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Posts di Consulenza Legislazione Alimentare

La Legge di delegazione europea, introdotta per opera della L. n. 234/2012, ha sostituito la legge comunitaria annuale ed è per sua natura finalizzata al conferimento di deleghe legislative per il recepimento delle direttive e degli altri atti dell’Unione europea nel nostro ordinamento. Recentemente è entrata in vigore la Legge n. 170 del 12 agosto 2016  “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2015”, che si occupa di diversi aspetti ed ambiti della nostra realtà, e della vita sociale, economica, giuridica dei cittadini italiani. Nei suoi 21 articoli, infatti, tratta di tematiche differenti come l’introduzione e diffusione di specie esotiche invasive, la procedura d’informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione, le commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta, la prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, dando istruzioni sull’attuazione a diverse direttive europee e sull’adeguamento della normativa nazionale a diversi regolamenti europei.stabilimento 1

In particolare, l’art. 5 della Legge di delegazione europea 2015, recante “Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, e della direttiva 2011/91/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa alle diciture o marche che consentono di identificare la partita alla quale appartiene una derrata alimentare” conferisce delega specifica finalizzata all’adeguamento a queste due norme di diritto europeo, seguendo principi e criteri specifici tra cui quello di prevedere l’obbligo di indicazione nell’etichetta della sede e dell’indirizzo dello stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento, per garantire una corretta e completa informazione al consumatore e una migliore e immediata rintracciabilità dell’alimento, per una più efficace tutela della salute e prevedere eventuali casi di omissione dell’obbligo e indicazione di diciture, marchi o codici equivalenti che consentano comunque di risalire a quei dati.

stabilimento 3Ebbene, nella seduta del 17 marzo 2017 il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di Decreto Legislativo, che all’art.3 (re)introduce[1] l’obbligo di indicazione in etichetta dello stabilimento stabilendo che: “1) I prodotti alimentari preimballati destinati al consumatore finale o alle collettività devono riportare sul preimballaggio o su un’etichetta ad esso apposta l’indicazione della sede dello stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento, fermo restando quanto disposto dagli articoli 9 e 10 del regolamento (UE) n. 1169/2011. 2) Gli alimenti preimballati destinati alle collettività per essere preparati, trasformati, frazionati o tagliati nonché i prodotti preimballati commercializzati in una fase precedente alla vendita al consumatore finale possono riportare l’indicazione di cui al comma 1 sui documenti commerciali, purché tali documenti accompagnino l’alimento cui si riferiscono o siano stati inviati prima o contemporaneamente alla consegna”.

Il successivo art.4 dice in quali casi l’indicazione obbligatoria può essere omessa, ovvero quando:a) la sede dello stabilimento di produzione, o se diverso, di confezionamento coincida con la sede già indicata in etichetta ai sensi dell’articolo 9, paragrafo l, lettera h), del regolamento (UE) n.1169/2011; b) i prodotti preimballati riportino il marchio di identificazione di cui al regolamento n. (CE) 853/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 o la bollatura sanitaria ai sensi del regolamento (CE) n. 854/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004; c) il marchio contenga l’indicazione della sede dello stabilimento”.

L’operatore del settore alimentare individuato come responsabile delle informazioni sugli alimenti ai sensi dell’art.8 del Reg. UE n.1169/2011, quindi “l’operatore con il cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto o, se tale operatore non è stabilito nell’Unione, l’importatore” soggiace a sanzioni amministrative pecuniarie che vanno da 1.000 euro sino a 24.000 euro, ovviamente sempre salvo che il fatto costituisca reato.

Fornire ai consumatori l’esatta indicazione dell’origine dei prodotti alimentari (se vogliamo far coincidere l’origine con lo stabilimento di produzione) consentirebbe di persegue diversi obiettivi in termini di  libertà di acquisto, di sicurezza e di tutela del Made in Italy. Sarebbe infatti un’informazione utile per rendere pienamente consapevole il consumatore circa le caratteristiche e la provenienza del prodotto che sta per acquistare, ai fini della rintracciabilità[2] dei prodotti come richiesta dall’art.18 del Reg. CE n.178/2002 per la protezione della salute, ed anche difendersi dai facili inganni dell’Italian sounding riuscendo a distinguere i veri prodotti italiani dalle loro imitazioni.

Tuttavia, laddove lo schema di Decreto Legislativo contempla anche l’indicazione della sede dello stabilimento di confezionamento, se diverso da quello di produzione, richiede di conseguenza una più attenta lettura da parte del consumatore per poter individuare i casi in cui la sola fase del confezionamento sia avvenuta in Italia, evidenziando così una diversa origine del prodotto. Le tante informazioni, se non vengono correttamente intese, rischiano di diventare troppe e di creare l’effetto contrario a quello desiderato.stabilimento 2

Non resta che attendere la prosecuzione dell’iter di approvazione e l’entrata in vigore del provvedimento.

[1] Si può parlare effettivamente di (re)introduzione poiché la normativa italiana precedente aveva già previsto tale obbligo nel Decreto Legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, recante attuazione della direttiva 89/395/CEE e della direttiva 89/396/CEE concernenti l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari, ma la disposizione era poi venuta meno in seguito all’entrata in vigore e all’applicazione del Reg. UE n.1169/2011.

[2] Lo stesso Regolamento definisce la rintracciabilità di un alimento come la possibilità di ricostruire e seguire il suo percorso “attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione, della distribuzione”.

Sono stati da poco pubblicati i dati riguardanti le principali problematiche e rischi di sicurezza alimentare emersi nel corso del 2016 e rilevati grazie al sistema di allarme rapido RASFF per lo scambio di informazioni per le allerte alimentari.

