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Categoria: Sicurezza alimentare

ISO 22000 (Food Safety Management Systems – Requirements for any organization in the food chain) nasce nel 2005 e, basandosi essenzialmente sui principi del sistema HACCP, prevede l’elaborazione e l’applicazione di un sistema di gestione per la sicurezza alimentare di livello internazionale, per consentire agli operatori del settore e agli interessati di perseguire (certificandola) la sicurezza alimentare.

La ISO 22000 può essere applicata anche in concomitanza ad altre misure e sistemi di qualità, interagisce con le norme e i principi in materia di igiene e sicurezza alimentare, e serve ad esternare e documentare a tutti i soggetti coinvolti nella filiera (dal produttore al consumatore finale, oltre ai fornitori di imballaggi o di materiali, distributori di alimenti o materie prime, operatori del trasporto e della logistica …) l’assolvimento degli obblighi e dei requisiti stabiliti dalle diverse fonti come il “pacchetto igiene” e il Codex Alimentarius.

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I principali punti caratterizzanti il sistema ISO 22000 sono:

  • Come già visto, consente di certificare la conformità dell’impresa alle norme vigenti
  • Gestire in maniera completa, aggiornata, controllata ed efficace un sistema finalizzato alla sicurezza alimentare
  • Soddisfare le richieste e le aspettative del cliente che richieda e pretenda il mantenimento di specifici standard di igiene e sicurezza
  • Comunicare e quindi esternare la propria rispondenza ai requisiti di igiene e sicurezza previsti dalla norma, orientati secondo i principi di igiene e sicurezza alimentare
  • Possibile interazione con altri sistemi e metodi, come la ISO 9001 e la gestione del rischio dell’HACCP

La norma ISO 22000, come tutti gli standard, è stata periodicamente monitorata al fine di verificare eventuali cambiamenti o nuove esigenze da parte dei consumatori o degli altri soggetti diversamente coinvolti nella filiera, tali da richiedere eventuali adeguamenti o modifiche. Nel 2014, dunque, è iniziato un percorso di revisione da parte di esperti con la presentazione di una proposta (proposal stage), passato nel 2015 alla fase preparatoria e di elaborazione, a quella successiva (Committee stage) nel 2016 fino alla fase DIS, conclusa alcuni giorni fa, che ha previsto lo svolgimento di una consultazione pubblica sulla bozza di revisione. La pubblicazione della versione revisionata definitiva è attesa per giugno 2018.

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Cosa prevede la revisione?

  • Principalmente, chiarezza e semplificazione espositiva, specificazione delle definizioni dei termini più utilizzati, per consentire una maggiore comprensibilità e fruibilità da parte degli operatori, e modifiche alla propria struttura e formato.
  • Adeguamento alle nuove esigenze e caratteristiche del mercato alimentare, dal punto di vista della domanda e dell’offerta.
  • Vuole fornire un nuovo approccio alla gestione del rischio, in particolare distinguendo il rischio operativo che viene monitorato attraverso l’HACCP e il diverso rischio imprenditoriale, connesso alle strategie e agli obiettivi dell’impresa.
  • Nella nuova versione revisionata sarà seguita la nuova impostazione (High-Level Structure-HLS), ormai riferimento per tutti gli standard di gestione, che consente agli operatori di integrare con più facilità più sistemi di gestione contemporaneamente.

Cosa beviamo veramente quando al bar ordiniamo un bicchiere di succo di frutta? La frutta, in quel bicchiere, c’è davvero? E se davvero c’è, in quale percentuale?

L’impressione, molto spesso e anche senza leggere l’etichetta e senza chiedere informazioni sul prodotto, è che prevalgano acqua e zucchero e di frutta ve ne sia davvero poca.

Eppure, quello rimane “succo di frutta”.

…e se parliamo di succo di arancia?

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Il 24 maggio 2017 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.119 la “Comunicazione del perfezionamento, con esito positivo, della procedura di notifica alla Commissione europea dell’articolo 17 della legge 30 ottobre 2014, n. 161, recante disposizioni in materia di bevande a base di succo di frutta”, mediante comunicato emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
In particolare, la Presidenza del Consiglio dei Ministri rende noto che si è perfezionata con esito positivo la procedura di notifica alla Commissione europea n.2014/0316/I, ai sensi della Direttiva 98/34/CE, relativa al progetto «Disegno di legge europea 2013, secondo semestre (AC 1864 A) – art. 14, concernente: disposizioni in materia di bevande a base di succhi di frutta. Caso EU pilot n. 4738/13/ENTR[1]».

La soluzione del caso, che riguardava appunto la composizione delle bibite analcoliche vendute con il nome di arancia a succo o recanti denominazioni che a tale agrume si richiamino, ha portato all’inserimento dell’art.17 (ex art.14) nella L. n.161/2014 recante Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2013-bis.

Tale art.14, poi diventato l’attuale art.17, prevede dunque che “Le bibite analcoliche di cui all’articolo 4 del Decreto del Presidente della Repubblica 19 maggio 1958, n. 719, e successive modificazioni, prodotte in Italia e vendute con il nome dell’arancia a succo, o recanti denominazioni che a tale agrume si richiamino, devono avere un contenuto di succo di arancia non inferiore a 20 g per 100 cc o dell’equivalente quantità di succo di arancia concentrato o disidratato in polvere, fatte salve quelle destinate alla commercializzazione verso altri Stati dell’Unione europea o verso gli altri Stati contraenti l’Accordo sullo Spazio economico europeo, nonché verso Paesi terzi”.
La stessa comunicazione del 24.05.2017 prevede che l’art. 17, comma 1, sarà applicabile dal 6 marzo 2018, ma le bevande prodotte fino a tale data posso essere commercializzate fino all’esaurimento delle scorte.

