per gli addetti ai lavori, ma non solo, porte aperte alla quarta edizione di Cosmofood, principale evento fieristico del Nordest dedicato al mondo Ho.re.ca.

La Fiera di Vicenza, da sabato 12 a martedì 15 novembre 2016, è stata quest’anno teatro di colori, aromi, sapori, idee per la ristorazione e gestione di locali.

Tutti i visitatori hanno potuto approfittare di golosi assaggi, scegliendo tra le numerosissime specialità italiane, venete ed ovviamente…vicentine!

cla-a-cosmofood-2016-3Nello spazio Arena si sono succeduti, nei giorni, gli chef Lorenzo Cogo e Giuliano Baldessari, la blogger Chiara Maci, il pasticcere Ernst Knam, portando storie, esperienze, suggerimenti e consigli. Previa iscrizione, gli interessati potevano partecipare ai corsi e seminari su diversi argomenti (tecniche di gestione aziendale, marketing, packaging, nuovi cocktails…) e approfittare di relatori e docenti qualificati, e cucinare a fianco degli chef stellati.

Oltre al cibo (italiano, locale, ed anche internazionale) e alle specialità dedicate (vegan, bio, intolleranze alimentari…), molti stand erano adibiti alla presentazione e vendita delle più recenti tecnologie e attrezzature professionali del mondo della ristorazione, arredamento di locali, abbigliamento del settore.

L’evento si sta rivelando, sempre più, occasione imperdibile di interazioni e incontri professionali tra gli operatori del settore, ed infatti i numeri sono coerenti con le aspettative: più stand rispetto agli scorsi anni, più espositori, più visitatori, presenza di ospiti importanti, show cooking e corsi.

tecno-e-food-padovaSubito dopo, Padova replica con Tecno&Food, il Salone Professionale Internazionale dedicato alle Attrezzature e Servizi per Bar, Alberghi e Ristoranti, in Fiera fino al 23 novembre 2016. Anche qui, la maggior parte degli stand è dedicata alle attrezzature, macchine e forniture per i pubblici esercizi, sebbene anche il settore del cibo e delle bevande abbia acquistato spazio, con la quinta edizione del Campionato Nazionale di Finger Food.

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Novità e scommesse principali dell’edizione 2016 sono il settore Tecnovegan, l’approfondimento del rapporto tra operatori del servizio di sala e cuochi (ospitando la finale del Campionato Nazionale Master Maître) e celebrazione del caffè al Bar (con la sfida Barcoffee) che vede alcuni tra i migliori baristi impegnati nella preparazione di caffè e cappuccini.

In Veneto, dunque, due belle occasioni di aggiornamento, conoscenze, e crescita professionale per noi di Consulenza Legislazione Alimentare, presenti anche questa volta e già pronti per nuove esperienze!

  novel-food_pane-nero Riprendiamo un argomento già affrontato, riguardo i novel food, cioè i “nuovi alimenti” o “nuovi ingredienti alimentari”. Ne parliamo in occasione della pubblicazione – da parte di EFSA, European Food Safety Agency, cioè l’Autorità europea sulla sicurezza alimentare, di nuove linee guida per le richieste di autorizzazione in vista dell’introduzione all’interno del mercato europeo dei nuovi cibi.

I novel food, attualmente disciplinati dalla legislazione alimentare comunitaria con il Regolamento (CE) 258/1997, sono tutti i prodotti, come pure gli ingredienti e sostanze alimentari, per i quali non è riscontrabile un consumo “significativo” all’interno dell’Unione Europea (UE) prima del 15 maggio 1997, data di entrata in vigore dello stesso regolamento.

Non si tratta quindi di alimenti tanto sconosciuti ai consumatori, non in generale e non a tutti almeno. La qualificazione di questi alimenti come “nuovi” è stata introdotta con una funzione di protezione per i cittadini europei, essendosi ravvisata la necessità che tali cibi dovessero essere attentamente valutati sulla sicurezza del loro consumo, con riguardo ad eventuali rischi per la salute umana.