Il 16 marzo scorso, infatti, il Ministero della Salute ha emanato un comunicato stampa rendendo noto che la Direzione Generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione ha redatto la Relazione sul sistema di allerta europeo RASFF, dati 2016.
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Prima di vedere quali sono questi dati, richiamiamo brevemente l’attenzione sul sistema di allarme rapido RASFF, di cui avevamo già ampiamente trattato in uno dei nostri primi articoli.

Innanzitutto, il sistema RASFF (Rapid Alert System for Food and Feed) è stato istituito dal Reg. CE n.178/2002, che ne definisce la composizione, gli obiettivi, il funzionamento, e va inteso come una rete di soggetti determinati (la Commissione UE, l’EFSA, i Paesi UE, e i Paesi extra UE e organizzazioni internazionali che ne abbiano mostrato l’interesse e richiesta l’adesione ) in grado di attivarsi e collaborare per consentire lo scambio repentino di informazioni in tutti i casi in cui venga rilevata la presenza di un rischio alla salute derivante da prodotti alimentari o mangimi, contrari ai requisiti igienico sanitari imposti dalla relativa normativa.

Attraverso lo scambio rapido delle informazioni e la notifica tempestiva dei rischi diretti e indiretti per la salute si vuole evitare che un prodotto rischioso arrivi nelle mani del consumatore finale, ponendo in essere l’azione concreta più adatta al caso tra quelle previste dal sistema (rispedizione del prodotto al Paese di provenienza, distruzione del prodotto, trattenimento da parte dell’operatore alimentare).

Dunque, con le sue 79 pagine e decine di diagrammi, l’ultima Relazione sul sistema di allerta europeo RASFF indica che nel 2016 sono state trasmesse 2925 notifiche (2967 nel 2015), in costante diminuzione come negli anni precedenti, la maggior parte delle quali attivata da controlli al confine (border rejection e consignment released) e da controlli ufficiali sul mercato.

L’Italia è risultata il primo Paese Membro del RASFF per il numero di segnalazioni inviate alla Commissione europea (415 notifiche, pari al 14.2%), seguita dalla Germania (368) e dal Regno Unito (352) e dall’Olanda (285). Queste 415 notifiche hanno interessato soprattutto i prodotti della pesca (175), frutta secca e snack (56), materiali a contatto con alimenti (41), frutta e vegetali (37), alimentazione animale (22). Inoltre, durante l’attività di controllo svolta in ambito nazionale sono state oggetto di notifiche RASFF 145 segnalazioni trasmesse da parte degli Assessorati alla Sanità e ASL, in alcuni casi con verifiche svolte insieme ai NAS.

Quali sono state le irregolarità più frequenti?

Riguardo l’origine dei prodotti nazionali che sono stati oggetto delle 3notifiche trasmesse dal RASFF, l’Italia ha ricevuto 105 notifiche (115 nel 2015) posizionandosi al quinto posto in Europa, delle quali 65 segnalazioni sono state trasmesse da altri Stati Membri, mentre le restanti sono pervenute attraverso la vigilanza nazionale, trattandosi di prodotti ridistribuiti in ambito europeo o extra europeo.  Con riguardo anche a Paesi Terzi l’Italia scivola al nono posto e i Paesi che hanno ricevuto il maggior numero di notifiche mediante il sistema RASFF sono la Turchia (276), la Cina (256) e l’India (194). Il maggior numero di notifiche ricevute dall’Italia ha interessato frutta e vegetali e i prodotti della pesca (17), carni (escluso pollame) e cereali e derivati (12).

Ancora, le notifiche per irregolarità derivanti da contaminanti microbiologici riguardano casi di salmonella, Escherichia coli, istamina e casi di sindrome sgombroide e Norovirus; le notifiche relative a non conformità da contaminanti chimici vedono primeggiare le micotossine e i residui di fitofarmaci (questi ultimi in diminuzione rispetto all’anno precedente), i metalli pesanti, additivi e coloranti, migrazioni da materiali e oggetti destinati a venire a contatto con gli alimenti e residui di farmaci veterinari.

Altre irregolarità arrivano dal settore dei Novel Food e degli OGM, con segnalazioni relative all’immissione sul mercato di prodotti non autorizzati, e la presenza di corpi estranei (per i quali si registra un aumento delle notifiche rispetto al 2015).

 

 

 

 

Forse non tutti sanno, o non sanno davvero, quanto sia importante l’intensa e metodica attività di raccolta del nettare che ogni primavera viene svolta dalle api, piccoli insetti instancabili organizzati alla perfezione secondo i ruoli e le competenze loro assegnati (dalla natura, fin dalla nascita) all’interno dell’alveare.

Forse non tutti sanno, o non sanno davvero, quanto tale intensa e metodica attività sia importante per la produzione di miele, propoli, cera, polline, pappa reale…ma non solo.

Infatti, le api escono per procurarsi il nettare, per portarlo nelle cellette, per farlo maturare e diventare miele…ma quando si adagiano sulla corolla dei fiori per succhiare il nettare, le api inconsapevolmente raccolgono anche il polline, che viene poi trasportato durante il volo di ritorno all’alveare e disperso nell’aria, finendo per ricadere sui fiori e arricchire così il mondo vegetale di nuove varietà. Attraverso l’impollinazione, le api contribuiscono alla conservazione e allo sviluppo della biodiversità, tanto che secondo recenti ricerche della FAO si può ritenere che ben il 70% delle specie di colture finalizzate a prodotti alimentari, in commercio in tutto il mondo, dipende dall’impollinazione delle api.api 1

Ecco che, allo stesso modo, l’apicoltura è un’arte fondamentale per mantenere ed ottimizzare quello che già in natura avviene in maniera spontanea, rispettando la vita della colonia, le esigenze dell’alveare e i preziosi e delicati equilibri tra api operaie, fuchi, ape regina. Gli apicoltori devono sapersi affiancare discretamente alle api, assecondando le caratteristiche, i tempi, le necessità dell’alveare, potendo addirittura diventare supporto e sostegno per l’attività di raccolta e produzione, purché lascino quantità di miele sufficiente per le scorte invernali.

