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ISO 22000 (Food Safety Management Systems – Requirements for any organization in the food chain) nasce nel 2005 e, basandosi essenzialmente sui principi del sistema HACCP, prevede l’elaborazione e l’applicazione di un sistema di gestione per la sicurezza alimentare di livello internazionale, per consentire agli operatori del settore e agli interessati di perseguire (certificandola) la sicurezza alimentare.

La ISO 22000 può essere applicata anche in concomitanza ad altre misure e sistemi di qualità, interagisce con le norme e i principi in materia di igiene e sicurezza alimentare, e serve ad esternare e documentare a tutti i soggetti coinvolti nella filiera (dal produttore al consumatore finale, oltre ai fornitori di imballaggi o di materiali, distributori di alimenti o materie prime, operatori del trasporto e della logistica …) l’assolvimento degli obblighi e dei requisiti stabiliti dalle diverse fonti come il “pacchetto igiene” e il Codex Alimentarius.

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I principali punti caratterizzanti il sistema ISO 22000 sono:

  • Come già visto, consente di certificare la conformità dell’impresa alle norme vigenti
  • Gestire in maniera completa, aggiornata, controllata ed efficace un sistema finalizzato alla sicurezza alimentare
  • Soddisfare le richieste e le aspettative del cliente che richieda e pretenda il mantenimento di specifici standard di igiene e sicurezza
  • Comunicare e quindi esternare la propria rispondenza ai requisiti di igiene e sicurezza previsti dalla norma, orientati secondo i principi di igiene e sicurezza alimentare
  • Possibile interazione con altri sistemi e metodi, come la ISO 9001 e la gestione del rischio dell’HACCP

La norma ISO 22000, come tutti gli standard, è stata periodicamente monitorata al fine di verificare eventuali cambiamenti o nuove esigenze da parte dei consumatori o degli altri soggetti diversamente coinvolti nella filiera, tali da richiedere eventuali adeguamenti o modifiche. Nel 2014, dunque, è iniziato un percorso di revisione da parte di esperti con la presentazione di una proposta (proposal stage), passato nel 2015 alla fase preparatoria e di elaborazione, a quella successiva (Committee stage) nel 2016 fino alla fase DIS, conclusa alcuni giorni fa, che ha previsto lo svolgimento di una consultazione pubblica sulla bozza di revisione. La pubblicazione della versione revisionata definitiva è attesa per giugno 2018.

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Cosa prevede la revisione?

  • Principalmente, chiarezza e semplificazione espositiva, specificazione delle definizioni dei termini più utilizzati, per consentire una maggiore comprensibilità e fruibilità da parte degli operatori, e modifiche alla propria struttura e formato.
  • Adeguamento alle nuove esigenze e caratteristiche del mercato alimentare, dal punto di vista della domanda e dell’offerta.
  • Vuole fornire un nuovo approccio alla gestione del rischio, in particolare distinguendo il rischio operativo che viene monitorato attraverso l’HACCP e il diverso rischio imprenditoriale, connesso alle strategie e agli obiettivi dell’impresa.
  • Nella nuova versione revisionata sarà seguita la nuova impostazione (High-Level Structure-HLS), ormai riferimento per tutti gli standard di gestione, che consente agli operatori di integrare con più facilità più sistemi di gestione contemporaneamente.

Cosa beviamo veramente quando al bar ordiniamo un bicchiere di succo di frutta? La frutta, in quel bicchiere, c’è davvero? E se davvero c’è, in quale percentuale?

L’impressione, molto spesso e anche senza leggere l’etichetta e senza chiedere informazioni sul prodotto, è che prevalgano acqua e zucchero e di frutta ve ne sia davvero poca.

Eppure, quello rimane “succo di frutta”.

…e se parliamo di succo di arancia?

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Il 24 maggio 2017 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.119 la “Comunicazione del perfezionamento, con esito positivo, della procedura di notifica alla Commissione europea dell’articolo 17 della legge 30 ottobre 2014, n. 161, recante disposizioni in materia di bevande a base di succo di frutta”, mediante comunicato emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
In particolare, la Presidenza del Consiglio dei Ministri rende noto che si è perfezionata con esito positivo la procedura di notifica alla Commissione europea n.2014/0316/I, ai sensi della Direttiva 98/34/CE, relativa al progetto «Disegno di legge europea 2013, secondo semestre (AC 1864 A) – art. 14, concernente: disposizioni in materia di bevande a base di succhi di frutta. Caso EU pilot n. 4738/13/ENTR[1]».

La soluzione del caso, che riguardava appunto la composizione delle bibite analcoliche vendute con il nome di arancia a succo o recanti denominazioni che a tale agrume si richiamino, ha portato all’inserimento dell’art.17 (ex art.14) nella L. n.161/2014 recante Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2013-bis.

Tale art.14, poi diventato l’attuale art.17, prevede dunque che “Le bibite analcoliche di cui all’articolo 4 del Decreto del Presidente della Repubblica 19 maggio 1958, n. 719, e successive modificazioni, prodotte in Italia e vendute con il nome dell’arancia a succo, o recanti denominazioni che a tale agrume si richiamino, devono avere un contenuto di succo di arancia non inferiore a 20 g per 100 cc o dell’equivalente quantità di succo di arancia concentrato o disidratato in polvere, fatte salve quelle destinate alla commercializzazione verso altri Stati dell’Unione europea o verso gli altri Stati contraenti l’Accordo sullo Spazio economico europeo, nonché verso Paesi terzi”.
La stessa comunicazione del 24.05.2017 prevede che l’art. 17, comma 1, sarà applicabile dal 6 marzo 2018, ma le bevande prodotte fino a tale data posso essere commercializzate fino all’esaurimento delle scorte.

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[1] In data 5 marzo 2013 la Commissione europea richiese talune informazioni alle Autorità italiane rilevando che le norme contenute nel D.Legge n.158/2012 erano state introdotte in violazione della procedura di notifica di cui alla Dir. 98/34/UE, considerato che la misura notificata era riferita esclusivamente alle bibite analcoliche con il nome di uno o più frutti e non quelle di fantasia a base di agrumi, introdotte durante l’esame parlamentare del decreto, e che, comunque, non è stata disposta la sospensione di tre mesi dell’efficacia delle norme. Inoltre, rilevava che le restrizioni alla libera circolazione delle merci, in assenza di regole armonizzate a livello europeo, può essere giustificata solo per motivi di interesse pubblico come la tutela della salute in tal caso occorre supportare le argomentazioni a favore dell’introduzione della misura con evidenze scientifiche che, nell’occasione, non sono state prodotte. La normativa fa riferimento al succo naturale, senza più far riferimento alle altre alternative di succo “concentrato”, “liofilizzato” o “sciroppato”, con un’indebita limitazione della materia prima utilizzabile, non riscontrabile nella normativa europea di riferimento (Dir. 2001/112/UE).

Il 31 maggio 2017 è entrata in vigore la Revisione n.4 della Procedura Operativa Standard unificata (POS11) “Rilascio N.O.S./DCE sull’importazione di alimenti di origine non animale”, come da comunicazione del  Ministero della Salute che fornisce indicazioni operative sulle attività da effettuare per i controlli su tali prodotti, compresi gli alimenti dietetici, quelli destinati al consumo particolare e i materiali a contatto con gli alimenti (MOCA). Le tre precedenti revisioni risalgono al 2009, 2010 e 2011.