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[1] In data 5 marzo 2013 la Commissione europea richiese talune informazioni alle Autorità italiane rilevando che le norme contenute nel D.Legge n.158/2012 erano state introdotte in violazione della procedura di notifica di cui alla Dir. 98/34/UE, considerato che la misura notificata era riferita esclusivamente alle bibite analcoliche con il nome di uno o più frutti e non quelle di fantasia a base di agrumi, introdotte durante l’esame parlamentare del decreto, e che, comunque, non è stata disposta la sospensione di tre mesi dell’efficacia delle norme. Inoltre, rilevava che le restrizioni alla libera circolazione delle merci, in assenza di regole armonizzate a livello europeo, può essere giustificata solo per motivi di interesse pubblico come la tutela della salute in tal caso occorre supportare le argomentazioni a favore dell’introduzione della misura con evidenze scientifiche che, nell’occasione, non sono state prodotte. La normativa fa riferimento al succo naturale, senza più far riferimento alle altre alternative di succo “concentrato”, “liofilizzato” o “sciroppato”, con un’indebita limitazione della materia prima utilizzabile, non riscontrabile nella normativa europea di riferimento (Dir. 2001/112/UE).

Il 31 maggio 2017 è entrata in vigore la Revisione n.4 della Procedura Operativa Standard unificata (POS11) “Rilascio N.O.S./DCE sull’importazione di alimenti di origine non animale”, come da comunicazione del  Ministero della Salute che fornisce indicazioni operative sulle attività da effettuare per i controlli su tali prodotti, compresi gli alimenti dietetici, quelli destinati al consumo particolare e i materiali a contatto con gli alimenti (MOCA). Le tre precedenti revisioni risalgono al 2009, 2010 e 2011.

Il campo di applicazione si estende “ai MOCA e a tutti gli alimenti di origine non animale (come definite dal Reg. CE 178/2002) provenienti da Paesi Terzi e destinati al commercio e/o all’uso personale. Il controllo viene eseguito dagli USMAF-SASN competenti per territorio (Porto, Aeroporto, Punto di confine, Dogana interna)”.

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Inoltre, sempre nel Documento si legge espressamente che scopo della procedura è quello di sottoporre a controllo ufficiale, ai sensi dei Regolamenti (CE) 882/2004, (CE) 669/2009, (CE) 884/2014, e successive modifiche e integrazioni, in maniera uniforme e a tutela della salute pubblica, tutte le partite di alimenti di origine non animale, in arrivo presso i punti di confine del territorio italiano, dove operano gli Uffici di Sanità Marittima, Aerea e di Frontiera strutture periferiche del Ministero della Salute”.

Dopo lo scopo, il campo di applicazione, le definizioni, i riferimenti normativi, il cuore del documento è la vera e propria descrizione della procedura dove vengono riportati i requisiti, i soggetti, e i passaggi pratici per lo svolgimento concreto delle operazioni (sostanzialmente, l’inserimento e lo scambio di informazioni e dati attraverso una piattaforma dedicata a cui possono accedere solo i soggetti autorizzati).

È inoltre specificato che la procedura sarà integrata con specifiche “Istruzioni operative locali” per descrivere nel dettaglio specifiche attività svolte nell’ambito della Funzione interessata la cui compatibilità sarà valutata dalla DGISAN mediante audit interno.

Vengono individuati, e descritti, tre diversi livelli di verifica attraverso i quali svolgere i controlli oggetto della procedura:

1) documentale: l’esame dei documenti commerciali e di ogni altra documentazione, che accompagnano la partita e che ne attestino l’idoneità all’ingresso in territorio nazionale e quindi comunitario, che deve essere rilasciata dall’Autorità sanitaria pubblica competente o da una struttura da questa autorizzata del Paese terzo di provenienza. Nel caso di trasporto via mare, i controlli possono essere effettuati nelle 24 ore antecedenti l’arrivo della nave in porto (Preclearing – sdoganamento in mare).

2) di identità: una verifica mediante ispezione visuale sui documenti di accompagnamento e sui certificati, per assicurare che corrispondano alla partita in esame.

3) materiale: può essere esteso anche ai mezzi di trasporto, agli imballaggi, all’etichettatura e alla temperatura, e può comprendere anche il campionamento a fini di analisi e prove di laboratorio necessari per verificare la conformità alla normativa in materia.

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L’esito dei controlli comporta il rilascio di un atto che, a seconda dei casi, ha diversa entità e significato: NOS (nulla osta sanitario) che attesta la verifica effettuata sulla merce e la possibilità del suo ingresso nel territorio nazionale e quindi comunitario, da utilizzare per i materiali a contatto con alimenti, nonché per gli alimenti di origine non animale solo in caso di vincolo sanitario o di campionamento a scopo di monitoraggio, DCE-NOS (documento comune di entrata a seguito di controllo non accresciuto, così indicato nel sistema informatico dell’Agenzia delle Dogane), DCE (documento comune di entrata a seguito di controllo accresciuto ai sensi di disposizioni comunitarie, provenienti da Paesi Terzi ed in importazione in Italia).

Quali sono le responsabilità?

Il responsabile del procedimento è il Medico di Porto/Aeroporto (Ufficiale sanitario governativo per gli atti di vigilanza in tema di profilassi internazionale e sulle merci, Dirigente Medico di II fascia del Ministero della Salute ovvero Dirigente Medico delle Professionalità Sanitarie del Ministero della Salute); La responsabilità nella gestione della singola pratica, quindi accoglienza dell’utente, ricezione dell’istanza, archiviazione dei dati è del personale tecnico e amministrativo dell’ufficio, a seconda delle rispettive attribuzioni; La responsabilità delle direttive operative, comprensiva dei criteri e delle modalità della programmazione dei prelievi nel rispetto delle percentuali previste, è del Dirigente Medico cui è demandata la direzione dell’Ufficio.