La salute delle api, va da sé, diventa dunque imprescindibile per poter consentire loro di continuare la propria instancabile attività fuori e dentro l’alveare, fondamentale a livello economico ed anche a livello ambientale in tutto il mondo.

Purtroppo, negli ultimi 15 anni si è registrato un forte calo della popolazione apicola mondiale, soprattutto nell’Europa occidentale (compresa l’Italia) e nell’America del nord, dove in ambito scientifico è stata individuata una vera e propria “Sindrome dello spopolamento” (Colony Collapse Disorder).

Quali sono i principali fattori che hanno determinato l’impoverimento e la perdita di colonie e di api?

Sicuramente, insieme all’agricoltura intensiva, contaminazioni da agenti patogeni e specie invasive, cambiamenti ambientali, coltivazioni di vegetali geneticamente modificati, i pesticidi sono tra le maggiori cause di spopolamento delle api, in particolare i neonicotinoidi (insetticidi elaborati in alternativa al DDT, composti idrosolubili derivanti dalla nicotina) che oltre a insediarsi e residuare sulle piante e sui terreni, persistere nell’aria, invadere le acque ed essere una minaccia per l’ambiente e per le specie animali e vegetali che lo abitano, colpiscono soprattutto le api. In particolare, durante la raccolta di nettare, le api succhiano anche i residui dei pesticidi.

In Italia, a partire dal 2008, sono stati emanati provvedimenti temporanei, sempre rinnovati, che vietavano l’utilizzo di tali sostanze, mentre successivamente a livello europeo, la Commissione iniziò ad occuparsi della salute delle api, con un’importante Comunicazione del 2010 che riconosceva l’importanza delle api per l’ambiente e per l’economia, e la necessità di individuare le cause dello spopolamento e misure di prevenzione, anche in relazione all’impiego di pesticidi.

Contemporaneamente, l’EFSA portava avanti diversi studi e ricerche sulla vita delle colonie di api e sistemi di monitoraggio, svolgendo ricerche sull’insetticida Fipronil ed ancora sul rischio di introduzione e diffusione in Europa del piccolo scarabeo dell’alveare (Aethina tumida) e dell’acaro (Tropilaelaps). Nel 2013 pubblicava i risultati circa gli effetti e i rischi di Clothianidina, Imidacloprid, Tiamethoxam sulla sopravvivenza, sviluppo e comportamento delle api, confermando l’esistenza di rischi elevati in base a cui la Commissione aveva poi emanato il Reg. di esecuzione n.485/2013 che modifica il regolamento di esecuzione (UE) n. 540/2011 per quanto riguarda le condizioni di approvazione delle sostanze attive clothianidin, tiametoxam e imidacloprid, e che vieta l’uso e la vendita di sementi conciate con prodotti fitosanitari contenenti tali sostanze attive, che di fatto limitava e condizionava, solo parzialmente, l’utilizzo di tali sostanze.

api 3Recentemente, Greenpeace ha assegnato ad un centro di ricerca dell’Università del Sussex un approfondimento degli studi pubblicati dall’EFSA nel 2013, confermando la sussistenza dei rischi a suo tempo individuati per l’ambiente e per le api, e rilevando ad oggi una continua e sempre più grave moria delle colonie e l’estinzione di alcune specie di api.

L’Europa deve intervenire, in più direzioni, sicuramente iniziando con l’emanare provvedimenti che pongano il totale divieto di impiego dei pesticidi neonicotinoidi, evitando che le api scompaiano del tutto con inevitabile danno sull’ecosistema e sulla salute.

 

Della biodiversità agricola e alimentare avevamo già ampiamente parlato in occasione dell’entrata in vigore della Legge n.194/2015 “Disposizioni per la tutela e la valorizzazione della biodiversita’ di interesse agricolo e alimentare”, dandovi una descrizione degli obiettivi perseguiti dal nostro legislatore e delle proposte e strumenti elaborati per promuovere tale risorsa naturale, bisognosa di protezione.

Avevamo individuato, inoltre, le diverse specifiche iniziative che gli agricoltori e gli allevatori possono intraprendere per contribuire concretamente agli obiettivi della norma, secondo le loro rispettive aree di attività e condizioni.

agricolturaL’art. 10 della Legge n.194/2015 prevede, in particolare, l’istituzione di un Fondo dedicato, di euro 500.000 annui, “destinato a sostenere le azioni degli agricoltori e degli allevatori in attuazione della presente legge, nonche’ per il sostegno agli enti pubblici impegnati, esclusivamente a fini moltiplicativi, nella produzione e nella conservazione di sementi di varieta’ da conservazione soggette a rischio di erosione genetica o di estinzione”.

In applicazione della citata previsione normativa, è stato recentemente pubblicato il Decreto interministeriale n.1803 del 9.02.2017 con il quale il Mipaaf, il Ministero dell’ambiente e il Ministero dell’economia hanno stabilito dettagli operativi per il funzionamento del Fondo a livello nazionale e relative modalità di attuazione, per il raggiungimento degli obiettivi di tutela e di valorizzazione della biodiversità e protezione delle risorse genetiche di interesse alimentare ed agrario locali[1] dal rischio di estinzione e di erosione genetica e di inquinamento e perdita del patrimonio genetico (art. 1 D. intermin.).