Il campo di applicazione si estende “ai MOCA e a tutti gli alimenti di origine non animale (come definite dal Reg. CE 178/2002) provenienti da Paesi Terzi e destinati al commercio e/o all’uso personale. Il controllo viene eseguito dagli USMAF-SASN competenti per territorio (Porto, Aeroporto, Punto di confine, Dogana interna)”.

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Inoltre, sempre nel Documento si legge espressamente che scopo della procedura è quello di sottoporre a controllo ufficiale, ai sensi dei Regolamenti (CE) 882/2004, (CE) 669/2009, (CE) 884/2014, e successive modifiche e integrazioni, in maniera uniforme e a tutela della salute pubblica, tutte le partite di alimenti di origine non animale, in arrivo presso i punti di confine del territorio italiano, dove operano gli Uffici di Sanità Marittima, Aerea e di Frontiera strutture periferiche del Ministero della Salute”.

Dopo lo scopo, il campo di applicazione, le definizioni, i riferimenti normativi, il cuore del documento è la vera e propria descrizione della procedura dove vengono riportati i requisiti, i soggetti, e i passaggi pratici per lo svolgimento concreto delle operazioni (sostanzialmente, l’inserimento e lo scambio di informazioni e dati attraverso una piattaforma dedicata a cui possono accedere solo i soggetti autorizzati).

È inoltre specificato che la procedura sarà integrata con specifiche “Istruzioni operative locali” per descrivere nel dettaglio specifiche attività svolte nell’ambito della Funzione interessata la cui compatibilità sarà valutata dalla DGISAN mediante audit interno.

Vengono individuati, e descritti, tre diversi livelli di verifica attraverso i quali svolgere i controlli oggetto della procedura:

1) documentale: l’esame dei documenti commerciali e di ogni altra documentazione, che accompagnano la partita e che ne attestino l’idoneità all’ingresso in territorio nazionale e quindi comunitario, che deve essere rilasciata dall’Autorità sanitaria pubblica competente o da una struttura da questa autorizzata del Paese terzo di provenienza. Nel caso di trasporto via mare, i controlli possono essere effettuati nelle 24 ore antecedenti l’arrivo della nave in porto (Preclearing – sdoganamento in mare).

2) di identità: una verifica mediante ispezione visuale sui documenti di accompagnamento e sui certificati, per assicurare che corrispondano alla partita in esame.

3) materiale: può essere esteso anche ai mezzi di trasporto, agli imballaggi, all’etichettatura e alla temperatura, e può comprendere anche il campionamento a fini di analisi e prove di laboratorio necessari per verificare la conformità alla normativa in materia.

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L’esito dei controlli comporta il rilascio di un atto che, a seconda dei casi, ha diversa entità e significato: NOS (nulla osta sanitario) che attesta la verifica effettuata sulla merce e la possibilità del suo ingresso nel territorio nazionale e quindi comunitario, da utilizzare per i materiali a contatto con alimenti, nonché per gli alimenti di origine non animale solo in caso di vincolo sanitario o di campionamento a scopo di monitoraggio, DCE-NOS (documento comune di entrata a seguito di controllo non accresciuto, così indicato nel sistema informatico dell’Agenzia delle Dogane), DCE (documento comune di entrata a seguito di controllo accresciuto ai sensi di disposizioni comunitarie, provenienti da Paesi Terzi ed in importazione in Italia).

Quali sono le responsabilità?

Il responsabile del procedimento è il Medico di Porto/Aeroporto (Ufficiale sanitario governativo per gli atti di vigilanza in tema di profilassi internazionale e sulle merci, Dirigente Medico di II fascia del Ministero della Salute ovvero Dirigente Medico delle Professionalità Sanitarie del Ministero della Salute); La responsabilità nella gestione della singola pratica, quindi accoglienza dell’utente, ricezione dell’istanza, archiviazione dei dati è del personale tecnico e amministrativo dell’ufficio, a seconda delle rispettive attribuzioni; La responsabilità delle direttive operative, comprensiva dei criteri e delle modalità della programmazione dei prelievi nel rispetto delle percentuali previste, è del Dirigente Medico cui è demandata la direzione dell’Ufficio.

Non è passato molto tempo da quando, in un nostro articolo sul tema, vi abbiamo raccontato dell’importanza delle api e dei pericoli (soprattutto i pesticidi) che ne minacciano la sopravvivenza.

api 1L’attenzione che l’Europa riconosce e rivolge alle api e all’apicoltura, come straordinario esempio di potenzialità e capacità, è stata recentemente confermata da EFSA (da sempre impegnata su tale argomento scientifico), dal gruppo di lavoro Must-B che si occupa della ricerca sui fattori multipli di stress per le api presieduto dal Prof. Simon More veterinario dell’University College di Dublino, che ha pubblicato alcuni giorni fa un rapporto strumentale all’attività di raccolta dei dati per la valutazione dei rischi per le api, ove sono riportati e definiti i requisiti operativi a cui l’attività stessa dovrà attenersi.

In particolare, i ricercatori vogliono giungere alla creazione di un apposito modello di valutazione dei rischi, attualmente in fase di sviluppo, che dovrà appunto essere integrato e completato con l’indicazione specifica del tipo di dati richiesti, delle modalità, durata e criteri per la loro raccolta, prevedendo parametri sulla qualità dei dati ed elementi della colonia da prendere in esame (ad esempio il comportamento delle api stesse e la condizione dei prodotti dell’alveare).

api2Per elaborare questi aspetti verso la redazione di un apposito modello, le ricerche sono state condotte su siti di ricerca posizionati in quattro Stati membri particolarmente rappresentativi delle diverse condizioni climatiche e ambientali dell’Europa, esaminando tre sottospecie di api da miele.

Una cosa è certa: la perdita delle colonie e la moria delle api è spaventosa. Fermare tutto questo è possibile, vogliamo crederlo, e il mondo scientifico continua ad investire tempo e risorse nella raccolta e nello studio approfondito dei dati, e nella condivisione di un modello e metodo di ricerca che consenta di arrivare a risultati sempre più attendibili e così di elaborare strategie vincenti.

 

 

 

Era da tempo sentita l’esigenza di un maggiore controllo delle importazioni di prodotti biologici nel mercato dell’Unione, e di garantirne la tracciabilità al fine, soprattutto, di ridurre le frodi e permettere la circolazione e la vendita di prodotti sicuri e realmente derivati da un’agricoltura che esclude l’utilizzo di sostanze chimiche e segue determinati principi e criteri rispettosi dell’ambiente, degli animali, delle piante. Biologico è il metodo, ma anche il prodotto che ne deriva, e ne avevamo già parlato.

traces 2Nel 2012, la Corte dei conti dell’UE aveva emanato ben 6 Raccomandazioni in materia di sistemi di controllo sulla produzione, trasformazione, distribuzione e importazione di prodotti organici[1], evidenziando nella propria relazione numerose carenze degli Stati membri e rilevando la necessità di implementare in più modi l’attività di monitoraggio.