Il Regolamento CE 258/97, distingue quattro categorie di alimenti (o sostanze) nuovi:

  1. prodotti e ingredienti alimentari con una struttura molecolare primaria nuova o volutamente modificata;
  2. prodotti e ingredienti alimentari costituiti o isolati a partire da microorganismi, funghi o alghe;
  3. prodotti e ingredienti alimentari costituiti da vegetali o isolati a partire da vegetali e ingredienti alimentari isolati a partire da animali, esclusi i prodotti e gli ingredienti alimentari ottenuti mediante pratiche tradizionali di moltiplicazione o di riproduzione che vantano un uso alimentare sicuro storicamente comprovato;
  4. prodotti e ingredienti alimentari sottoposti ad un processo di produzione non generalmente utilizzato, per i quali tale processo comporti nella composizione o nella struttura dei prodotti o degli ingredienti alimentari cambiamenti significativi del valore nutritivo, del loro metabolismo o del tenore di sostanze indesiderabili.

Si stabilisce che, per poter essere immessi sul mercato, tali alimenti debbano soddisfare i criteri:

  • Non presentare rischi per il consumatore;
  • Non indurre in errore il consumatore;
  • Non differire dagli altri prodotti o ingredienti alimentari alla cui sostituzione essi sono destinati (…) da comportare svantaggi per il consumatore sotto il profilo nutrizionale.

novel_food_alga-spirulina_thumbI nuovi alimenti sono valutati per essere introdotti sul mercato da una commissione dopo esser passati attraverso le commissioni degli stati membri, corredati di tutte le informazioni utili a dimostrare il rispetto dei criteri sopra citati, oltre alla etichettatura degli stessi.
Questo perché alimenti considerati nuovi in un Paese possono essere considerati tradizionali in altri paesi. Pertanto solo una valutazione scientifica basata su un’appropriata analisi dei dati esistenti su un prodotto, può dimostrare che esso differisce o meno da un alimento o ingrediente tradizionale, ed essere qualificato come “nuovo”.

In questo caso l’etichettatura deve fare menzione di queste caratteristiche riportando:

  • Indicazioni della presenza di sostanze non presenti in un alimento o ingrediente equivalente esistente e che possono avere ripercussioni sulla salute;
  • Indicazioni della presenza di sostanze non presenti in un alimento o ingrediente equivalente esistente e che hanno ripercussioni di ordine etico;
  • Indicazioni della presenza di organismi geneticamente modificati.

In conclusione, soltanto gli alimenti che superano questa articolata prassi possono essere immessi sul mercato europeo.

EFSA ha recentemente rilasciato delle nuove linee guida riguardanti, nello specifico, i criteri per la richiesta di autorizzazione di alimenti nuovi e tradizionali immessi da paesi terzi (ovvero extra-UE), affinché possano dirsi sicuri prima che si decida o meno se essi possano essere commercializzati in Europa.

Distinzione fra novel food e alimenti tradizionali

Nell’ambito dell’adozione del nuovo Regolamento (UE) 2015/2283, che a partire dal 2018 entrerà in vigore in sostituzione dell’attuale (Regolamento CE 258/1997), EFSA era stata incaricata di sviluppare una nuova linea guida per gli alimenti classificati come “novel food”.

La definizione include alimenti da nuove fonti, come gli acidi grassi ricchi in omega-3 derivanti da krill[1] e alimenti ottenuti da nuove tecnologie come le nano-tecnologie, o utilizzando nuove sostanze quali i fitosteroli o steroli vegetali[2].novel-food_chia-seeds

In termini di classificazione degli “alimenti tradizionali”, questi sono considerati una sottocategoria dei novel food. Si tratta di alimenti ed ingredienti già diffusi e tradizionalmente consumati all’interno del territorio europeo ed includono alimenti come vegetali, microorganismi, funghi, alghe e animali. Alcuni esempi comprendono: semi di chia, il frutto del baobab, insetti e castagne d’acqua[3].