Il Regolamento (UE) n. 625 del 15 marzo 2017 relativo ai controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari, recante modifica dei regolamenti (CE) n. 999/2001, (CE) n. 396/2005, (CE) n. 1069/2009, (CE) n. 1107/2009, (UE) n. 1151/2012, (UE) n. 652/2014, (UE) 2016/429 e (UE) 2016/2031 del Parlamento europeo e del Consiglio, dei regolamenti (CE) n. 1/2005 e (CE) n. 1099/2009 del Consiglio e delle direttive 98/58/CE, 1999/74/CE, 2007/43/CE, 2008/119/CE e 2008/120/CE del Consiglio, e che abroga i regolamenti (CE) n. 854/2004 e (CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 89/608/CEE, 89/662/CEE, 90/425/CEE, 91/496/CEE, 96/23/CE, 96/93/CE e 97/78/CE del Consiglio e la decisione 92/438/CEE del Consiglio è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’UE il 7 aprile scorso.controlli ufficiali 2

Si tratta di una norma molto corposa, composta di ben 167 articoli e cinque Allegati altrettanto densi di nozioni e dettagli tecnici, che va a modificare ed abrogare numerosi Regolamenti e Direttive al fine di dare una disciplina uniforme sui controlli e sulle altre attività ufficiali, e consentire la corretta applicazione della normativa correlata. Per altre attività ufficiali devono intendersi, secondo la definizione data dall’art.2, attività, diverse dai controlli ufficiali, che sono effettuate dalle autorità competenti, o dagli organismi delegati o dalle persone fisiche cui sono state delegate alcune altre attività ufficiali a norma del presente regolamento e della normativa di cui all’articolo 1, paragrafo 2, incluse le attività tese ad accertare la presenza di malattie animali o di organismi nocivi per le piante, a prevenire o contenere la diffusione di tali malattie animali od organismi nocivi per le piante, a eradicare tali malattie animali od organismi nocivi per le piante, a rilasciare autorizzazioni o approvazioni e a rilasciare certificati ufficiali o attestati ufficiali”.

Innanzitutto, l’art.1 ci dice chiaramente che il “Regolamento sui controlli ufficiali” ha ad oggetto:“a) l’esecuzione dei controlli ufficiali e delle altre attività ufficiali effettuate dalle autorità competenti degli Stati membri; b) il finanziamento dei controlli ufficiali;c) l’assistenza amministrativa e la collaborazione tra gli Stati membri ai fini della corretta applicazione delle norme di cui al paragrafo 2;d) l’esecuzione dei controlli da parte della Commissione negli Stati membri e nei paesi terzi;e) l’adozione delle condizioni che devono essere soddisfatte in relazione a animali e merci che entrano nell’Unione da un paese terzo; f) l’istituzione di un sistema informatico per il trattamento delle informazioni e dei dati relativi ai controlli ufficiali”.

Inoltre, l’ambito di applicazione è circoscritto ai controlli ufficiali effettuati nei settori relativi a: “a) gli alimenti e la sicurezza alimentare, l’integrità e la salubrità, in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione di alimenti, comprese le norme volte a garantire pratiche commerciali leali e a tutelare gli interessi e l’informazione dei consumatori, la fabbricazione e l’uso di materiali e oggetti destinati a venire a contatto con alimenti; b) l’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati (OGM) a fini di produzione di alimenti e mangimi; c) i mangimi e la sicurezza dei mangimi in qualsiasi fase della produzione, della trasformazione, della distribuzione e dell’uso di mangimi, comprese le norme volte a garantire pratiche commerciali leali e a tutelare la salute, gli interessi e l’informazione dei consumatori; d) le prescrizioni in materia di salute animale; e) la prevenzione e la riduzione al minimo dei rischi sanitari per l’uomo e per gli animali derivanti da sottoprodotti di origine animale e prodotti derivati; f) le prescrizioni in materia di benessere degli animali; g) le misure di protezione contro gli organismi nocivi per le piante; h) le prescrizioni per l’immissione in commercio e l’uso di prodotti fitosanitari e l’utilizzo sostenibile dei pesticidi, ad eccezione dell’attrezzatura per l’applicazione di pesticidi; i) la produzione biologica e l’etichettatura dei prodotti biologici; j) l’uso e l’etichettatura delle denominazioni di origine protette, delle indicazioni geografiche protette e delle specialità tradizionali garantite”.

I successivi articoli da 4 a 8 riguardano le modalità di designazione delle autorità competenti, disposizioni particolari per il settore biologico, audit, diritto di ricorso, obblighi di riservatezza.controlli ufficiali 3

Seguono poi alcune norme sui requisiti generali dei controlli: organi, soggetti, attività, trasparenza, procedure, documentazione, metodi e tecniche (artt.9-15).

Le abrogazioni dei regolamenti (CE) n. 854/2004 e (CE) n. 882/2004, delle direttive 89/608/CEE, 89/662/CEE, 90/425/CEE, 91/496/CEE, 96/23/CE, 96/93/CE e 97/78/CE, nonché della decisione 92/438/CEE hanno tutte effetto a far data dal 14 dicembre 2019 (art.146).

Quando entra in vigore tale Regolamento? Il prossimo 27 aprile.

Quando diviene applicabile? Secondo l’art.167, il Regolamento si applica a decorrere dal 14 dicembre 2019, mentre si applica dal 29 aprile 2022 per le misure di protezione contro gli organismi nocivi per le piante (art.1, par.2, lett.g), per l’oggetto dell’art.34, par.1, 2 e 3[1], per alcune disposizioni sulla designazione dei laboratori ufficiali come l’art.37, par.4, lett.e)[2] e par.5 sui requisiti di accreditamento.