Con tali Raccomandazioni, seguite dalle risposte della Commissione che accoglieva quanto rilevato dalla Corte e appoggiando le iniziative assegnate agli Stati membri, si richiamava il dovere di incrementare e rafforzare il controllo dei prodotti di importazione anche a livello di rispondenza tra quanto certificato e la qualità dei prodotti medesimi, e così poter migliorarne la tracciabilità riducendo il rischio di frode.

Dal 19 aprile di quest’anno è attivo un nuovo sistema di emissione di certificazione elettronica per l’importazione dei prodotti biologici, che potrà convivere con il vecchio sistema cartaceo fino al 19 ottobre 2017 per poi divenire l’unico sistema utilizzabile, in seguito all’applicazione del Reg. esec. N.1842/2016[2] e alle modifiche apportate ai precedenti regolamenti n.1235/2008 e n.889/2008.traces 1

Tale nuovo sistema elettronico di certificazione prevede l’inserimento dei dati nella piattaforma TRACES (TRAde Control and Expert System) già in funzione per le certificazioni riguardanti le importazioni dei prodotti animali, ove i soggetti abilitati potranno, previa registrazione, elaborare, emettere, validare certificati, che risulta accessibile ed attiva in ogni momento, in 35 lingue, gratuitamente. Attraverso l’inserimento dei dati (operatore, prodotto, documenti, destinazione…), sarà possibile seguire il percorso dei prodotti migliorando la tracciabilità e ciò consentirà anche una riduzione di tempi e costi per la gestione amministrativa delle operazioni.

 

[1] Audit of the control system governing the production, processing, distribution and import of organic products, in Special Report No.9/2012.

[2] Trattasi del Regolamento di esecuzione (UE) 2016/1842 della Commissione del 14 ottobre 2016 che modifica il regolamento (CE) n. 1235/2008 per quanto riguarda i certificati di ispezione elettronici per i prodotti biologici importati e taluni altri elementi, e il regolamento (CE) n. 889/2008 per quanto riguarda i requisiti per i prodotti biologici conservati o trasformati e la trasmissione delle informazioni.

La nutrizione degli animali da allevamento, a loro volta utilizzati per la produzione di alimenti per l’uomo ed anche loro stessi oggetto in quanto tali dell’alimentazione umana, è costituita dai mangimi.

Ed è importante che sia assicurato un alto livello di sicurezza dei mangimi in più direzioni:per la salute degli animali che li assumono, per la salute dei consumatori che assumono i prodotti ottenuti da quegli animali, e per l’ambiente coinvolto dall’allevamento e dall’agricoltura.

mangimi 1La sicurezza dei mangimi, poi ed inevitabilmente, finisce per integrarsi e condizionare la sicurezza alimentare, spesso minata proprio da prodotti alimentari di origine animale[1].

Ecco quindi che anche a livello normativo il settore dei mangimi ha numerose correlazioni con disposizioni dedicate alla sicurezza alimentare come il Reg. CE n.882/2004 sui controlli ufficiali e il Reg. CE n.178/2002 che per espressa sua previsione si applica non solo ai prodotti e alle sostanze destinati all’alimentazione umana ma anche a quelli che servono per la “nutrizione per via orale degli animali” (art.3, n.4) i cui principi e dettami generali riguardano gli alimenti ma anche i mangimi (art.1), laddove prevede che “non possono essere immessi sul mercato né essere somministrati a un animale destinato alla produzione alimentare” i mangimi considerati a rischio, ovvero quelli che “hanno un difetto nocivo per la salute umana o animale” o che “rendono a rischio, per il consumo umano, l’alimento ottenuto dall’animale destinato alla produzione alimentare” (art.15).

La più recente e completa disciplina del settore mangimistico[2], a livello europeo, è contenuta nel Reg. CE n.767/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, sull’immissione sul mercato e sull’uso dei mangimi, che modifica il regolamento (CE) n. 1831/2003 e che abroga le direttive 79/373/CEE del Consiglio, 80/511/CEE della Commissione, 82/471/CEE del Consiglio, 83/228/CEE del Consiglio, 93/74/CEE del Consiglio, 93/113/CE del Consiglio e 96/25/CE del Consiglio e la decisione 2004/217/CE della Commissione che detta le principali disposizioni sui requisiti di immissione sul mercato e di uso, di sicurezza, di responsabilità e obblighi, di etichettatura, presentazione e imballaggio, per animali destinati e non destinati alla produzione di alimenti (secondo lo stesso Reg. CE n.767/2009, animale destinato alla produzione di alimenti è “qualsivoglia animale nutrito, allevato o detenuto per la produzione di alimenti destinati al consumo umano, ivi inclusi animali che non sono destinati al consumo umano, ma appartengono alle specie che possono essere normalmente destinate al consumo umano nella Comunità” e animali non destinati alla produzione di alimenti sono “qualsivoglia animale nutrito, allevato o detenuto, ma non destinato al consumo umano, ad esempio animali da pelliccia, animali da compagnia e animali detenuti in laboratori, giardini zoologici o circhi”). Insieme ai suoi 9 Allegati, contenenti schede tecniche e tavole tematiche con informazioni dettagliate, e in conformità ai principi generali del Reg. CE n.178/2002, il Regolamento in questione ha anche disciplinato aspetti specifici e ulteriori, prevedendo particolari obblighi e responsabilità per i soggetti a diversi titolo coinvolti nelle operazioni e attività del settore dei mangimi.

mangimi 3Ad esempio, richiama i requisiti di sicurezza generali previsti dall’art. 15 del Reg. CE n.178/2002, ma all’art.4 aggiunge che gli operatori del settore dei mangimi[3] devono garantire che i mangimi stessi siano sani, genuini, di qualità leale, adatti all’impiego previsto e di natura commerciabile” ed anche “etichettati, imballati e presentati conformemente alle disposizioni del presente regolamento e alla legislazione comunitaria in vigore” e conformi alle disposizioni tecniche sulle impurità e su altri determinanti chimici, e non devono contenere nè essere costituiti da materiali soggetti a restrizioni o divieti.

Inoltre, il soggetto responsabile dell’etichettatura deve consentire all’autorità di accertare la corrispondenza tra il prodotto e quanto dichiarato in etichetta, dando tutte le informazioni inerenti la composizione e le proprietà dei mangimi immessi sul mercato.

L’operatore del settore dei mangimi che immette per primo un mangime sul mercato o, se del caso, l’operatore del settore dei mangimi il cui nome o la cui ragione sociale sono utilizzati per la commercializzazione del mangime” è tenuto a garantire la presenza e l’esattezza delle indicazioni dell’etichettatura (art.12) e contribuisce in tal modo a garantire la tracciabilità del prodotto secondo quanto richiesto, per il settore alimentare ed anche per la mangimistica, dal Reg. CE n.178/2002.