All’art.3 vengono individuate specifiche Azioni sostenute dal Fondo:

  • le azioni degli agricoltori e degli allevatori che siano realizzate, direttamente o attraverso progetti, come partenariato attivo, in collaborazione con soggetti scientifici e non, pubblici e/o privati ed esperti in materia (ad esempio attività di ricerca, recupero, promozione e divulgazione nelle scuole, partecipazione alle Comunità del cibo, alla Giornata nazionale della biodiversità…)
  • le azioni degli enti pubblici impegnati nella produzione e conservazione di sementi di varietà da conservazione soggette a rischio di erosione genetica o di estinzione. Nel Decreto interministeriale all’art.4 sono regolamentati anche gli stanziamenti relativi al Fondo, in particolare per l’anno 2017 è previsto il finanziamento di programmi e/o progetti realizzati direttamente dagli agricoltori e dagli allevatori o da enti locali, regionali, interregionali o nazionali (con priorità ai progetti a sostegno delle figure di agricoltore custode e allevatore custode).

 

allevamentoI beneficiari individuati potranno ottenere la liquidazione delle risorse loro assegnate dopo la presentazione delle spese sostenute per la realizzazione dei progetti.

Gli agricoltori e gli allevatori interessati a partecipare alle iniziative contenute nella Legge n.194/2015 per la promozione e salvaguardia della biodiversità agroalimentare, hanno finalmente indicazioni specifiche sull’accesso al Fondo e sulle modalità operative per la realizzazione dei loro progetti.

 

 

[1] Queste sono, secondo la definizione data dall’art. 2 del D. intermin., risorse genetiche di interesse alimentare ed agrario (da intendersi come il materiale genetico di origine vegetale, animale e microbica, avente un valore effettivo o potenziale per l’alimentazione e per l’agricoltura): a) originarie di uno specifico territorio, b) di diverse origini non invasive,  introdotte da lungo tempo nell’attuale territorio di riferimento, naturalizzate e integrate tradizionalmente nella sua agricoltura e nel suo allevamento, c) originarie di uno specifico territorio, ma attualmente scomparse e conservate in orti botanici, allevamenti ovvero centri di conservazione o di ricerca in altre regioni o Paesi.

Quanto tempo, energie, risorse ogni giorno l’impresa alimentare deve dedicare all’assolvimento degli obblighi imposti dalla normativa di settore per il rispetto degli standard di sicurezza e di igiene e la prevenzione del rischio? Quante difficoltà incorre nel quotidiano ogni impresa alimentare per riuscire ad applicare i programmi e le strategie di autocontrollo per l’analisi, valutazione e gestione del rischio?

Tutto questo incombe, come sappiamo, sugli operatori del settore alimentare e dei mangimi ai quali spetta “garantire che nelle imprese da essi controllate gli alimenti o i mangimi soddisfino le disposizioni della legislazione alimentare inerenti alle loro attività in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione e verificare che tali disposizioni siano soddisfatte”, come espressamente previsto dall’art. 17, I, del noto Reg. CE n.178/2002[1]. I medesimi soggetti sono tenuti anche al rispetto degli obblighi generali dettati dall’art. 3 del Reg. CE n. 852/2004 e devono garantire “che tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione degli alimenti sottoposte al loro controllo soddisfino i pertinenti requisiti di igiene fissati nel presente regolamento”[2].

haccp1Al fine di monitorare costantemente e adeguatamente gli standard e i requisiti di sicurezza e di igiene richiesti dalla normativa europea citata, lungo tutta la filiera e in ogni momento dell’attività produttiva, gli operatori del settore alimentare devono adottare ed attuare specifici piani di controllo interno, per individuare i punti di maggior rischio e consentire interventi rapidi e preventivi per arginare il pericolo. Lo stesso Reg. CE n.852/2004 prevede che gli interessati (obbligati) debbano predisporre, attuare e mantenere delle procedure permanenti sulla base del sistema HACCP “Hazard Analysis and Critical Control Point” necessario appunto per individuare lungo tutta la filiera di un determinato prodotto i punti critici di controllo e i rischi connessi, al fine di anticiparli, ridurli o eliminarli.

Il sistema HACCP si basa sui seguenti principi:

– identificare ogni eventuale pericolo per prevenirlo, eliminarlo o ridurlo a livelli accettabili

– identificare, nelle varie fasi, i punti critici di controllo che sia essenziale per prevenire, eliminare o ridurre un rischio

– stabilire, nei punti critici di controllo, i limiti tra l’accettabilità e l’inaccettabilità del rischio

– stabilire e attuare, nei punti critici di controllo delle procedure di sorveglianza efficaci

– stabilire idonei rimedi da attuare in caso di punto critico fuori controllo

– elaborare le procedure per verificare regolarmente l’effettivo funzionamento dei rimedi e degli interventi stabiliti dall’impresa

– predisporre idonea documentazione parametrata alla natura e alle dimensioni dell’impresa, per dimostrare l’attuazione degli strumenti di cui sopra

Concretamente, però, non è semplice, per le piccole realtà come i rivenditori di prodotti alimentari, predisporre e gestire un sistema interno di autocontrollo, in termini di tempo, capacità organizzative, personale incaricato e, ovviamente, costi.

A ben vedere, la normativa interna italiana previgente al “pacchetto igiene” (D.Lgs. n.173/1998 e L. n.526/1999) aveva già previsto delle forme e dei casi di semplificazione e di esonero dall’applicazione delle procedure di igiene o HACCP, ad esempio per le imprese di piccole dimensioni o per i prodotti tradizionali regionali. Il Reg. CE n.852/2004, in seguito, ha conservato disposizioni particolari per le piccole imprese alimentari consentendo deroghe o adattamenti ai requisiti e alle procedure di HACCP (artt. 13).