Gli artt.92-101 sui Laboratori e Centri di riferimento si applicano invece a partire dal 28 aprile 2018.

L’art.163 che modifica il Reg. (UE) n. 652/2014 recante disposizioni per la gestione delle spese relative alla filiera alimentare, alla salute e al benessere degli animali, alla sanità delle piante e al materiale riproduttivo vegetale si applica invece dal 28 aprile 2017.controlli ufficiali

[1] 1. I metodi di campionamento e di analisi, prova e diagnosi di laboratorio utilizzati nel contesto dei controlli ufficiali e delle altre attività ufficiali sono conformi alle norme dell’Unione che stabiliscono tali metodi o ai relativi criteri di efficienza. 2.In assenza di norme dell’Unione di cui al paragrafo 1, e nel contesto di controlli ufficiali e altre attività ufficiali, i laboratori ufficiali applicano uno dei seguenti metodi a seconda della relativa idoneità per le esigenze specifiche di analisi, prova e diagnosi: a) metodi disponibili conformi a pertinenti norme o protocolli riconosciuti internazionalmente, compresi quelli accettati dal comitato europeo di normalizzazione (CEN); o metodi pertinenti sviluppati o raccomandati dai laboratori di riferimento dell’Unione europea e convalidati in base a protocolli scientifici accettati internazionalmente; b) in assenza delle norme o dei protocolli opportuni di cui alla lettera a), metodi conformi alle norme pertinenti definite a livello nazionale o, se tali norme non esistono, metodi pertinenti sviluppati o raccomandati dai laboratori di riferimento dell’Unione europea e convalidati in base a protocolli scientifici accettati internazionalmente; o metodi pertinenti sviluppati e convalidati da studi interlaboratorio o intralaboratorio sulla convalida dei metodi in base a protocolli scientifici accettati internazionalmente. 3.Qualora vi sia urgenza di eseguire analisi, prove o diagnosi di laboratorio e non esista alcuno dei metodi di cui ai paragrafi 1 e 2 del presente articolo, il pertinente laboratorio nazionale di riferimento oppure, se non esiste un laboratorio nazionale di riferimento, qualsiasi altro laboratorio designato in conformità dell’articolo 37, paragrafo 1, può utilizzare metodi diversi da quelli di cui ai paragrafi 1 e 2 del presente articolo in attesa della convalida di un metodo appropriato in base a protocolli scientifici accertati internazionalmente”.

[2] Le autorità competenti possono designare un laboratorio che, tra gli altri requisiti, … e) opera secondo la norma EN ISO/IEC 17025 ed è stato accreditato secondo tale norma da un organismo nazionale di accreditamento operante in conformità del regolamento (CE) n. 765/2008”.

Sono stati da poco pubblicati i dati riguardanti le principali problematiche e rischi di sicurezza alimentare emersi nel corso del 2016 e rilevati grazie al sistema di allarme rapido RASFF per lo scambio di informazioni per le allerte alimentari.

Il 16 marzo scorso, infatti, il Ministero della Salute ha emanato un comunicato stampa rendendo noto che la Direzione Generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione ha redatto la Relazione sul sistema di allerta europeo RASFF, dati 2016.
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Prima di vedere quali sono questi dati, richiamiamo brevemente l’attenzione sul sistema di allarme rapido RASFF, di cui avevamo già ampiamente trattato in uno dei nostri primi articoli.

Innanzitutto, il sistema RASFF (Rapid Alert System for Food and Feed) è stato istituito dal Reg. CE n.178/2002, che ne definisce la composizione, gli obiettivi, il funzionamento, e va inteso come una rete di soggetti determinati (la Commissione UE, l’EFSA, i Paesi UE, e i Paesi extra UE e organizzazioni internazionali che ne abbiano mostrato l’interesse e richiesta l’adesione ) in grado di attivarsi e collaborare per consentire lo scambio repentino di informazioni in tutti i casi in cui venga rilevata la presenza di un rischio alla salute derivante da prodotti alimentari o mangimi, contrari ai requisiti igienico sanitari imposti dalla relativa normativa.

Attraverso lo scambio rapido delle informazioni e la notifica tempestiva dei rischi diretti e indiretti per la salute si vuole evitare che un prodotto rischioso arrivi nelle mani del consumatore finale, ponendo in essere l’azione concreta più adatta al caso tra quelle previste dal sistema (rispedizione del prodotto al Paese di provenienza, distruzione del prodotto, trattenimento da parte dell’operatore alimentare).

Dunque, con le sue 79 pagine e decine di diagrammi, l’ultima Relazione sul sistema di allerta europeo RASFF indica che nel 2016 sono state trasmesse 2925 notifiche (2967 nel 2015), in costante diminuzione come negli anni precedenti, la maggior parte delle quali attivata da controlli al confine (border rejection e consignment released) e da controlli ufficiali sul mercato.

L’Italia è risultata il primo Paese Membro del RASFF per il numero di segnalazioni inviate alla Commissione europea (415 notifiche, pari al 14.2%), seguita dalla Germania (368) e dal Regno Unito (352) e dall’Olanda (285). Queste 415 notifiche hanno interessato soprattutto i prodotti della pesca (175), frutta secca e snack (56), materiali a contatto con alimenti (41), frutta e vegetali (37), alimentazione animale (22). Inoltre, durante l’attività di controllo svolta in ambito nazionale sono state oggetto di notifiche RASFF 145 segnalazioni trasmesse da parte degli Assessorati alla Sanità e ASL, in alcuni casi con verifiche svolte insieme ai NAS.

Quali sono state le irregolarità più frequenti?