L’art. 13 disciplina l’utilizzo di “allegazioni”, ovvero di indicazioni e diciture non obbligatorie ma spesso usate per fini promozionali con cui si risaltano alcune qualità o proprietà del prodotto (in merito ai prodotti alimentari, la disciplina dei claims salutistici e nutrizionali è data dal Reg. CE n.1924/2006) per richiamare l’attenzione dell’acquirente “in particolare, sulla presenza o sull’assenza di una data sostanza nei mangimi, su una specifica caratteristica nutrizionale o processo o su una funzione specifica correlata con uno di questi aspetti, purché siano rispettate le seguenti condizioni: a) l’allegazione è oggettiva, verificabile dalle autorità competenti e comprensibile per l’utilizzatore dei mangimi; e b) la persona responsabile dell’etichettatura fornisce, su richiesta dell’autorità competente, una prova scientifica dell’allegazione, mediante riferimento ai dati scientifici pubblicamente accessibili o a ricerche documentate effettuate dalla società”.

Fatta una brevissima ma necessaria premessa sul quadro normativo, vediamo qual è la novità del momento, ovvero l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n.26 Disciplina sanzionatoria per le violazioni delle disposizioni di cui al regolamento (CE) n. 767/2009 del 13 luglio 2009 sull’immissione sul mercato e sull’uso dei mangimi, che stabilisce le specifiche sanzioni amministrative pecuniarie relative alle diverse violazioni del Reg. CE n.767/2009, oltre alle sanzioni accessorie applicabili per alcune ipotesi di reiterazione e salvo che il fatto costituisca reato.

mangimi 2Ad esempio, particolarmente severe sono le sanzioni previste in caso di violazioni riguardanti restrizioni e divieti, qualora l’operatore del settore dei mangimi abbia violato l’art.6 del Reg. CE n.767/2009 “immettendo in commercio o utilizzando ai fini dell’alimentazione animale materiali soggetti a restrizioni o vietati contenuti nell’allegato III”, e per le quali è previsto il pagamento della somma da euro 5.000 a euro 30.000 (art.5).

Oppure, in caso di violazione delle prescrizioni in materia di sicurezza e commercializzazione imposte dall’art.4 del Regolamento, è prevista una sanzione pecuniaria da euro 1.500 a euro 15.000 se l’operatore ha immesso sul mercato mangimi non sicuri o aventi effetti nocivi e una sanzione da euro 1.000 a euro 6.000 se ha immesso sul mercato mangimi senza garantire che fossero sani, genuini, di qualità leale, adatti all’impiego previsto, di natura non commerciabile.

Vi sono sanzioni specifiche per i casi di violazione del principio di non induzione in errore, ovvero il pagamento di una somma da euro 3.000 a euro 12.000 (art.8), e per i casi di violazione da parte dell’operatore dell’obbligo sancito dall’art.12, 5, di provvedere a che “le indicazioni obbligatorie in etichetta siano trasmesse lungo l’intera filiera alimentare, affinché l’utilizzatore finale del mangime possa disporre delle necessarie informazioni” (art.9) con il pagamento di una somma da euro 500 a euro 3.000). Ancora, per il responsabile dell’etichettatura che viola le prescrizioni sulle allegazioni (claims) è stabilita una sanzione pecuniaria da euro 1.000 a euro 6.000 (se utilizza le allegazioni in maniera non conforme all’art.13, 1) e da euro 2.000 a euro 12.000 (se utilizza allegazioni secondo le quali quei mangimi prevengono o curano una malattia o hanno particolari fini nutrizionali ma non sono compresi nell’apposito elenco).

E la competenza?

L’accertamento e l’irrogazione delle sanzioni spettano alle strutture ministeriali (Ministero della salute, Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, Ministero dello sviluppo economico) oltre alle regioni, le province autonome,  e le Aziende unità sanitarie locali.

[1] Negli anni 2000, i casi di encefalopatia spongiforme bovina e il legame accertato tra la carne infetta del bestiame e la malattia di Creutzfeldt-Jacob dell’uomo, collegata alle farine di carne e ossa di mammiferi presenti nei mangimi degli animali da allevamento che furono successivamente vietate in tutta l’Unione europea.

[2] Riteniamo utile ricordare la Legge n.281/1963 sulla preparazione e commercio dei mangimi, il D. Lgs. n.149/2004 sulle sostanze indesiderabili nei mangimi e il D.P.R. n.433/2001 specifico sugli additivi (attuativi di alcune direttive europee), i Reg. CE n.1829 e n.1830/2003 sui mangimi geneticamente modificati, il Reg. CE n.1831/2003 ancora sugli additivi. Inoltre, in materia di igiene, il Reg. CE n.183/2005 prevede obblighi generali per gli operatori del settore dei mangimi, come quello di assicurare lungo tutto il processo produttivo il rispetto della normativa europea, di quella nazionale e della corretta prassi (art.4) e obblighi specifici per le operazioni correlate di trasporto, stoccaggio, manipolazione e miscelazione (art.5), e individua un sistema di autocontrollo HACCP (art.6).

[3] L’art. 3 dello stesso Reg. CE n.767/2009 individua l’operatore del settore dei mangimi nella “persona fisica o giuridica responsabile del rispetto delle disposizioni del presente regolamento nell’impresa nel settore dei mangimi posta sotto il suo controllo”.

Avete mai pensato come sarebbe andare a cena a casa di “qualcuno”, magari in una città diversa dalla vostra, durante una vacanza o un viaggio di lavoro, lasciando perdere ristoranti e bistrot noti e meno noti e affidandovi agli ingredienti e alle pentole di un cuoco occasionale, selezionato sul web? Sapete che questa possibilità c’è, e che bastano alcuni click e un po’ di curiosità per decidere di varcare la soglia di casa di “qualcuno” e ritrovarsi a cenare nel suo salotto scegliendo tra le pietanze da lui offerte e preparate?

Tutto questo si chiama Home Restaurant, e quel “qualcuno” è la persona fisica che per l’occasione trasforma la propria abitazione privata in ristorante e, diventando cuoco per quel momento e per svolgere un’attività di impresa che resta saltuaria, si mette ai fornelli per voi offrendovi un evento enogastronomico.home rest 1

L’attività di ristorazione in abitazione privata rientra nell’ambito della sharing economy (economia della condivisione) caldeggiata dalla Commissione Europea che sembra essere in forte espansione anche in Italia[1], soprattutto tra i giovani e chi cerca un nuovo modo di proporre e diffondere la cultura enogastronomica italiana nel contempo individuando anche nuove fonti di reddito, alternative alla ristorazione tradizionale presso i pubblici esercizi.

Esiste una regolamentazione dell’attività di Home Restaurant?

Recentemente, a gennaio di quest’anno, è stato approvato dalla Camera il Disegno di Legge AS n.2647 a seguito della riunione in un testo unificato delle precedenti versioni proposte a partire dal 2015 (disegni di legge A.C. n.3258, 3337, 3725, 3807), che nei suoi 7 articoli intende fornire una disciplina completa con definizioni, requisiti, condizioni, e limiti per regolare aspetti fondamentali sul piano della concorrenza, della fiscalità e della salute pubblica. Sono seguiti un parere dell’AGCM e, pochi giorni fa, una comunicazione del Viceministro Bellanova.

home rest2Innanzitutto, però, vediamo i punti principali del DDL:

Utilizzo di piattaforme digitali

Tutto viene gestito e comunicato attraverso piattaforme digitali dove si incontrano domanda e offerta e dove avvengono le prenotazioni e i pagamenti, esclusivamente in formato elettronico, escludendo prenotazioni telefoniche e pagamenti in contanti (art.2 a) e art.3, 3).