Buone notizie per le piccole imprese alimentari!

haccp3Recentemente, su richiesta della Commissione (EFSA-Q-2015-00593), EFSA ha pubblicato un parere presentando un sistema di gestione della sicurezza alimentare specifico per cinque tipi di vendita al dettaglio (una macelleria, un negozio di generi alimentari, una panetteria, una pescheria e una gelateria), adattato alle dimensioni e alle possibilità organizzative di queste realtà imprenditoriali, che dovrebbe essere semplice da attuare. Questo strumento semplificato fornisce agli interessati delle linee guida e tabelle che aiutano nell’individuazione dei maggiori rischi biologici, chimici (compresi gli allergeni) e fisici, e dei momenti e fasi della produzione in cui può verificarsi un aggravamento dei pericoli, un questionario di accompagnamento, la descrizione della situazione mediante diagrammi di flusso, e le relative misure di controllo.

Se davvero tale semplificazione potesse rendere più agevole la conoscenza e l’applicazione della normativa sui requisiti di sicurezza e di igiene anche da parte delle piccole imprese alimentari, riuscendo a contenere così i costi e gli investimenti, gli obiettivi imposti dalla normativa stessa potrebbero essere raggiunti ed assicurati con maggiore certezza, portando dunque conseguenze positive anche sul consumatore finale. Maggiori controlli, minor rischio, maggior tutela.

 

[1] REGOLAMENTO (CE) N. 178/2002 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 28 gennaio2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare.

[2] REGOLAMENTO (CE) N. 852/2004 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 29 aprile 2004 sull’igiene dei prodotti alimentari, parte del cosiddetto “pacchetto igiene” insieme al Reg. CE n. 852/2004 e Reg. CE n.853/2004 (e al Reg. CE n.882/2004 sui controlli ufficiali).

Preconfezionati o da confezionare al bancone, i cibi che acquistiamo e consumiamo tutti i giorni sono in gran parte avvolti da plastica. Gli utensili, le stoviglie, i contenitori di cui spesso ci serviamo per pranzare fuori casa sono praticamente tutti di plastica…anzi, di policarbonato, particolarmente resistente e versatile. bpa 2

Questo tipo di plastica, attraverso il contatto con alimenti e bevande, può costituire una minaccia alla nostra salute?

Effettivamente, il policarbonato contiene il Bisfenolo A (BPA), sostanza chimica in grado di interagire o interferire con la normale attività ormonale di persone e animali, e di provocare effetti avversi per la salute di adulti e soprattutto bambini e neonati, sullo sviluppo, sulla crescita e sull’apparato riproduttivo.

Tali effetti del BPA, per i quali viene classificato come interferente endocrino, sono sempre stati oggetto di attenzione da parte dell’EFSA, che da anni ha monitorato e studiato la sostanza chimica per consentire un continuo aggiornamento della sua pericolosità e dei possibili rischi per la salute, soprattutto per i bambini e neonati.

Ed infatti la Danimarca per prima, già nel 2010, aveva vietato l’utilizzo del BPA nei materiali di plastica destinati al contatto con bambini di età inferiore ai tre anni, e alcuni mesi dopo, la Francia aveva adottato la medesima decisione sulla base dei risultati di specifici studi dell’autorità francese di sicurezza alimentare, vietando temporaneamente la fabbricazione, l’importazione, l’esportazione e l’immissione sul mercato di biberon contenenti BPA.

L’EFSA aveva già emanato un parere scientifico sul punto, nel 2006, affermando che i neonati nei primi sei mesi di vita allattati con biberon di policarbonato erano particolarmente esposti al BPA, e sebbene non vi fosse con certezza riconosciuta la rilevanza tossicologica e la dannosità dell’esposizione al BPA per i bambini, la Commissione europea giunse all’emanazione della Direttiva n.8 del 28.01.2011 che, in applicazione del principio di precauzione dell’art. 7 Reg. UE n.178/2002, ha modificato la Direttiva 2002/72/CE e disposto il divieto di utilizzo del BPA nella fabbricazione e nell’immissione sul mercato di biberon di policarbonato.

bpaLe ricerche sul BPA non si fermano, e nel 2016 è stato istituito un gruppo di lavoro internazionale con cui l’EFSA deve approfondire le recenti risultanze scientifiche sulla pericolosità dell’interferente endocrino sul sistema immunitario, già evidenziate dagli studi Menard del 2014 e lo oggi presi in considerazione dall’EFSA, che dovrebbe pubblicare il prossimo parere entro il 2018.

Quali sono le norme di diritto europeo che dettano le principali regole sui materiali a contatto con gli alimenti?

Sicuramente il Reg. (CE) n. 1935/2004, che stabilisce i principi generali di sicurezza per tutti i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto, direttamente o indirettamente, con i prodotti alimentari e prevede la possibilità di adottare misure specifiche per alcuni gruppi di materiali e oggetti. A tale fine, quale misura specifica riguardante i materiali in plastica, è stato emanato il Reg. UE n.10/2011 che fornisce norme specifiche “per la fabbricazione e la commercializzazione di materiali e oggetti di materia plastica a) destinati ad entrare in contatto con i prodotti alimentari, oppure b) già a contatto con i prodotti alimentari oppure c) di cui si prevede ragionevolmente che possano entrare in contatto con prodotti alimentari” e che contiene un Elenco dell’Unione in cui sono indicate le sostanze autorizzate, e quindi utilizzabili, tra cui anche il BPA.

Oltre alle problematiche riguardanti la salute ora descritte, il diffuso utilizzo di oggetti e materiali di plastica contribuisce purtroppo negativamente anche al problema dello smaltimento dei rifiuti, pertanto la soluzione migliore sembrerebbe in entrambi i casi la scelta di materiali alternativi per imballare, confezionare, servire e consumare cibi e bevande.