Riguardo l’origine dei prodotti nazionali che sono stati oggetto delle 3notifiche trasmesse dal RASFF, l’Italia ha ricevuto 105 notifiche (115 nel 2015) posizionandosi al quinto posto in Europa, delle quali 65 segnalazioni sono state trasmesse da altri Stati Membri, mentre le restanti sono pervenute attraverso la vigilanza nazionale, trattandosi di prodotti ridistribuiti in ambito europeo o extra europeo.  Con riguardo anche a Paesi Terzi l’Italia scivola al nono posto e i Paesi che hanno ricevuto il maggior numero di notifiche mediante il sistema RASFF sono la Turchia (276), la Cina (256) e l’India (194). Il maggior numero di notifiche ricevute dall’Italia ha interessato frutta e vegetali e i prodotti della pesca (17), carni (escluso pollame) e cereali e derivati (12).

Ancora, le notifiche per irregolarità derivanti da contaminanti microbiologici riguardano casi di salmonella, Escherichia coli, istamina e casi di sindrome sgombroide e Norovirus; le notifiche relative a non conformità da contaminanti chimici vedono primeggiare le micotossine e i residui di fitofarmaci (questi ultimi in diminuzione rispetto all’anno precedente), i metalli pesanti, additivi e coloranti, migrazioni da materiali e oggetti destinati a venire a contatto con gli alimenti e residui di farmaci veterinari.

Altre irregolarità arrivano dal settore dei Novel Food e degli OGM, con segnalazioni relative all’immissione sul mercato di prodotti non autorizzati, e la presenza di corpi estranei (per i quali si registra un aumento delle notifiche rispetto al 2015).

 

 

 

 

Quanto tempo, energie, risorse ogni giorno l’impresa alimentare deve dedicare all’assolvimento degli obblighi imposti dalla normativa di settore per il rispetto degli standard di sicurezza e di igiene e la prevenzione del rischio? Quante difficoltà incorre nel quotidiano ogni impresa alimentare per riuscire ad applicare i programmi e le strategie di autocontrollo per l’analisi, valutazione e gestione del rischio?

Tutto questo incombe, come sappiamo, sugli operatori del settore alimentare e dei mangimi ai quali spetta “garantire che nelle imprese da essi controllate gli alimenti o i mangimi soddisfino le disposizioni della legislazione alimentare inerenti alle loro attività in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione e verificare che tali disposizioni siano soddisfatte”, come espressamente previsto dall’art. 17, I, del noto Reg. CE n.178/2002[1]. I medesimi soggetti sono tenuti anche al rispetto degli obblighi generali dettati dall’art. 3 del Reg. CE n. 852/2004 e devono garantire “che tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione degli alimenti sottoposte al loro controllo soddisfino i pertinenti requisiti di igiene fissati nel presente regolamento”[2].

haccp1Al fine di monitorare costantemente e adeguatamente gli standard e i requisiti di sicurezza e di igiene richiesti dalla normativa europea citata, lungo tutta la filiera e in ogni momento dell’attività produttiva, gli operatori del settore alimentare devono adottare ed attuare specifici piani di controllo interno, per individuare i punti di maggior rischio e consentire interventi rapidi e preventivi per arginare il pericolo. Lo stesso Reg. CE n.852/2004 prevede che gli interessati (obbligati) debbano predisporre, attuare e mantenere delle procedure permanenti sulla base del sistema HACCP “Hazard Analysis and Critical Control Point” necessario appunto per individuare lungo tutta la filiera di un determinato prodotto i punti critici di controllo e i rischi connessi, al fine di anticiparli, ridurli o eliminarli.

Il sistema HACCP si basa sui seguenti principi:

– identificare ogni eventuale pericolo per prevenirlo, eliminarlo o ridurlo a livelli accettabili

– identificare, nelle varie fasi, i punti critici di controllo che sia essenziale per prevenire, eliminare o ridurre un rischio

– stabilire, nei punti critici di controllo, i limiti tra l’accettabilità e l’inaccettabilità del rischio

– stabilire e attuare, nei punti critici di controllo delle procedure di sorveglianza efficaci

– stabilire idonei rimedi da attuare in caso di punto critico fuori controllo

– elaborare le procedure per verificare regolarmente l’effettivo funzionamento dei rimedi e degli interventi stabiliti dall’impresa

– predisporre idonea documentazione parametrata alla natura e alle dimensioni dell’impresa, per dimostrare l’attuazione degli strumenti di cui sopra

Concretamente, però, non è semplice, per le piccole realtà come i rivenditori di prodotti alimentari, predisporre e gestire un sistema interno di autocontrollo, in termini di tempo, capacità organizzative, personale incaricato e, ovviamente, costi.

A ben vedere, la normativa interna italiana previgente al “pacchetto igiene” (D.Lgs. n.173/1998 e L. n.526/1999) aveva già previsto delle forme e dei casi di semplificazione e di esonero dall’applicazione delle procedure di igiene o HACCP, ad esempio per le imprese di piccole dimensioni o per i prodotti tradizionali regionali. Il Reg. CE n.852/2004, in seguito, ha conservato disposizioni particolari per le piccole imprese alimentari consentendo deroghe o adattamenti ai requisiti e alle procedure di HACCP (artt. 13).

Buone notizie per le piccole imprese alimentari!

haccp3Recentemente, su richiesta della Commissione (EFSA-Q-2015-00593), EFSA ha pubblicato un parere presentando un sistema di gestione della sicurezza alimentare specifico per cinque tipi di vendita al dettaglio (una macelleria, un negozio di generi alimentari, una panetteria, una pescheria e una gelateria), adattato alle dimensioni e alle possibilità organizzative di queste realtà imprenditoriali, che dovrebbe essere semplice da attuare. Questo strumento semplificato fornisce agli interessati delle linee guida e tabelle che aiutano nell’individuazione dei maggiori rischi biologici, chimici (compresi gli allergeni) e fisici, e dei momenti e fasi della produzione in cui può verificarsi un aggravamento dei pericoli, un questionario di accompagnamento, la descrizione della situazione mediante diagrammi di flusso, e le relative misure di controllo.