Soggetti

I soggetti coinvolti nell’attività in questione, definiti dall’art.2, con diverse responsabilità e requisiti e competenze, sono il gestore (gestisce la piattaforma digitale finalizzata all’organizzazione

di eventi enogastronomici), l’utente operatore cuoco (attraverso la piattaforma digitale svolge l’attività di home restaurant e concretamente offre e prepara i pasti) e l’utente fruitore (attraverso la piattaforma digitale utilizza il servizio di home restaurant condiviso dall’utente operatore cuoco e concretamente sceglie/prenota il pasto).

Obblighi

Il gestore deve adempiere agli obblighi stabiliti dall’art.3, ad esempio “garantire che le informazioni relative alle attività degli utenti, iscritti alle piattaforme digitali di home restaurant, siano tracciate e conservate, nel rispetto delle vigenti disposizioni in materia di trattamento dei dati personali” ed anche verificare “che gli utenti operatori cuochi siano coperti da polizze assicurative per la copertura dei rischi derivanti dall’attività di home restaurant e verifica che l’unità immobiliare ad uso abitativo sia coperta da apposita polizza che assicuri per la responsabilità civile verso terzi” ed ancora verificare “che gli utenti operatori cuochi siano in possesso dei requisiti di cui alla presente legge”.

Gli utenti operatori cuochi, invece, devono avvalersi “esclusivamente della propria organizzazione familiare e utilizzano parte di una unità immobiliare ad uso abitativo che deve possedere i requisiti di cui all’articolo 5” ovvero le caratteristiche di abitabilità e di igiene previsti dalla normativa vigente per gli immobili destinati ad uso abitativo.

Ancora, gli operatori cuochi “devono essere in possesso dei requisiti di onorabilità di cui all’articolo 71, commi 1 e 2, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59[2]”.

Limiti

Nel disegno di legge vengono espressamente indicati dei limiti quantitativi oltre i quali l’attività di home restaurant non può andare, in particolare l’art. 4, 4 prevede il limite di 500 coperti per anno solare (relativi all’operatore cuoco e all’unità immobiliare) e 5.000 € di proventi annui.

Igiene

Non sono previsti obblighi e adempimenti specifici in materia di controlli sanitari né per l’adozione di sistemi di HACCP, ma l’art.4, 6 subordina l’esercizio dell’attività al rispetto “delle buone pratiche di lavorazione e di igiene nonché delle misure dirette a contrastare il fenomeno dell’alcolismo”, che saranno determinate, insieme alle modalità di controllo, con Decreto interministeriale.

Esclusione

Il possesso delle polizze assicurative per i rischi verso terzi non è richiesto quando si tratta di attività di social eating, ovvero attività che organizza meno di 5 eventi enogastronomici e meno di 50 pasti totali in un anno solare e l’unità abitativa privata che li ospita viene utilizzata per meno di cinque volte. Nella medesima ipotesi, non è necessario che il gestore comunichi al Comune le unità immobiliari registrate nella piattaforma, e non sono necessari i requisiti di buone pratiche di lavorazione e di igiene.

Sanzioni

In caso di mancanza dei requisiti previsti dal disegno di legge si ha il divieto di prosecuzione dell’attività e l’applicazione della sanzione amministrativa definita dall’art.10, 1, Legge n.287/1991 sull’Aggiornamento della normativa sull’insediamento e sull’attivita’ dei pubblici esercizi[3].

Troppe limitazioni, troppe condizioni, troppi vincoli? Tutto questo, secondo alcuni, rischia di essere un freno alla sharing economy e di disincentivare e rendere eccessivamente difficoltosa l’apertura di nuovi home restaurant anziché accompagnare le iniziative e le aspettative di chi vede in questa forma di impresa, pur saltuaria e occasionale, uno strumento di produzione di reddito e, a livello culturale, di diffusione dei valori e prodotti agroalimentari del nostro Paese (il sito www.HomeRestaurant.com conta circa 8.500 iscrizioni di utenti interessati ad iniziare un’attività di Home Restaurant in Italia).

Nel mese di novembre 2016, Home Restaurant.com ha rivolto all’AGCOM la richiesta di parere e indirizzo sulla proposta di legge presentata poco prima, sollevando dubbi soprattutto sull’obbligo di effettuare e ricevere pagamenti solamente in forma elettronica e sul divieto di svolgere attività di ristorazione privata in abitazioni in cui sono esercitate attività turistico-ricettive in forma non imprenditoriale, visti come palese violazione dei principi di libera e leale concorrenza.

L’Autorità ha risposto con un parere pubblicato il 7 aprile, sostanzialmente accogliendo le critiche mosse verso la proposta di legge e ritenendo effettivamente che il DDL A.S. n.2647 pone dei vincoli e degli obblighi restrittivi e discriminatori per l’attività di home restaurant, che non appaiono giustificati, finendo per limitare indebitamente una modalità emergente di offerta alternativa al servizio di ristorazione tradizionale.

Di diversa opinione, invece, il Viceministro Bellanova che nella comunicazione dello scorso 4 maggio cerca di dare delle risposte e delle motivazioni ai rilievi avanzati da Home Restaurant.com, in particolare sostenendo che “la circostanza che l’attività in questione possa essere svolta solo tramite piattaforma digitale risulterebbe giustificata dalla necessità di individuare regole minime per l’esercizio di un’attività”… “che attualmente, in assenza di un regime normativo, sta  determinando problematicità con gli esercenti l’attività di somministrazione di alimenti e bevande, sottoposta invece ad una dettagliata disciplina normativa”. Per quanto riguarda il contestato limite dei 5.000 euro per anno (ma analoga considerazione vale per il limite dei coperti), esso è ritenuto necessario per poter “consentire la corretta individuazione dell’attività soggetta alle disposizione del provvedimento”, che disciplina un’attività svolta in modo non professionale che appunto è ammissibile fino alla soglia monetaria indicata.

Ancora, il divieto di svolgere tale attività nelle abitazioni già adibite ad attività turistico-ricettive è motivato considerando che l’home restaurant dovrebbe essere una modalità per poter accedere a forme di reddito limitate, e quindi non sarebbe coerente con questo obiettivo poterla integrare con altre attività “che già garantiscono possibilità di percepire introiti, seppure anche in questo caso, limitati”.home rest 3

Occorrerà attendere la conclusione dell’iter normativo per esaminare la versione definitiva della Legge, ma auspichiamo che possa davvero diventare uno strumento per regolamentare in maniera attiva e incentivante una nuova frontiera della ristorazione, che probabilmente non potrà mai intralciare i grandi affari della ristorazione nei pubblici esercizi, ma che sicuramente potrebbe contribuire un pochino al reddito degli aspiranti operatori cuochi dotati di spirito di iniziativa.

 

[1] Le piattaforme più utilizzate e conosciute in Italia che offrono questo servizio sono Gnammo, Vizeat, Eatwith, che operano in un mercato in espansione ma attualmente di dimensioni ridotte, con un giro di affari comunque contenuto e non in grado, secondo gli stessi gestori, di competere con i pubblici esercizi della ristorazione.