Gli scienziati e i ricercatori tenuti a monitorare le sostanze alimentari sono chiamati a costanti e precise valutazioni di carattere tecnico, condotte su tutto quanto ha a che fare con i mangimi e gli alimenti destinati al consumo umano e quindi ad esaminare le sostanze che interagiscono ed interferiscono con gli alimenti, con gli animali, con l’ambiente.openFoodTox

Le sostanze chimiche della filiera alimentare (pesticidi, additivi alimentari, aromatizzanti e fonti di nutrienti, additivi per mangimi e contaminanti) diventano così oggetto di particolare attenzione, e gli esperti di EFSA devono individuare un’eventuale pericolosità, e conseguentemente devono essere specificati i relativi aspetti di rischio e quindi la soglia massima consentita nei diversi impieghi (dose giornaliera tollerabile e dose giornaliera ammissibile).

I dati raccolti negli anni dagli esperti di EFSA sulla tossicità delle sostanze chimiche sono il risultato dell’esame e dello studio di circa 4.000 sostanze; sono stati raccolti in più di 1.600 pubblicazioni (fra pareri, dichiarazioni e conclusioni) e vengono trattati e riutilizzati nel tempo per le ricerche successive. Erano già liberamente consultabili, ma necessitavano, forse, di un’adeguata sistemazione e di una maggiore fruibilità, per facilitare il lavoro degli esperti e rendere maggiormente accessibili le informazioni al pubblico, secondo il principio di trasparenza.

Finalmente, tutti i dati sulle sostanze chimiche della filiera alimentare che richiedono una verifica da parte di EFSA sono reperibili in una nuova banca dati dedicata appunto ai rischi chimici: OpenFoodTox.sostanze chimiche

In questa specifica banca dati, strumento utile soprattutto per gli organismi scientifici e gli esperti del settore, ma disponibile anche per chiunque sia interessato a conoscere le caratteristiche e i riferimenti tossicologici delle sostanze chimiche, si trovano le relative schede tecniche contenenti la descrizione, il riferimento ipertestuale all’atto scientifico dell’EFSA e alla legislazione europea, le indicazioni principali sui parametri tossicologici e i valori di riferimento.

È previsto un aggiornamento annuale.

Se volete saperne di più…basta un clic!

 

hadsome carver1Durante la scorsa edizione di COSMOFOOD, alla fiera di Vicenza, abbiamo avuto modo di conoscere molte interessanti realtà, giovani e dinamiche, nel mondo dell’agroalimentare.

Tra queste sicuramente figura anche Handsome Carver, azienda che si occupa di un prodotto non tipicamente tradizionale per il mercato alimentare italiano, ma conosciuto anche qui: il burro di arachidi.

Al timone dell’impresa due giovani brillanti e intraprendenti, Chiara e Simone, che ci hanno raccontato la loro storia.

Partiamo dalle vere primissime origini del progetto, ovvero come è nata l’idea di fondare proprio in Italia un’azienda che produce burro di arachidi?

Siamo una famiglia molto internazionale e in particolare abbiamo tanti parenti che si sono trasferiti negli Stati Uniti. Nostro cognato, che è americano e molto amante del burro di arachidi era stanco di trovare solo prodotti industriali e ricchi di conservanti e zuccheri e circa sei anni fa ha deciso di aprire la sua azienda e produrre artigianalmente burro di arachidi buono, come da tradizione americana. Quando lo abbiamo assaggiato anche noi buongustai italiani ci siamo innamorati del prodotto e abbiamo provato con tutte le nostre forze a importarlo per venderlo anche qui. Ostacolati dalle leggi italiane rigide e dai costi di importazione stratosferici, non abbiamo voluto mollare la nostra idea e quindi abbiamo deciso di aprire la filiale di Handsome Carver in Italia, diventando noi stessi i produttori e creando un alimento 100% italiano e il più possibile a km 0.

Quali caratteristiche nutrizionali e di gusto può vantare la vostra materia prima, ovvero le arachidi della Toscana?

Le arachidi in generale vantano proprietà nutritive eccezionali: sono infatti leguminose, e tra i vegetali più ricchi di proteine (25%). Non hanno colesterolo, sono ricche di grassi insaturi e di fibre. In particolare le arachidi di Venturina dell’azienda agricola Paggetti Stefania sono le uniche che vengono fatte crescere in Italia, accorciando la filiera produttiva e non sottoponendo il prodotto allo stress del trasporto. La tostatura avviene in loco, con una antica tostatrice a legna e le arachidi a noi arrivano non salate per non alterare lo spettacolare sapore originale.

Alla luce della vostra esperienza, quali ritieni siano i pro per le nuove iniziative imprenditoriali nel settore alimentare in Italia? …E i contro?

handsome carver2Sinceramente noi abbiamo riscontrato grandi lacune nella preparazione delle istituzioni preposte. Quando abbiamo iniziato avevamo tantissima buona volontà, motivazione e un piano ben strutturato, ma poco da investire. Non è stato semplice nessun passaggio del nostro percorso. E abbiamo sprecato tante energie per niente, inseguendo risposte e tampinando uffici per capire la procedura corretta da seguire secondo la legge.

Per fortuna ci sono professionisti seri che hanno saputo cogliere l’innovazione del nostro prodotto e della nostra idea e hanno collaborato con noi per iniziare l’attività e la produzione.

Per noi l’avventura è stata ed è tuttora positiva, ma crediamo che sia tutto lasciato alla forza di volontà e agli sforzi del singolo.

Quanto e come ritieni che il nostro Paese supporti l’imprenditoria innovativa in questo settore?

Sempre parlando sinceramente…credo che la scoraggi fortemente! In sostanza nessuno si prende la responsabilità di dare indicazioni in modo tale da potersi chiamare fuori se succede qualcosa contro la legge.