Procedura per la richiesta di autorizzazione

Il nuovo regolamento europeo introduce una centralizzazione della procedura di valutazione e autorizzazione. Spetterà ai risk manager dell’UE e non più agli stati membri decidere se autorizzare al via libera per l’introduzione dei nuovi alimenti nel mercato comunitario.

Le nuove linee guida illustrano il tipo di informazioni che i richiedenti l’introduzione di un nuovo alimento, devono fornire per la valutazione del rischio e chiarisce la procedura da seguire per la presentazione delle domande. In particolare, si dovranno includere i dati su composizione, proprietà nutrizionali, tossicologiche e allergeniche degli alimenti, oltre che informazioni relativamente ai processi produttivi e ai livelli di assunzione proposti.

novel-food_ricercheI richiedenti devono presentare prove evidenti di sicurezza relativamente all’impiego degli alimenti in questione, che deve essere avvenuto in almeno un paese extra-UE per un periodo non inferiore ai 25 anni.
A conferma, si potrà richiedere ad EFSA di condurre una valutazione scientifica dei rischi per la salute per accertarne la sicurezza. EFSA e gli stati membri effettueranno una valutazione delle prove adottando procedimenti paralleli.

Coinvolgimento diretto degli stakeholder

Prima di sviluppare le linee guida, EFSA ha istituito una consultazione pubblica durata due mesi, lavorando fianco a fianco con le categorie di soggetti interessati.

Per saperne di più sul tema dei novel food, conoscere le categorie di alimenti soggette a notifica secondo la vigente regolamentazione e per i relativi riferimenti normativi, clicca qui.

E’ inoltre disponibile, costantemente aggiornato, un catalogo dei nuovi alimenti recensiti.

[1] termine di origine norvegese che si riferisce a svariate specie di creature marine invertebrate appartenenti all’ordine Euphausiacea, presenti sotto forma di fitti addensamenti di minuscoli crostacei, soprattutto in acque fredde e polari dei mari glaciali, ma si trovano anche in tutti gli oceani del mondo. Essi sono importanti organismi che compongono lo zooplancton, cibo primario di balene, mante, squali balena, pesce azzurro e uccelli acquatici.

[2] classe vegetale di steroli, gruppi di steroidi a 27-30 atomi di carbonio, a carattere alcolico, in grado di esterificarsi con acidi grassi.

[3] termine comune riferito alla Trapa natans L. è una pianta della famiglia delle piante acquatiche Trapaceae.

prosecco_collineIl Prosecco entrerà nella Nomenclatura Combinata europea con un proprio codice. La Commissione europea ha riconosciuto al prodotto Prosecco spumante DOCG uno specifico codice di Nomenclatura Combinata: si tratta della sigla “Prosecco spumante: 2204 1015”, che entrerà in vigore dal 1° gennaio del prossimo anno.Image result for nomenclatura combinata unione europea

Finora, nel territorio dell’Unione Europea, un simile riconoscimento era riservato soltanto a due vini: Champagne e Asti, già identificati ciascuno con un proprio codice “ad hoc”. Per tutti gli altri vini spumanti, tra cui appunto anche il Prosecco, la denominazione era costituita dalla generica: “altri vini spumanti”.

Cos’è la Nomenclatura Combinata

La Nomenclatura Combinata è il sistema di denominazione a fini tariffari e statistici dell’Unione doganale. E’ prevista una tariffa doganale comune, applicata ai prodotti importati nell’Unione Europea. La tariffa integrata dell’UE è denominata Taric. Essa comprende tutte le tariffe doganali e le misure agricole e commerciali europee applicate alle merci importate ed esportate dall’UE.

La Commissione europea è responsabile della gestione, trasmissione informatica e aggiornamento costante della Taric, consultabile sul relativo portale.