[2] Art. 71 (Requisiti di accesso e di esercizio delle attività commerciali)1. Non possono esercitare l’attività commerciale dì vendita e di somministrazione:     a) coloro che sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, salvo che abbiano ottenuto la riabilitazione;     b) coloro che hanno riportato una condanna, con sentenza passata in giudicato, per delitto non colposo, per il quale e’ prevista una pena detentiva non inferiore nel minimo a tre anni, sempre che sia stata applicata, in concreto, una pena superiore al minimo edittale;     c) coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una condanna a pena detentiva per uno dei delitti di cui al libro II, Titolo VIII, capo II del codice penale, ovvero per ricettazione, riciclaggio, insolvenza fraudolenta, bancarotta fraudolenta, usura, rapina, delitti contro la persona commessi con violenza, estorsione;     d) coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una condanna per reati contro l’igiene e la sanità pubblica, compresi i delitti di cui al libro II, Titolo VI, capo II del codice penale;     e) coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, due o più condanne, nel quinquennio precedente all’inizio dell’esercizio dell’attività, per delitti di frode nella preparazione e nel commercio degli alimenti previsti da leggi speciali;     f) coloro che sono sottoposti a una delle misure di prevenzione di cui alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, o nei cui confronti sia stata applicata una delle misure previste dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, ovvero a misure di sicurezza non detentive; 2. Non possono esercitare l’attività di somministrazione di alimenti e bevande coloro che si trovano nelle condizioni di cui al comma 1, o hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una condanna per reati contro la moralità pubblica e il buon costume, per delitti commessi in stato di ubriachezza o in stato di intossicazione da stupefacenti; per reati concernenti la prevenzione dell’alcolismo, le sostanze stupefacenti o psicotrope, il gioco d’azzardo, le scommesse clandestine, per infrazioni alle norme sui giochi.

[3]Art. 10 – Sanzioni 1. A chiunque eserciti l’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande senza l’autorizzazione di cui all’art. 3, ovvero quando questa sia stata revocata o sospesa, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire un milione a lire sei milioni. 2. Alla stessa sanzione sono soggette le violazioni alle disposizioni della presente legge, ad eccezione di quelle relative alle disposizioni dell’articolo 8 per le quali si applica la sanzione amministrativa da lire trecentomila a lire due milioni 3. Nelle ipotesi previste dai commi 1 e 2, si applicano le disposizioni di cui agli articoli 17 – ter e 17 – quater del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773. 4. L’ufficio provinciale dell’industria, del commercio e dell’artigianto riceve il rapporto di cui all’art. 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e applica le sanzioni amministrative. 5. Per il mancato rispetto dei turni stabiliti ai sensi dell’articolo 8, comma 5, il sindaco dispone la sospensione dell’autorizzazione di cui all’articolo 3 per un periodo non inferiore a dieci giorni e non superiore a venti giorni, che ha inizio dal termine del turno non osservato.

 

È passata ormai qualche settimana dalla conclusione di Vinitaly 2017, ma non vi abbiamo ancora raccontato della nostra visita alla 51esima edizione dell’evento vinicolo più atteso dell’anno!

Anche questa volta, come l’anno scorso, partenza all’alba per arrivare presto e non perderci nulla di questa splendida giornata interamente dedicata ai sapori e ai colori del vino e alle migliori produzioni italiane e internazionali, elegantemente e sapientemente esposte nei numerosi stand ed angoli tematici.

vinitaly 1Come sempre, Vinitaly accoglie tra i suoi stand i grandi produttori affermati anche all’estero, quelli più giovani che vogliono farsi conoscere o lanciare nuove idee, la stampa e l’editoria di settore, consulenti e tecnici, e offre angoli e momenti dedicati alle degustazioni presentate dai migliori sommelier.

Poca la fila all’ingresso, molte le persone incontrate durante la nostra visita.

Appena varcati i tornelli della Fiera abbiamo percepito, anche questa volta, il fermento, la vitalità e l’attenzione che il vino riesce ad attrarre intorno a sé, da parte ormai di fasce di età che si sono estese e comprendono anche i giovani che sempre più spesso, attraverso studi mirati e acquisizione di competenze specifiche, finiscono per trasformare la loro passione in attività lavorativa.

Basta ricordare la recente emanazione del Testo Unico del Vino per capire come, parallelamente al rapido e costante sviluppo (economico, ma non solo) del vitivinicolo, anche a livello normativo erano necessarie importanti riforme per rendere più semplice e corretta la conoscenza e l’applicazione delle regole del vino.

Il ministro Martina, nella giornata di inaugurazione, aveva riconosciuto l’importanza di Vinitaly che non è più solamente un’esposizione internazionale ma occasione ormai consolidata di confronti, discussioni, e proposte orientati al futuro del vino e dell’agricoltura in un’ottica “di internazionalizzazione dei mercati, di innovazione e di crescita della qualità”.

Veronafiere ha organizzato anche una tavola rotonda sul vino nella Grande Distribuzione, per analizzare i gusti e le abitudini dei consumatori che nel 2016 hanno acquistato sugli scaffali 500 milioni di litri, per 1 miliardo e mezzo di euro. In aumento l’acquisto di vini legati al territorio e alla qualità con una crescita del + 2,7% nel corso dell’anno di Docg, Doc, Igt. Cambia anche il modo di informarsi e di scegliere il vino, grazie anche alla navigazione sul web sui siti specializzati (in aumento) e all’attenzione ad evitare frodi e contraffazioni.

I consumatori restano affezionati alla bottiglia da 75cl,  a discapito di brik e damigiane, e cresce la ricerca e l’acquisto di vini biologici sebbene nei supermercati l’offerta sia ancora poca. Ed anche in Fiera è stato dato ampio spazio al biologico con il salone Vinitalybio (in collaborazione con FederBio) che offriva degustazioni e incontri con gli interessati per consentire ai produttori di promuovere il proprio prodotto e di presentare le proprie realtà.

vinitaly 2Concludiamo, inevitabilmente, ricordando i numeri riportati sullo stesso sito web dell’organizzazione, che a ben vedere solo numeri non sono ma confermano quanto detto in premesse e quanto abbiamo colto dalla presenza in Fiera:

128mila presenze da 142 nazioni. Presenti complessivamente 4.270 aziende espositrici da 30 paesi, aumentate nel complesso del 4%, in particolare quelle estere, del 74%.

Operatori esteri in crescita rispetto al 2016 da Stati Uniti (+6%), Germania (+3%), Regno Unito (+4%), Cina (+12%), Russia (+42%), Giappone (+2%), Paesi del Nord Europa (+2%), Olanda e Belgio (+6%) e Brasile (+29%). Debuttano quest’anno i buyer da Panama e Senegal.

Non solo stand espositivi, non solo vini da guardare e degustare (250 le degustazioni nei quattro giorni di evento), ma anche convegni, seminari, incontri di formazione.

Il rientro a Padova, anche quest’anno, portava con noi uno sguardo entusiasta e fiducioso al futuro, rivolto a nuovi progetti e a nuove idee…

…siamo già al lavoro!