Quali sono state invece le maggiori difficoltà incontrate nell’avviamento e nella gestione del vostro progetto di impresa (burocrazia, costi, normativa di settore…)?

Sicuramente la normativa di settore: la nostra intenzione era quella di condividere uno spazio con un’altra impresa alimentare per diminuire i costi e a questo proposito la normativa non era chiara ed era sconosciuta anche agli addetti dell’Azienda Sanitaria. Abbiamo perso molto tempo e qualche investimento a causa di questo fraintendimento…

arachidi di venturinaAd oggi, per cosa viene maggiormente apprezzato e richiesto il vostro prodotto?

Viene apprezzato per gli ingredienti naturali e genuini, per la varietà di gusti, per le proprietà nutritive e per il sapore. Viene richiesto per qualche preparazione di pasticceria e cucina, ma soprattutto per la vendita in vasetto da usare con il pane. Il gusto più venduto resta comunque il naturale.

Riguardo la DISTRIBUZIONE, dove possiamo trovare il vostro burro di arachidi? Con quali canali viene venduto?

Il nostro prodotto si acquista online, lo spediamo noi stessi in tempi brevissimi. Stiamo sviluppando la nostra rete di distributori proprio in questo periodo. In Lombardia ci appoggiamo a un distributore agro alimentare. Abbiamo alcune bakery americane, pasticcerie e chef che utilizzano e rivendono il nostro prodotto, nella zona di Gorizia e Trieste.  Abbiamo agenti operativi nelle zone di Modena, Parma e Firenze.

Puntate sull’E-COMMERCE?

Decisamente si, ma dobbiamo approfondire e sviluppare questo settore.

Se qualcuno volesse saperne di più, dove può conoscere la vostra realtà? Quali mezzi utilizzate e privilegiate per pubblicizzare e presentare il vostro prodotto?

Abbiamo il nostro sito internet www.handsomecarver.it e la nostra pagina Facebook – Handsome Carver Italia. Collaboriamo con molti food blogger e nella nostra zona cerchiamo di rimanere attivi sul territorio con progetti e iniziative condivise con altre aziende artigiane e anche con il Comune.

Diciamo dunque che…non resta che assaggiare!

Rispondiamo ad un quesito proposto da un nostro lettore, riguardante la regolarità o meno di informazioni presenti sulle confezioni di prodotti a base di soia o tofu[1], che comparano le proprietà nutrizionali a quelle della carne.

Mature woman female inspecting testing butter food label with magnifying glass.In particolare, ci viene chiesto di capire se una preparazione “vegan” a base di soia o tofu, quindi totalmente priva di carne e derivati, possa legittimamente vantare in etichetta delle qualità o valori nutrizionali comparabili con quelli di un hamburger di carne di vitello.

Il punto di partenza normativo, quando si tratta di informazioni al consumatore, non può che essere il Reg. n. 1169/2011 di cui abbiamo già avuto modo di parlare, per diversi aspetti.

Innanzitutto, tra gli obiettivi generali della normativa in questione, rientra quello di fornire informazioni affinché i consumatori finali siano posti nella condizione di effettuare delle scelte consapevoli, e di acquistare gli alimenti e le bevande in modo sicuro. Ciò dovrebbe garantire la soddisfazione dell’aspettativa di acquisto, e la sicurezza per la propria salute.

L’intero sistema delle informazioni al consumatore poggia inoltre sul principio di lealtà sancito dall’art. 7, secondo cui le informazioni stesse sugli alimenti “non inducono in errore” il consumatore:

1) circa le caratteristiche dell’alimento, la natura, l’identità, le proprietà, la composizione, la quantità, la durata di conservazione, il paese d’origine o il luogo di provenienza, il metodo di fabbricazione o di produzione;

2) attribuendo al prodotto effetti o proprietà che non possiede;

3) suggerendo che l’alimento possiede delle caratteristiche particolari, quando tutti gli alimenti analoghi possiedono in realtà le stesse caratteristiche, evidenziando in modo esplicito la presenza o l’assenza di determinati ingredienti e/o sostanze nutritive;

4) suggerendo, tramite l’aspetto, la descrizione o le illustrazioni, la presenza di un particolare alimento o di un ingrediente, mentre di fatto un componente naturalmente presente o un ingrediente normalmente utilizzato in tale alimento è stato sostituito con un diverso componente o un diverso ingrediente.

etichetta veganeRecentemente, dal 13 dicembre 2016, è finalmente applicabile l’art. 9, par. 1, lettera l) che prevede nell’elenco delle indicazioni obbligatorie anche le “dichiarazioni nutrizionali”[2]. Ciò significa che, ora, le etichette e gli imballaggi dovranno obbligatoriamente riportare i dati e i valori nutrizionali dell’alimento, mentre in precedenza tale informazione era prevista solo come volontaria , ovvero rimessa alla libera scelta dell’impresa.

Occorre comunque fare riferimento anche al Reg. CE n. 1924/2006, relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute (claims nutrizionali), che sono consentite a qualsiasi operatore del settore alimentare soltanto se conformi al regolamento stesso e incluse nell’elenco delle indicazioni autorizzate.

L’utilizzo delle indicazioni nutrizionali e sulla salute è disciplinato dall’art.3 del citato Regolamento, che dice espressamente “non può essere falso, ambiguo o fuorviante”“dare adito a dubbi sulla sicurezza e/o sull’adeguatezza nutrizionale di altri alimenti”.