Annualmente la Commissione europea adotta un regolamento che riprende una versione completa della Nomenclatura Combinata, con aggiornate le aliquote dei dazi della tariffa doganale comunitaria, tenuto conto delle modifiche presentate dal Consiglio e dalla Commissione. Il regolamento, pubblicato entro il 31 ottobre, entra in vigore l’anno successivo.

Nel quadro di riforma del Codice della Nomenclatura Combinata, con riguardo in particolare al capitolo 22 “Bevande, liquidi alcolici e aceti”, l’UIV (Unione Italiana Vini) ha promosso una azione di sensibilizzazione delle autorità nazionali e comunitarie – Agenzia delle Dogane e Directorate General Taxation and Customs Union (DG TAXUD) della Commissione Europea, riguardo alle priorità di intervento espresse dal settore vitivinicolo.

In particolare è stato proposto l’inserimento di un nuovo codice all’interno della “NC 2204 10 – Vini spumanti”, di una linea della Nomenclatura Combinata specifica per il Prosecco, inteso come tipologia di spumante limitatamente alle tre denominazioni: DOC “Prosecco”, DOCG “Conegliano Valdobbiadene Prosecco” e DOCG “Asolo Prosecco”.

La Commissione europea ha accolto la proposta presentata al Comitato Codice Doganale, a cui partecipa Agenzia delle Dogane – Roma, su iniziativa di Unindustria Treviso e dei tre consorzi di tutela del prodotto: Consorzio Asolo Prosecco DOCG, Consorzio Prosecco DOC e Consorzio Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG.

In seguito, gli Stati membri sono stati invitati dalla Commissione ad esprimersi sulla proposta e le delegazioni si sono espresse alla unanimità a favore della proposta.

Il Regolamento di esecuzione (UE) 2016/1821, votato dal Comitato Nomenclatura Combinata, entrerà così in vigore dal 1° gennaio 2017.

Molto più di un codice tariffario doganale

Il “codice Prosecco” è il risultato conseguito in anni di impegno da parte dei consorzi di tutela, grazie a una rete di collaborazione nata con l’intenzione di lottare contro i fenomeni di contraffazione. Ma i vantaggi non sono limitati a questo aspetto.

Innanzitutto è una partita in termini di prestigio, per il riconoscimento di una tipicità del territorio, come per altri vini, Asti e Champagne, già menzionati e unici in Europa a vantare un proprio riconoscimento ufficiale in tal senso.

L’iniziativa presentata alla Commissione europea rappresenta un bel risultato per tutto il settore vitivinicolo, poiché agisce sugli strumenti ufficiali a disposizione per le rilevazioni statistiche in grado di quantificare i flussi commerciali dell’export dei prodotti.

Una tracciabilità a doppia funzione

proseccoLa Nomenclatura Combinata dell’Unione Europea, mediante il suo insieme di codici a otto cifre, consente al settore vitivinicolo di accedere a una serie accurata di dati statistici, che permettono di monitorare i flussi commerciali e di verificare le performance del comparto nei mercati internazionali. Inoltre, permette di integrare l’attuale quadro esistente con una linea di prodotto territoriale.

Aver riconosciuto il Prosecco permetterà di studiare con maggiore accuratezza e precisione i suoi flussi commerciali: ora ogni azienda potrà sapere con precisione quante bottiglie finiranno in un determinato Paese, restituendo una immagine più accurata della propensione all’export per il prodotto, agevolando, in questo modo, anche le future strategie commerciali.

Tracciabilità e funzione di difesa del marchio

prosecco_gummiesNella proposta sono stati specificati i dati sulle superfici di coltivazione e relative produzioni ottenibili per le nove province interessate dalla produzione di Prosecco (il territorio di produzione del Prosecco include tutte le province del Friuli Venezia Giulia e quelle del Veneto, ad esclusione di Rovigo e Verona). L’incrocio con questi dati e quelli di traffico commerciale realizzato consentirà di individuare anomalie sulle quantità, permettendo di agevolare in modo ancora più scientifico il contrasto a fenomeni di contraffazione. Il codice di Nomenclatura Combinata, quindi, fungerà da vero e proprio strumento anti-contraffazione.

