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Sentenza della Corte di Giustizia UE 15.7.2018 sul rapporto tra mutagenesi e OGM

La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 15.07.2018 nella Causa C-528/16, ha chiarito il rapporto tra gli organismi ottenuti mediante tecniche di mutagenesi e gli OGM, e ne ha definito l’ambito di applicazione della normativa.

Nel 2015 era stato presentato ricorso avanti il Consiglio di Stato Francese da parte di nove ricorrenti che sostenevano che le tecniche di mutagenesi si sono evolute nel tempo e consentono ormai di produrre, così come le tecniche di transgenesi, varietà resistenti a un erbicida; gli obblighi di cui alla Direttiva 2001/18[1] per gli OGM non sono tuttavia applicabili a tali varietà, sebbene presentino rischi per l’ambiente o la salute, e pertanto richiedevano l’annullamento della decisione di primo grado in merito alla loro domanda diretta ad abrogare la norma che esclude la mutagenesi dalle tecniche che determinano una modifica genetica[2].

Il Consiglio di Stato francese ha dunque sospeso il procedimento inviando alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per la definizione di quattro questioni pregiudiziali.

Prima questione: riscontrando che le mutazioni ottenute dalle tecniche o metodi di mutagenesi, diretti a produrre varietà di specie vegetali resistenti a un erbicida, costituiscono modifiche arrecate al materiale genetico di un organismo, e che dette tecniche o detti metodi possono implicare il ricorso ad agenti mutageni chimici o fisici o il ricorso all’ingegneria genetica, modificando il materiale genetico di un organismo secondo modalità non realizzate naturalmente, la Corte ha stabilito che tali organismi vanno considerati Ogm e rientrano nella definizione della Direttiva. Inoltre, ha concluso che sono esclusi dagli obblighi della Direttiva solo gli organismi ottenuti attraverso determinate tecniche di modificazione genetica utilizzate convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza.

Seconda questione: la Corte ha ritenuto che le varietà ottenute mediante tecniche o metodi di mutagenesi devono ritenersi rientranti nella nozione di «varietà geneticamente modificate», di cui all’art. 4, par. 4, della Direttiva 2002/53 e che le varietà geneticamente modificate ottenute con tecniche o metodi di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza sono esenti dagli obblighi previsti dall’art.4, par.4.

Terza questione: la Corte ha ritenuto che il Legislatore dell’Unione non ha previsto specifiche ed ulteriori norme a carico degli Stati membri, ma solo stabilito alcune deroghe alla Direttiva, e ha così lasciato spazio agli Stati membri di legiferare autonomamente, nel rispetto del diritto dell’Unione e così far applicare gli obblighi previsti dalla Direttiva stessa, o altri obblighi.

Quarta questione: la Corte conclude ritenendo di non doversi pronunciare sulla validità dell’art.2 e dell’art.3 della Direttiva 2001/18 in relazione al principio di precauzione, perché a seguito della sua stessa interpretazione tali due norme sarebbe nel senso non escludono dall’ambito di applicazione della Direttiva tutti gli organismi ottenuti mediante tecniche o metodi di mutagenesi, indipendentemente dalla tecnica utilizzata.

Quindi, in sintesi, gli organismi ottenuti per mezzo di tecniche o metodi di mutagenesi sono da considerarsi OGM e, in generale, ad essi valgono gli obblighi stabiliti dalla Direttiva 2001/18, con esclusione degli organismi ottenuti mediante tecniche di mutagenesi utilizzate convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza, e salva la possibilità per gli Stati membri di prevedere che anche tali organismi ne siano assoggettati oppure di prevedere altri specifici obblighi.

[1] Direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio.

[2] Trattasi dell’art. D.531-2 del codice dell’ambiente, che traspone la Direttiva 2001/18.

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