Se davvero tale semplificazione potesse rendere più agevole la conoscenza e l’applicazione della normativa sui requisiti di sicurezza e di igiene anche da parte delle piccole imprese alimentari, riuscendo a contenere così i costi e gli investimenti, gli obiettivi imposti dalla normativa stessa potrebbero essere raggiunti ed assicurati con maggiore certezza, portando dunque conseguenze positive anche sul consumatore finale. Maggiori controlli, minor rischio, maggior tutela.

 

[1] REGOLAMENTO (CE) N. 178/2002 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 28 gennaio2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare.

[2] REGOLAMENTO (CE) N. 852/2004 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 29 aprile 2004 sull’igiene dei prodotti alimentari, parte del cosiddetto “pacchetto igiene” insieme al Reg. CE n. 852/2004 e Reg. CE n.853/2004 (e al Reg. CE n.882/2004 sui controlli ufficiali).

Preconfezionati o da confezionare al bancone, i cibi che acquistiamo e consumiamo tutti i giorni sono in gran parte avvolti da plastica. Gli utensili, le stoviglie, i contenitori di cui spesso ci serviamo per pranzare fuori casa sono praticamente tutti di plastica…anzi, di policarbonato, particolarmente resistente e versatile. bpa 2

Questo tipo di plastica, attraverso il contatto con alimenti e bevande, può costituire una minaccia alla nostra salute?

Effettivamente, il policarbonato contiene il Bisfenolo A (BPA), sostanza chimica in grado di interagire o interferire con la normale attività ormonale di persone e animali, e di provocare effetti avversi per la salute di adulti e soprattutto bambini e neonati, sullo sviluppo, sulla crescita e sull’apparato riproduttivo.

Tali effetti del BPA, per i quali viene classificato come interferente endocrino, sono sempre stati oggetto di attenzione da parte dell’EFSA, che da anni ha monitorato e studiato la sostanza chimica per consentire un continuo aggiornamento della sua pericolosità e dei possibili rischi per la salute, soprattutto per i bambini e neonati.

Ed infatti la Danimarca per prima, già nel 2010, aveva vietato l’utilizzo del BPA nei materiali di plastica destinati al contatto con bambini di età inferiore ai tre anni, e alcuni mesi dopo, la Francia aveva adottato la medesima decisione sulla base dei risultati di specifici studi dell’autorità francese di sicurezza alimentare, vietando temporaneamente la fabbricazione, l’importazione, l’esportazione e l’immissione sul mercato di biberon contenenti BPA.

L’EFSA aveva già emanato un parere scientifico sul punto, nel 2006, affermando che i neonati nei primi sei mesi di vita allattati con biberon di policarbonato erano particolarmente esposti al BPA, e sebbene non vi fosse con certezza riconosciuta la rilevanza tossicologica e la dannosità dell’esposizione al BPA per i bambini, la Commissione europea giunse all’emanazione della Direttiva n.8 del 28.01.2011 che, in applicazione del principio di precauzione dell’art. 7 Reg. UE n.178/2002, ha modificato la Direttiva 2002/72/CE e disposto il divieto di utilizzo del BPA nella fabbricazione e nell’immissione sul mercato di biberon di policarbonato.

bpaLe ricerche sul BPA non si fermano, e nel 2016 è stato istituito un gruppo di lavoro internazionale con cui l’EFSA deve approfondire le recenti risultanze scientifiche sulla pericolosità dell’interferente endocrino sul sistema immunitario, già evidenziate dagli studi Menard del 2014 e lo oggi presi in considerazione dall’EFSA, che dovrebbe pubblicare il prossimo parere entro il 2018.

Quali sono le norme di diritto europeo che dettano le principali regole sui materiali a contatto con gli alimenti?

Sicuramente il Reg. (CE) n. 1935/2004, che stabilisce i principi generali di sicurezza per tutti i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto, direttamente o indirettamente, con i prodotti alimentari e prevede la possibilità di adottare misure specifiche per alcuni gruppi di materiali e oggetti. A tale fine, quale misura specifica riguardante i materiali in plastica, è stato emanato il Reg. UE n.10/2011 che fornisce norme specifiche “per la fabbricazione e la commercializzazione di materiali e oggetti di materia plastica a) destinati ad entrare in contatto con i prodotti alimentari, oppure b) già a contatto con i prodotti alimentari oppure c) di cui si prevede ragionevolmente che possano entrare in contatto con prodotti alimentari” e che contiene un Elenco dell’Unione in cui sono indicate le sostanze autorizzate, e quindi utilizzabili, tra cui anche il BPA.

Oltre alle problematiche riguardanti la salute ora descritte, il diffuso utilizzo di oggetti e materiali di plastica contribuisce purtroppo negativamente anche al problema dello smaltimento dei rifiuti, pertanto la soluzione migliore sembrerebbe in entrambi i casi la scelta di materiali alternativi per imballare, confezionare, servire e consumare cibi e bevande.

Gli scienziati e i ricercatori tenuti a monitorare le sostanze alimentari sono chiamati a costanti e precise valutazioni di carattere tecnico, condotte su tutto quanto ha a che fare con i mangimi e gli alimenti destinati al consumo umano e quindi ad esaminare le sostanze che interagiscono ed interferiscono con gli alimenti, con gli animali, con l’ambiente.openFoodTox

Le sostanze chimiche della filiera alimentare (pesticidi, additivi alimentari, aromatizzanti e fonti di nutrienti, additivi per mangimi e contaminanti) diventano così oggetto di particolare attenzione, e gli esperti di EFSA devono individuare un’eventuale pericolosità, e conseguentemente devono essere specificati i relativi aspetti di rischio e quindi la soglia massima consentita nei diversi impieghi (dose giornaliera tollerabile e dose giornaliera ammissibile).