Prima, una generica indicazione di “vino spumante DOP” rendeva impossibile la valutazione di traffici commerciali del Prosecco autentico, come anche piuttosto complesso era individuare i diversi falsi in circolazione. Due aspetti che alla fine poi non sono nemmeno così distinti, ma anzi sinergici nel riconoscimento del prodotto autentico e apprezzato come eccellenza del territorio.

DOP…IGP…STG… prodotti di qualità… segni distintivi…che confusione!

Troviamo molto, praticamente tutto, nel Regolamento UE n. 1151/2012, entrato in vigore il 4.01.2013 (ad eccezione dei simboli di DOP, IGP, STG le cui disposizioni relative sono entrate in vigore il 4.01.2016, tranne che per i prodotti immessi sul mercato anteriormente a tale data). È la norma europea principale in materia, preceduto dai Regolamenti del 1992 (Reg. CEE n. 2081 e Reg. CEE n. 2082) e dai successivi Regolamenti del 2006 (Reg. CE n. 509 e Reg. CE n. 510), e dal Libro Verde del 2008, che si inseriva nel più complesso percorso di riforma della politica stessa.

Nel Regolamento, che non si applica alle bevande spiritose, ai vini aromatizzati, o ai prodotti vitivinicoli dell’Allegato XI ter del Reg. CE n. 1234/2007, c’è un obiettivo principale:“aiutare i produttori di prodotti legati a una zona geografica nei modi seguenti: a) garantendo una giusta remunerazione per le qualità dei loro prodotti; b) garantendo una protezione uniforme dei nomi in quanto diritto di proprietà intellettuale sul territorio dell’Unione; c) fornendo ai consumatori informazioni chiare sulle proprietà che conferiscono valore aggiunto ai prodotti”.dop

DOP (denominazioni d’origine protette) sono i nomi che servono ad identificare un prodotto “originario di un luogo, regione o, in casi eccezionali, di un paese determinati”, la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico ed ai suoi intrinseci fattori naturali e umani” e “le cui fasi di produzione si svolgono nella zona geografica delimitata”. Sono strettamente legati all’ambiente geografico, che diventa essenziale o esclusivo parametro di riferimento, e le caratteristiche riferibili a tale ambiente geografico sono intrinseche al prodotto stesso (come il colore, le proprietà nutritive, l’aroma, il gusto…). Anche le fasi di produzione, trasformazione, lavorazione devono svolgersi nella zona geografica determinata, e vi sono equiparati i casi in cui le materie prime (animali vivi, carni, latte) provengono da una zona geografica più ampia o diversa da quella di trasformazione ma la zona di produzione è delimitata, vi sono condizioni particolari per la produzione stessa, sussiste un adeguato sistema di controllo.

IGP (indicazioni geografiche protette) sono i nomi che identificano un prodotto “originario di un determinato luogo, regione o paese”, “alla cui origine geografica sono essenzialmente attribuibili una data qualità, la reputazione o altre caratteristiche”, e “la cui produzione si svolge per almeno una delle sue fasi nella zona geografica delimitata”. Si richiede che anche una sola caratteristica del prodotto possa essere attribuita alla sua origine geografica, e il riferimento al territorio può consistere soltanto in un valore sociologico, come la reputazione. Inoltre, per le IGP basta che una sola delle fasi produttive sia svolta nella zona geografica delimitata.