 

 

 

 

 

Da oggi, 19 aprile 2017, tutte le confezioni di latte e di prodotti lattiero-caseari devono riportare in etichetta l’indicazione di origine del latte, come prodotto in quanto tale o come ingrediente.

latte2Entra infatti in vigore il Decreto Ministeriale 9 dicembre 2016 “Indicazione dell’origine in etichetta della materia prima per il latte e i prodotti lattieri caseari, in attuazione del regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori” che si applica a tutti i tipi di latte ed ai prodotti lattiero-caseari elencati nell’All.1, preimballati ai sensi dell’art. 2 del Reg. UE n.1169/2011[1], destinati al consumo umano.

Precisamente, tali prodotti sono:

  • Latte (vaccino, bufalino, ovi-caprino, d’asina e di altra origine animale)
  • Latte e crema di latte, non concentrati né addizionati con zuccheri o altri edulcoranti.
  • Latte e crema di latte, concentrati o con aggiunta di zuccheri o di altri edulcoranti.
  • Latticello, latte e crema coagulata, yogurt, kefir ed altri tipi di latte e creme fermentate o acidificate, sia concentrate che addizionate di zucchero o di altri edulcoranti aromatizzate o con l’aggiunta di frutta o di cacao.
  • Siero di latte, anche concentrato o addizionato di zucchero o di altri edulcoranti; prodotti costituiti di componenti naturali del latte, anche addizionati di zucchero o di altri edulcoranti, non nominati nè compresi altrove.
  • Burro e altre materie grasse provenienti dal latte; creme lattiere spalmabili. Formaggi, latticini e cagliate.
  • Latte sterilizzato a lunga conservazione.
  • Latte UHT a lunga conservazione.

Restano esclusi dall’ambito di applicazione del Decreto Ministeriale, e continuano ad essere disciplinati dalla relativa normativa previgente, i prodotti DOP e IGP (Reg. UE n.1151/2012), i prodotti biologici (Reg. CE n.834/2007) e il latte fresco Decreto interministeriale 27 maggio 2004). L’art.2 del D.M. prevede l’utilizzo delle seguenti diciture:  «Paese di mungitura» (Paese nel quale il latte è stato munto) e «Paese di condizionamento o di trasformazione» (Paese nel quale il latte è stato condizionato o trasformato) ma nel caso in cui il latte, di per sé o usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari, sia stato munto, condizionato o trasformato nello stesso Paese, è possibile usare la dicitura «origine del latte»: nome del Paese. Il seguente art.3 riguarda invece i casi di mungitura, condizionamento o trasformazione nel territorio di più Paesi membri, per cui possono essere utilizzate le seguenti diciture: «latte di Paesi UE» per l’operazione di mungitura, «latte condizionato o trasformato in Paesi UE» per l’operazione di condizionamento o di trasformazione. Se, invece, dette operazioni avvengono nel territorio di più Paesi extra UE, possono essere utilizzate le seguenti diciture: «latte di Paesi non UE» per l’operazione di mungitura, «latte condizionato o trasformato in Paesi non UE» per l’operazione di condizionamento o di trasformazione.
latte3Dubbi interpretativi sull’applicazione della nuova norma?

Ci pensa la Circolare Ministeriale 24 febbraio 2017 contenente le disposizioni applicative del Decreto Ministeriale 9 dicembre 2016, che contribuisce a chiarire alcuni punti e definizioni. Ad esempio, precisa che i prodotti contemplati sono solo quelli preimballati e quindi vengono esclusi i prodotti venduti sfusi, i prodotti imballati nei luoghi di vendita su richiesta del consumatore o preimballati per la vendita diretta, i prodotti non destinati al consumatore finale in quanto destinati ad altri soggetti per essere sottoposti ad ulteriori lavorazioni. Inoltre, precisa che per «paese di mungitura» del latte si intende il luogo dove il latte è stato munto; per «paese di condizionamento» del latte si intende il luogo dove è avvenuto l’ultimo trattamento termico del latte a lunga conservazione, o del latte UHT;- per «paese di trasformazione» si intende il paese d’origine dell’alimento secondo il Codice Doganale dell’Unione[2]. Ancora, la Circolare specifica che la dicitura «latte di Paesi UE» o «latte di Paesi non UE», può essere utilizzata anche se la singola confezione di latte contenga non una selezione di latti, ma latte avente origine di volta in volta da un solo Paese UE o da un solo Paese non UE, a condizione che l’approvvigionamento del latte da parte della medesima impresa provenga abitualmente da diversi Paesi UE o diversi Paesi non UE.

L’art. 4 del Decreto Ministeriale rubricato Disposizioni per favorire una migliore informazione dei consumatori recita espressamente “1. Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, nell’ambito delle attività previste a legislazione vigente, può definire apposite campagne di promozione dei sistemi di etichettatura previsti dal presente decreto. 2. Le indicazioni sull’origine di cui agli articoli 2 e 3 devono essere indelebili e riportate in etichetta in modo da essere visibili e facilmente leggibili. Esse non devono essere in nessun modo nascoste, oscurate, limitate o separate da altre indicazioni scritte o grafiche o da altri elementi suscettibili di interferire”. In applicazione della citata norma, sono stati emanati il Decreto 28 marzo 2017, n. 990 e il Decreto 31 marzo 2017, n. 1076 che forniscono istruzioni circa le modalità con cui devono essere apposte le indicazioni dell’origine del latte, in un punto evidente e nel medesimo campo visivo, in modo da risultare facilmente visibili e chiaramente leggibili.laatte

[1] Secondo la definizione fornita dalla norma richiamata, per alimento preimballato si intende “l’unità di vendita destinata a essere presentata come tale al consumatore finale e alle collettività, costituita da un alimento e all’imballaggio in cui è stato confezionato prima di essere messo in vendita, avvolta interamente o in parte da tale imballaggio, ma comunque in modo tale che il contenuto non possa essere alterato senza aprire o cambiare l’imballaggio; «alimento preimballato» non comprende gli alimenti imballati nei luoghi di vendita su richiesta del consumatore o preimballati per la vendita diretta”.

[2] Si deve fare riferimento alla definizione data dall’art. 60, par. 2 del Reg. UE n. 952/2013, codice doganale dell’Unione: “il paese dove è avvenuta «l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione”.

Il Regolamento (UE) n. 625 del 15 marzo 2017 relativo ai controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari, recante modifica dei regolamenti (CE) n. 999/2001, (CE) n. 396/2005, (CE) n. 1069/2009, (CE) n. 1107/2009, (UE) n. 1151/2012, (UE) n. 652/2014, (UE) 2016/429 e (UE) 2016/2031 del Parlamento europeo e del Consiglio, dei regolamenti (CE) n. 1/2005 e (CE) n. 1099/2009 del Consiglio e delle direttive 98/58/CE, 1999/74/CE, 2007/43/CE, 2008/119/CE e 2008/120/CE del Consiglio, e che abroga i regolamenti (CE) n. 854/2004 e (CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 89/608/CEE, 89/662/CEE, 90/425/CEE, 91/496/CEE, 96/23/CE, 96/93/CE e 97/78/CE del Consiglio e la decisione 92/438/CEE del Consiglio è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’UE il 7 aprile scorso.controlli ufficiali 2

Si tratta di una norma molto corposa, composta di ben 167 articoli e cinque Allegati altrettanto densi di nozioni e dettagli tecnici, che va a modificare ed abrogare numerosi Regolamenti e Direttive al fine di dare una disciplina uniforme sui controlli e sulle altre attività ufficiali, e consentire la corretta applicazione della normativa correlata. Per altre attività ufficiali devono intendersi, secondo la definizione data dall’art.2, attività, diverse dai controlli ufficiali, che sono effettuate dalle autorità competenti, o dagli organismi delegati o dalle persone fisiche cui sono state delegate alcune altre attività ufficiali a norma del presente regolamento e della normativa di cui all’articolo 1, paragrafo 2, incluse le attività tese ad accertare la presenza di malattie animali o di organismi nocivi per le piante, a prevenire o contenere la diffusione di tali malattie animali od organismi nocivi per le piante, a eradicare tali malattie animali od organismi nocivi per le piante, a rilasciare autorizzazioni o approvazioni e a rilasciare certificati ufficiali o attestati ufficiali”.