Ancora, ricordiamo che secondo l’art. 6 “Le indicazioni nutrizionali e sulla salute sono basate su prove scientifiche generalmente accettate” e che il successivo art. 9 specifica, in caso di informazioni comparative, che sono consentite “soltanto tra alimenti della stessa categoria prendendo in considerazione una gamma di alimenti di tale categoria. La differenza nella quantità di una sostanza nutritiva e/o nel valore energetico è
specificata e il confronto è riferito alla stessa quantità di prodotto”
.

nonGMOBox800Per rispondere dunque al nostro lettore, possiamo riassumere affermando che:

– sui prodotti alimentari devono essere obbligatoriamente riportate le dichiarazioni nutrizionali ai sensi del Reg. n.1169/2011;

– le informazioni ulteriori, rientranti nella categoria dei c.d. claims, possono essere presenti se rispondenti ai requisiti del Reg. n.1924/2006, ovvero basati su prove scientifiche generalmente accettate;

– i messaggi comparativi sono consentiti solo tra alimenti della stessa categoria (prodotti vegan e prodotti a base di carne non sono certo della medesima categoria!);

– entrambe le tipologie di informazioni nutrizionali al consumatore devono essere leali, veritiere, non indurlo in errore, non ingenerare dubbi né incertezze.

…e concludere ritenendo che una indicazione contraria ai principi e alle condizioni sopra riportate sia irregolare e pertanto soggetta a contestazione.

[1] In aumento nei consumi degli Italiani secondo il Rapporto Eurispes 2017, ed entrati a far parte come categoria propria, nel paniere Istat 2017.

[2] L’art. 30 del Regolamento le riporta in maniera specifica: il valore energetico e la quantità di grassi, acidi grassi saturi, carboidrati, zuccheri, proteine e sale; mentre gli articoli successivi (31-35) fissano le modalità di calcolo e di presentazione.

naturaleLa catena alimentare coinvolge, nel suo continuo divenire, il suolo, la terra, le piante, gli animali, e l’uomo, che diventa il destinatario (ultimo, ma non unico) dei prodotti derivati dall’allevamento e dalla coltivazione. Le qualità e le proprietà di tali prodotti, non solo quelle originarie ma anche quelle che gli stessi prodotti assumono via via durante il percorso di trasformazione, vengono assorbite dall’uomo attraverso ciò che mangia.

Sin qui, nulla di nuovo. Il concetto, molto semplicisticamente richiamato, non stupisce.

microbiotaTuttavia, spesso si dimentica che nel corso di tutte le attività e fasi che vengono realizzate per la creazione di cibo destinato all’alimentazione umana, molte scelte determinano molteplici e differenti conseguenze verso l’ambiente, verso gli animali, verso chi farà uso di quel cibo, che inevitabilmente passa attraverso l’agricoltura, l’allevamento, lo sfruttamento delle risorse del suolo e degli animali.

Come fare per garantire prodotti di qualità, nel rispetto degli animali e della terra?

Oggi si parla di agricoltura simbiotica, ovvero di un metodo di coltivazione e di allevamento che si basa sul concetto di correlazione e interscambio fra la terra, gli animali e l’uomo. La simbiosi, infatti, è la coesistenza di più elementi che si cercano, interagiscono, si condizionano a vicenda, come avviene appunto in biologia tra due o più animali e/o vegetali di specie diverse.

Si presta fondamentale attenzione all’ambiente e agli animali e alle potenzialità naturali di suolo ed ecosistema, si vietano l’utilizzo di fertilizzanti e fitofarmaci di sintesi chimica nella coltivazione, di ormoni, farmaci o antibiotici nell’allevamento.

Sembrano pensieri già affrontati e forse già risolti con il metodo biologico…il biologico non basta?

In realtà, almeno negli intenti, si tratta di qualcosa di diverso, perché l’innovazione dell’agricoltura simbiotica intende dare qualcosa di più mediante la valorizzazione delle proprietà microbiologiche del terreno e l’integrazione tra i diversi microrganismi per portare, attraverso l’assunzione di quel cibo, degli effetti benefici direttamente sulla salute umana.

micorrizzePiante-micorrizzate-1024x877Nella terra: il suolo e la terra sono naturalmente ricchi di miliardi di microrganismi “buoni” come funghi simbionti e batteri, che convivono in simbiosi con le piante attraverso la micorriza, e che costituiscono il biota microbico, necessario per fronteggiare i microrganismi dannosi.

Negli animali: anche gli animali sono coinvolti nella simbiosi innovativa, perché si nutrono di foraggio, cereali, vegetali che portano con sé il biota microbico presente sul suolo. Attraverso il sistema di digestione della cellulosa da parte degli animali e trasformazione in proteine nobili, attraverso l’alimentazione i microrganismi “buoni” giungono sino all’uomo.

Nell’uomo: l’agricoltura simbiotica punta dunque sull’arricchimento del sistema microbiologico del suolo e, attraverso gli animali, dei valori nutrizionali del cibo per apportare, alla fine, benefici importanti a livello intestinale umano, rafforzando la flora batterica presente nell’intestino, fondamentale per l’attività immunitaria.

Infatti, il metodo di coltivazione e di allevamento simbiotico prevede l’impiego di bioti microbici (funghi, batteri, lieviti) e di sostanze naturali sul terreno, che mantengono e concorrono alla tutela della biodiversità e allo sviluppo del sistema microbiologico di suolo e vegetazione, e l’inserimento di micorrize che consentono ai microrganismi “buoni” di attraversare le piante, migliorarne le qualità organolettiche, e giungere infine negli alimenti che sono perfezionati a livello nutrizionale e qualitativo. Questi, ingeriti dall’uomo, vanno a rafforzare il biota intestinale e ad arricchire la flora batterica.

Sarà interessante capire se questa forma di innovazione dell’agricoltura troverà specifica    disciplina normativa e tutela propria, o se rimarrà un’appendice del metodo biologico caratterizzata, solo a livello operativo di settore, dall’utilizzo delle micorrize e dall’obiettivo di rafforzare il complesso microbico della flora intestinale umana.