dop-2Attenzione ai “termini generici”, ovvero, “i nomi di prodotti che, pur riferendosi al luogo, alla regione o al paese in cui il prodotto era originariamente ottenuto o commercializzato, sono diventati il nome comune di un prodotto nell’Unione”, che non possono essere registrati come DOP o IGP. Su questo punto, è nota la controversia sul formaggio greco Feta: la Danimarca, ritenendo che la denominazione Feta fosse da considerare generica in quanto non si riferiva ad alcuna produzione, né ricetta, né zona specifica, impugnò avanti la Corte di Giustizia il Reg. n. 1107/1996 con cui la Commissione aveva invece consentito la registrazione come DOP della Feta. Con sentenza 16.03.1999 (cd. Feta I), la Corte accolse il ricorso ritenendo che il termine Feta era utilizzato già da tempo in più Stati membri, quindi divenuto un termine generico, e che in quanto tale non poteva essere oggetto di registrazione ai sensi dell’allora vigente art. 3, Reg. CEE n. 2081/1992. Successivamente, la Grecia presentò una seconda domanda di registrazione che venne nuovamente accolta dalla Commissione e, questa volta, ritenuta legittima dalla Corte di Giustizia, che con sentenza 25.10.2005 (cd. Feta II) aveva chiarito che non è un termine generico, in particolare rilevando che: la maggiore produzione e consumo di Feta sono concentrati in Grecia, e i consumatori ne danno una connotazione geografica riferendola al territorio greco, e non generica; le etichette della Feta richiamano sempre tradizioni e caratteristiche greche, così inducendo i consumatori di altri Stati a riferire quel formaggio alla Grecia; la stessa Danimarca utilizza il termine “Feta danese”, e con tale specificazione dimostra di intendere che il termine Feta è da riferirsi alla Grecia.

STG (specialità tradizionali garantite) uno specifico prodotto o alimento che sia “ottenuto con un metodo di produzione, trasformazione o una composizione che corrispondono a una pratica tradizionale per tale prodotto o alimento” o “da materie prime o ingredienti utilizzati tradizionalmente”. Il nome, per essere registrato, deve essere stato “utilizzato tradizionalmente in riferimento al prodotto specifico” o deve comunque “designare il carattere tradizionale o la specificità del prodotto”.

I requisiti delle STG sono poco chiari, e la tutela non sembra dare molte garanzia. Forse per questo non vi sono molte domande di riconoscimento per questo tipo di indicazione.

I nomi registrati godono di protezione contro qualsiasi impiego commerciale per prodotti o ingredienti non oggetto di registrazione, qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, qualsiasi falsa o ingannevole indicazione sulla provenienza, origine, qualità, qualsiasi altra pratica ingannevole per il consumatore sulla vera origine del prodotto.dop-3

La procedura per il riconoscimento di DOP e IGP è attivata in Italia dai Consorzi di tutela, che presentano allo Stato membro in cui la zona geografica è situata una domanda che deve contenere il nome e i dati del gruppo richiedente e delle autorità che verificano il rispetto del disciplinare, il disciplinare (una sorta di documento di identità del prodotto), un documento unico che indichi gli elementi principali del disciplinare e il legame del prodotto con l’ambiente o l’origine geografica.

La domanda, preliminarmente esaminata dal Mipaaf, è sottoposta all’esame della Commissione, e la  decisione di approvazione viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione che, in assenza di formali opposizioni, diviene definitiva.

 

confezioni latticini

Il 14 ottobre scorso è scaduto il termine di tre mesi previsto dal regolamento 1169/2011, entro il quale l’Europa poteva rispondere in merito all’istanza italiana di adozione di una nuova normativa in materia di indicazioni di origine di prodotti derivati del latte. In merito, il 31 maggio era stata data comunicazione ufficiale di stesura di un decreto interministeriale.

Già il decreto interministeriale del 14 gennaio 2005 aveva reso cogente l’indicazione della provenienza per il latte fresco, ma non quello a lunga conservazione, e soprattutto, non per la varietà di prodotti lattiero-caseari presenti in commercio, per cui l’origine non risulta affatto chiara, con particolare riferimento a molte eccellenze dell’agro-alimentare italiano.