Innanzitutto, l’art.1 ci dice chiaramente che il “Regolamento sui controlli ufficiali” ha ad oggetto:“a) l’esecuzione dei controlli ufficiali e delle altre attività ufficiali effettuate dalle autorità competenti degli Stati membri; b) il finanziamento dei controlli ufficiali;c) l’assistenza amministrativa e la collaborazione tra gli Stati membri ai fini della corretta applicazione delle norme di cui al paragrafo 2;d) l’esecuzione dei controlli da parte della Commissione negli Stati membri e nei paesi terzi;e) l’adozione delle condizioni che devono essere soddisfatte in relazione a animali e merci che entrano nell’Unione da un paese terzo; f) l’istituzione di un sistema informatico per il trattamento delle informazioni e dei dati relativi ai controlli ufficiali”.

Inoltre, l’ambito di applicazione è circoscritto ai controlli ufficiali effettuati nei settori relativi a: “a) gli alimenti e la sicurezza alimentare, l’integrità e la salubrità, in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione di alimenti, comprese le norme volte a garantire pratiche commerciali leali e a tutelare gli interessi e l’informazione dei consumatori, la fabbricazione e l’uso di materiali e oggetti destinati a venire a contatto con alimenti; b) l’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati (OGM) a fini di produzione di alimenti e mangimi; c) i mangimi e la sicurezza dei mangimi in qualsiasi fase della produzione, della trasformazione, della distribuzione e dell’uso di mangimi, comprese le norme volte a garantire pratiche commerciali leali e a tutelare la salute, gli interessi e l’informazione dei consumatori; d) le prescrizioni in materia di salute animale; e) la prevenzione e la riduzione al minimo dei rischi sanitari per l’uomo e per gli animali derivanti da sottoprodotti di origine animale e prodotti derivati; f) le prescrizioni in materia di benessere degli animali; g) le misure di protezione contro gli organismi nocivi per le piante; h) le prescrizioni per l’immissione in commercio e l’uso di prodotti fitosanitari e l’utilizzo sostenibile dei pesticidi, ad eccezione dell’attrezzatura per l’applicazione di pesticidi; i) la produzione biologica e l’etichettatura dei prodotti biologici; j) l’uso e l’etichettatura delle denominazioni di origine protette, delle indicazioni geografiche protette e delle specialità tradizionali garantite”.

I successivi articoli da 4 a 8 riguardano le modalità di designazione delle autorità competenti, disposizioni particolari per il settore biologico, audit, diritto di ricorso, obblighi di riservatezza.controlli ufficiali 3

Seguono poi alcune norme sui requisiti generali dei controlli: organi, soggetti, attività, trasparenza, procedure, documentazione, metodi e tecniche (artt.9-15).

Le abrogazioni dei regolamenti (CE) n. 854/2004 e (CE) n. 882/2004, delle direttive 89/608/CEE, 89/662/CEE, 90/425/CEE, 91/496/CEE, 96/23/CE, 96/93/CE e 97/78/CE, nonché della decisione 92/438/CEE hanno tutte effetto a far data dal 14 dicembre 2019 (art.146).

Quando entra in vigore tale Regolamento? Il prossimo 27 aprile.

Quando diviene applicabile? Secondo l’art.167, il Regolamento si applica a decorrere dal 14 dicembre 2019, mentre si applica dal 29 aprile 2022 per le misure di protezione contro gli organismi nocivi per le piante (art.1, par.2, lett.g), per l’oggetto dell’art.34, par.1, 2 e 3[1], per alcune disposizioni sulla designazione dei laboratori ufficiali come l’art.37, par.4, lett.e)[2] e par.5 sui requisiti di accreditamento.

Gli artt.92-101 sui Laboratori e Centri di riferimento si applicano invece a partire dal 28 aprile 2018.

L’art.163 che modifica il Reg. (UE) n. 652/2014 recante disposizioni per la gestione delle spese relative alla filiera alimentare, alla salute e al benessere degli animali, alla sanità delle piante e al materiale riproduttivo vegetale si applica invece dal 28 aprile 2017.controlli ufficiali

[1] 1. I metodi di campionamento e di analisi, prova e diagnosi di laboratorio utilizzati nel contesto dei controlli ufficiali e delle altre attività ufficiali sono conformi alle norme dell’Unione che stabiliscono tali metodi o ai relativi criteri di efficienza. 2.In assenza di norme dell’Unione di cui al paragrafo 1, e nel contesto di controlli ufficiali e altre attività ufficiali, i laboratori ufficiali applicano uno dei seguenti metodi a seconda della relativa idoneità per le esigenze specifiche di analisi, prova e diagnosi: a) metodi disponibili conformi a pertinenti norme o protocolli riconosciuti internazionalmente, compresi quelli accettati dal comitato europeo di normalizzazione (CEN); o metodi pertinenti sviluppati o raccomandati dai laboratori di riferimento dell’Unione europea e convalidati in base a protocolli scientifici accettati internazionalmente; b) in assenza delle norme o dei protocolli opportuni di cui alla lettera a), metodi conformi alle norme pertinenti definite a livello nazionale o, se tali norme non esistono, metodi pertinenti sviluppati o raccomandati dai laboratori di riferimento dell’Unione europea e convalidati in base a protocolli scientifici accettati internazionalmente; o metodi pertinenti sviluppati e convalidati da studi interlaboratorio o intralaboratorio sulla convalida dei metodi in base a protocolli scientifici accettati internazionalmente. 3.Qualora vi sia urgenza di eseguire analisi, prove o diagnosi di laboratorio e non esista alcuno dei metodi di cui ai paragrafi 1 e 2 del presente articolo, il pertinente laboratorio nazionale di riferimento oppure, se non esiste un laboratorio nazionale di riferimento, qualsiasi altro laboratorio designato in conformità dell’articolo 37, paragrafo 1, può utilizzare metodi diversi da quelli di cui ai paragrafi 1 e 2 del presente articolo in attesa della convalida di un metodo appropriato in base a protocolli scientifici accertati internazionalmente”.

[2] Le autorità competenti possono designare un laboratorio che, tra gli altri requisiti, … e) opera secondo la norma EN ISO/IEC 17025 ed è stato accreditato secondo tale norma da un organismo nazionale di accreditamento operante in conformità del regolamento (CE) n. 765/2008”.