I dati raccolti negli anni dagli esperti di EFSA sulla tossicità delle sostanze chimiche sono il risultato dell’esame e dello studio di circa 4.000 sostanze; sono stati raccolti in più di 1.600 pubblicazioni (fra pareri, dichiarazioni e conclusioni) e vengono trattati e riutilizzati nel tempo per le ricerche successive. Erano già liberamente consultabili, ma necessitavano, forse, di un’adeguata sistemazione e di una maggiore fruibilità, per facilitare il lavoro degli esperti e rendere maggiormente accessibili le informazioni al pubblico, secondo il principio di trasparenza.

Finalmente, tutti i dati sulle sostanze chimiche della filiera alimentare che richiedono una verifica da parte di EFSA sono reperibili in una nuova banca dati dedicata appunto ai rischi chimici: OpenFoodTox.sostanze chimiche

In questa specifica banca dati, strumento utile soprattutto per gli organismi scientifici e gli esperti del settore, ma disponibile anche per chiunque sia interessato a conoscere le caratteristiche e i riferimenti tossicologici delle sostanze chimiche, si trovano le relative schede tecniche contenenti la descrizione, il riferimento ipertestuale all’atto scientifico dell’EFSA e alla legislazione europea, le indicazioni principali sui parametri tossicologici e i valori di riferimento.

È previsto un aggiornamento annuale.

Se volete saperne di più…basta un clic!

 

agrumiDi agrumi esiste una grande varietà, con caratteristiche organolettiche e nutrizionali anche molto diverse tra loro. Arance, limoni, mandarini sono i più conosciuti e i più presenti nella dieta di tutti i giorni, ma ci sono anche i cedri, il bergamotto, i pompelmi, e molti altri ancora, forse meno comuni e generalmente importati, ma largamente utilizzati soprattutto per la preparazione di marmellate, canditi, dolci, succhi di frutta, birre aromatiche e cocktail.

buccia agrumi_oeIl nostro Paese ha una grande tradizione agrumaria, soprattutto grazie alla produzione delle regioni del Sud, apprezzata in tutto il mondo, ma contrastata dalla larga diffusione di prodotti di importazione da paesi come Spagna e Brasile.

Quest’estate avevamo già detto qualcosa in merito alla buccia di frutta e verdura, e ai trattamenti chimici e ai loro residui, anche in relazione alla salute umana.

In particolare ora vedremo se, come, e con quali effetti, possono essere effettuati trattamenti chimici sulla buccia degli agrumi, e come ciò implichi degli specifici obblighi di etichettatura.

agrumi buccia non edibile

Innanzitutto, per contribuire alla conservazione degli agrumi anche dopo la loro raccolta, soprattutto se destinati ad affrontare lunghi viaggi e resistere lungo la catena distributiva per finire nei banconi dei grandi supermercati, vengono applicati trattamenti chimici direttamente sulla buccia, utilizzando generalmente Cera d’api (bianca e gialla), Cera polietilenica ossidata, Gommalacca, Bifenile,  Ortofenilfenolo.

Il consumatore ha modo di sapere quali trattamenti chimici post raccolta sono stati effettuati sulle arance che sta mettendo nel carrello della spesa? Quali informazioni può reperire dagli imballaggi e dalle confezioni dei mandarini che ha appena acquistato?

Riportiamo il caso che ha visto protagonista la Spagna, prima innanzi al Tribunale dell’Unione Europea e poi, a seguito dell’impugnazione della decisione sfavorevole, che ha portato alla recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Il tutto nasce dalla coesistenza di due disposizioni che la Spagna aveva ritenuto discordanti e contrastanti:

1) Parte B 2, punto VI D, quinto trattino, dell’All. I, Reg. di esecuzione UE n. 543/2011 della Commissione, del 7.06.2011, recante modalità di applicazione del Reg. CE n. 1234/2007 del Consiglio nei settori degli ortofrutticoli freschi e degli ortofrutticoli trasformati, secondo cui gli imballaggi di limoni, mandarini e arance[1] devono indicare specificatamente i conservanti o le altre sostanze chimiche eventualmente utilizzati nei trattamenti post-raccolta, applicati dunque sulla superficie esterna.

2) la norma CEE ONU FFV 14[2] sulla commercializzazione e controllo della qualità commerciale degli agrumi, secondo cui l’indicazione dell’utilizzo di conservanti o di sostanze chimiche post-raccolta è necessaria solo se richiesta dalla legislazione del Paese importatore.

E così, nel 2011 la Spagna aveva promosso ricorso contro la Commissione Europea avanti il Tribunale dell’Unione Europea chiedendo l’annullamento della disposizione 1) sulla base di cinque motivi: violazione del principio del rispetto della gerarchia delle norme; sviamento di potere; carenza di motivazione; violazione del principio della parità di trattamento; violazione del principio di proporzionalità. I cinque motivi dedotti dalla ricorrente erano però ritenuti infondati e il ricorso veniva dunque respinto con la Sentenza T-481/11 del 13 novembre 2014.

Successivamente, la Spagna impugnava la Sentenza T-481/11 avanti la Corte di Giustizia europea, nella Causa C-26/15 insistendo nel sostenere che l’imposizione dell’obbligo di indicare in etichetta le sostanze impiegate sulla buccia degli agrumi dopo la raccolta, indicato dall’All. I, Reg. di esecuzione UE n. 543/2011, determina uno svantaggio concorrenziale a discapito dei produttori di agrumi rispetto ai produttori di altri prodotti ortofrutticoli e, per gli agrumi da esportare, rispetto ai Paesi terzi che non hanno una simile norma.