L’etichettatura trasparente di indicazione di provenienza dei prodotti caseari punta a garantire il Made in Italy autentico. Si pensi a prodotti derivati lattieri messi in commercio come 100% italiani, ma prodotti di fatto con latte che non viene dall’Italia, o addirittura confezionati da derivati loro stessi non italiani, magari da latte di provenienza ancora diversa.

Insomma, non esattamente a km 0…ma soprattutto non è possibile effettuarne una tracciabilità, semplicemente perché non è obbligatoria l’indicazione di origine in etichetta dei prodotti finiti.

I consumatori, da parte loro, chiedono trasparenza.

Secondo una consultazione pubblica online condotta dal Ministero dell’Agricoltura, nell’ambito del pacchetto di misure per l’agricoltura ‘Campolibero’ della Legge Competitività 2015 (decreto 91/2014) oltre il 90% dei rispondenti ritengono molto importante l’indicazione in etichetta del paese d’origine di prodotti. In particolare per il 95% dei consumatori è fondamentale conoscere la provenienza del latte fresco, per il 90,84% lo è riguardo a formaggi e yogurt (90,84%), e al 76% interessa sapere da dove proviene il latte UHT che consuma.

prodotto derivatoSecondo una indagine di Coldiretti, nel 2015 il consumo medio di latte per ogni italiano è di 48 chilogrammi a persona, mentre è stato di 20,7 chilogrammi il consumo pro-capite di formaggi. Ma per esempio, questo dato è secondo a quello di francesi (25,9), ma anche a islandesi, finlandesi, tedeschi, estoni e svizzeri.

L’obbligo si propone quindi di salvaguardare l’identità di quasi 500 tipi di prodotti caseari diversi (solo 487 sono i formaggi censiti a livello locale nel paese, e tutelati da regole che intendono preservarne la tradizione legata alla loro produzione, ma anche le biodiversità relative alle materie prime impiegate per la loro produzione, come le razze bovine e il cibo di cui si nutrono).

latte pascoloIl provvedimento prevede che si indichi con chiarezza l’origine del latte impiegato come materia prima in etichetta di ogni latticino prodotto sul territorio italiano, con specificazione delle seguenti informazioni riguardati il latte usato:

  • paese di mungitura;
  • paese di condizionamento;
  • paese di trasformazione.

In caso di coincidenza dei tre dati, basterà indicare il paese interessato preceduto dalla dicitura: “paese di provenienza”.

Nel caso in cui una delle singole operazioni interessassero più paesi, e quindi ad esempio il latte non avesse una unica zona di mungitura, o di condizionamento o anche di sua trasformazione, si indicherà:

  • “miscela di latte di Paesi UE” (per la mungitura);
  • “latte condizionato in Paesi UE” (per quanto riguarda il condizionamento);
  • “latte trasformato in Paesi UE” (per la fase di trasformazione).

Nel caso invece le singole operazioni descritte dovessero svolgersi in paesi situati extra-UE, si utilizzeranno, per le tre operazioni rispettivamente, le diciture:

  • “miscela di latte di Paesi non UE”;
  • “latte condizionato in Paesi non UE”;
  • “latte trasformato in Paesi non UE”.

cisterna lattePrima che le nuove disposizioni entrino in vigore servirà il tempo di adeguare gli impianti produttivi e la logistica, oltre che predisporre effettivamente le nuove etichette.

Si tratta in ogni caso di iniziative di promozione di un settore di eccellenza quale è il Made in Italy, ma sperimentali di carattere nazionale che in futuro l’Europa potrebbe anche sospendere, se risultassero di ostacolo al libero mercato unico europeo. È comunque senz’altro una iniziativa che promuove la trasparenza delle informazioni sui prodotti.marchio origineVa detto, a riguardo, che già da anni in Italia molti produttori di latticini indicano l’origine degli ingredienti sulle confezioni dei loro prodotti. Forse in futuro questa pratica sarà più diffusa e contribuirà ad aumentare ancora di più la trasparenza in questo settore.