La Corte di Giustizia europea non esita a confermare, al centro della sollevata questione, la necessità e la finalità primaria di tutela e protezione dei consumatori, e conseguentemente ammette che l’esistenza di una norma che contribuisce a rafforzare l’interesse dei consumatori ad essere adeguatamente informati sull’applicazione di eventuali trattamenti effettuati sulla buccia degli agrumi debba essere difesa[3].

Infine, anche l’esito del secondo giudizio si rivela sfavorevole per la Spagna, poiché la Corte di Giustizia europea respinge l’impugnazione e con sentenza del 3.03.2016 conferma la pronuncia del Tribunale, finendo così per riconoscere che sia obbligatorio indicare in etichetta i conservanti e le sostanze eventualmente impiegati nei trattamenti post‑raccolta degli agrumi, e quindi presenti sulla buccia.

Resta, comunque, lo stesso dilemma generale: se è vero che le sostanze di maggior pregio nutritivo di frutta e verdura sono contenute nella buccia, e se siamo adeguatamente informati dei trattamenti e dei residui chimici altrettanto applicati e presenti sulla medesima buccia… siamo davvero meno confusi e più consapevoli dei nostri acquisti e convinti dell’uso che ne vogliamo fare?

arancia_buccia

[1] Non vengono contemplati, e quindi restano fuori dall’ambito della norma in questione, pomeli, pompelmi e limoni verdi, per la loro scarsa commercializzazione nel mercato dell’Unione.

[2] Si tratta di una norma della Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite, istituita nel 1947 ed attualmente composta di 56 Stati tra cui gli Stati membri dell’UE.

[3] La stessa Corte ricorda che, in base all’All. II al Reg. CE n. 396/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23.02.2005, concernente i livelli massimi di residui di antiparassitari, i limiti massimi per i residui del fungicida 2‑fenilfenolo sono fissati a un livello di ben 50 volte superiore per gli agrumi che per gli altri frutti.

materiali-3Apriamo un dossier delicato, quello della sicurezza alimentare. Quando parliamo di sicurezza alimentare pensiamo immediatamente alla qualità delle materie prime, alla loro provenienza e, successivamente, all’ambiente in cui vengono prodotte, lavorate e confezionate. Difficilmente pensiamo prima di tutto alla sicurezza dei materiali a contatto con gli alimenti. Eppure, a seconda della composizione e delle proprietà, i diversi materiali a contatto con gli alimenti possono comportarsi negativamente. In questi casi le sostanze chimiche provenienti da questi materiali potrebbero mettere in pericolo la salute o modificare la composizione dei prodotti alimentari.

Qualche dato normativo: diciassette è il numero totale di materiali annoverati fra i cd. “M.O.C.A.” (i materiali utilizzati per il packaging, nonché stoviglie, contenitori ed gli utensili che prevedono il contatto con alimenti); con questo numero si ricopre tutta la gamma di materiali che normalmente finiscono per andare a contatto con i cibi.

Attualmente, solo quattro dei diciassette materiali a contatto con gli alimenti sono coperti dalle misure specifiche sulla sicurezza previste dalla normativa quadro dell’Ue vigente, e precisamente: plastica, ceramica, cellulosa rigenerata, e i cd. “materiali attivi intelligenti”.

Gli altri tredici materiali censiti sono privi di una copertura normativa europea, in altre parole non hanno ancora superato o non sono stati sottoposti ai test che ne comprovino la sicurezza per la salute pubblica, benché il loro utilizzo sia permesso.materiali-2

Vediamo quali sono e come ci si comporta con essi. Innanzitutto si possono annoverare: gli adesivi, le gomme naturali, il vetro, i metalli, la carta e il cartone (si pensi banalmente ai più comuni quanto diffusi imballaggi per la pizza da asporto), gli inchiostri, gli smalti, le vernici, oltre ai prodotti tessili ed il legno. Si tratta in tutti questi casi di materiali che normalmente possono essere impiegati per la fabbricazione di contenitori per il cibo, o per un utilizzo a contatto con esso, e che purtroppo ad oggi non risultano ancora regolamentati nella maniera appropriata.

Ciò significa che se alcuni paesi prevedono standard elevati per l’utilizzo di queste particolari sostanze nella produzione dei materiali, altri ne hanno di molto più bassi, e non si può in tal senso parlare di sicurezza unica a livello di mercato europeo.

I rischi per la salute. Si è segnalata la mancanza di adeguata informazione scientifica riguardo ad alcuni materiali e sostanze contenute nei materiali, come ad esempio gli interferenti endocrini oppure il bisfenolo A (BPA), che hanno un certo grado di pericolosità in quanto è dimostrata una correlazione a malattie croniche, a problemi riproduttivi, a disturbi metabolici, oltre che ad allergie e problemi legati allo sviluppo neurologico. Sono stati condotti studi specifici, che proverebbero un potenziale pericolo per la salute dei consumatori e per la conservazione della qualità degli alimenti. Il rischio si profila sia in forma diretta, con interferenze delle specifiche sostanze sulla salute degli esseri umani, ma anche in via indiretta, nel caso di sostante inquinanti sull’ecosistema, e relative ripercussioni sulla salute dei cittadini.

materialiGiovedì scorso si è votata alla Camera una risoluzione non vincolante, per chiedere una normativa europea più stringente in tema di sicurezza alimentare, con riferimento ai materiali in questione.

L’intervento della Commissione ambiente era mirato all’inserimento nell’atto parlamentare di criteri più rigidi rispetto a queste tematiche, e concretamente si chiede una normativa che garantisca un livello maggiore di sicurezza su queste sostanze, mediante l’armonizzazione dell’ attuale legislazione.